FIDEIUSSIONE “OMNIBUS”
BANCA D'ITALIA E GARANTE BOCCIANO L'ABI
l’attuazione della RIFORMA
MORATTI
I D.LGS. 75 E 77 DEL 15 APRILE 2005
INDENNITÀ DI
ESPROPRIO
COME INCIDE L'I.C.I.
INDENNITÀ DI ESPROPRIO
COME INCIDE L'I.C.I.
Una tendenza che favorisce
gli evasori?
Luigi D'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it
Una linea di tendenza molto forte di questi ultimi anni è quella
di correlare esborsi di danaro pubblico solo in caso di contribuenti "virtuosi".
Si pensi al caso, ad esempio, delle opere pubbliche, ove viene esclusa
dalla gara l'impresa che non è in regola con i contributi assicurativi
dei dipendenti, e ciò in forza di una normativa che ha creato non
pochi contrasti e numerosissime cause; o, ancora alla nuova Legge
Urbanistica Regionale (L.R. Campania numero 16/2004), che permette
ai proprietari che rappresentano il 51% dell'area di proporre un piano
urbanistico attuativo, sempre che il 51% sia tale in base all'imponibile
I.C.I.. Questa impostazione, che diverse leggi dello Stato hanno come caposaldo,
trova un altro esempio in tema di indennità di esproprio, ove per
le aree edificabili il corrispettivo da pagare al cittadino espropriato
non può superare
l'importo dichiarato per lo stesso bene nell'ultima dichiarazione
presentata dall'espropriato, sempre ai fini I.C.I. (art. 16, 1° comma,
Decreto Legislativo 30.12.1992, n. 504). Si tratta di uno dei tanti
interventi legislativi su questa materia che l'hanno resa non poco frammentata.
Ciò è stato
dovuto essenzialmente ai molteplici interventi della Corte Costituzionale,
volti a garantire quel "giusto ristoro" che la nostra Costituzione
impone per il sacrificio della proprietà privata. Con una serie
di stops and go, il Legislatore ha via via cambiato le modalità di
determinazione dell'indennità di esproprio, tentando di inseguire
la Corte Costituzionale sul terreno arduo del giusto indennizzo,
con il limite - immanente in ogni scelta italiana - del contenimento
della spesa pubblica. Uno di questi interventi è appunto il richiamato
articolo 16 Decreto Legislativo 30.12.1992, n. 504 che, come s'intuisce,
risponde all'esigenza di stimolare denunce veritiere per l'applicazione
dell'I.C.I., oltre che di apportare un logico coordinamento fra vicende
pubblicistiche attinenti al medesimo immobile, prevedendo per le
aree edificabili che l'indennità di espropriazione, determinata
secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, sia ridotta all'eventuale
minore importo indicato come valore del bene nell'ultima dichiarazione
presentata dall'espropriato per quell'imposta. Il correttivo si traduce
in una diminuzione del quantum dell'indennità altrimenti dovuta
proprio per l'effetto del distinto rapporto tributario e su questa correlazione
il dibattito si è via
via evoluto. Sul punto, è interessante una recente pronuncia della
Corte di Cassazione (Sezione I, 4.1.2005, n. 126), che ha visto coinvolto
il Comune di Caserta quale ente espropriante, ove il principio affermato
(anzi, confermato perché segue ad una serie di sentenze dello stesso
tenore) merita di essere analizzato. Nel caso specifico, l'espropriato
non aveva affatto presentato la dichiarazione I.C.I. e la Corte di
Cassazione ha dichiarato l'inapplicabilità della riduzione prevista
dall'art. 16, comma 1, Decreto Legislativo 504/1992. La Cassazione,
sul punto, va nel senso opposto a quanto qualche anno fa indicò la
Corte Costituzionale con la sentenza 25 luglio 2000, n. 351, secondo la
quale l'erogazione dell'indennità non
potrebbe avvenire se non dopo la verifica che non superi il tetto
massimo ragguagliato al valore denunciato ai fini dell'I.C.I. e,
quindi, solo dopo la presentazione della denuncia e la conseguente regolarizzazione
della posizione tributaria. La posizione della Consulta era chiara
e tendeva a superare l'obiezione che, diversamente opinando, l'evasore
avrebbe goduto di un trattamento più favorevole di quello riservato
a chi dichiari un minor valore rispetto a quello reale dell'immobile. La
risposta della Cassazione a tale rilievo, come confermato dalla recente
sentenza sopra richiamata, è indiretta. Si dice, infatti, che l'evasore
in realtà non è beneficiato
perché il sistema prevede sanzioni per l'evasore totale di tale
entità, da oltrepassare largamente il lucro, in ipotesi conseguibile,
con una indennità maggiorata (o meglio non ancorata ai limiti della
dichiarazione ai fini I.C.I.). La sentenza aggiunge che la regola
di cui all'art. 16 Decreto Legislativo 504/1992 fonda un diritto
patrimoniale che ha, nel procedimento per la determinazione giudiziale
dell'indennità di
espropriazione, carattere dispositivo, sicché l'interessato ha l'onere
non solo di farne richiesta, ma anche di provare e allegare, ex art.
2697 c.c., i fatti che ne siano a fondamento (producendo, quindi,
la dichiarazione I.C.I. alla quale è fatto riferimento), senza che
possa, al riguardo, configurarsi alcun potere-dovere officioso del giudice.
V'è da dire
che questa è una posizione forte, perché, al di là della
già argomentata tesi della Suprema Corte, di fatto si favoriscono
coloro che non presentano la dichiarazione I.C.I., visto che si esclude
il potere d'accertare d'ufficio il quantum. Già di per sé l'articolo
16 citato è criticabile, in quanto, se pure garantisce il contenimento
della spesa, spesso ha posto l'interprete di fronte al dilemma di
una indennità non
sempre corrispondente al valore venale del terreno, essendo l'I.C.I.
ancorata a valori tabellari, e ciò in contrasto con le sempre più frequenti
pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che in più occasioni
ha condannato l'Italia perché la sua legislazione prescinde - illegittimamente
- dal valore venale del bene (da ultimo, Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo, 29 luglio 2004). Eppure, una volta accettato il principio
che l'indennità d'esproprio
non può superare ciò che si dichiara ai fini dell'I.C.I.,
non si digerisce facilmente l'assunto della giurisprudenza secondo
cui la riduzione dettata dalla legge non si applica all'evasore totale.
Il paradosso è proprio questo, visto che, se non si dichiara l'I.C.I.
e si è espropriati, si hanno maggiori possibilità di ottenere
un indennizzo più alto, secondo il richiamato orientamento della
Cassazione. Vero è che la Cassazione si è fatta carico di
rispondere alle osservazioni della Corte Costituzionale sul punto
(la già richiamata
sentenza n. 351/2000), ma la soluzione al cittadino-contribuente "virtuoso" -
il modello che per altro verso si dovrebbe privilegiare - suona davvero
male. Parametrare, co-munque, l'indennizzo a quanto si accerta secondo
l'I.C.I., non esclude che l'ordinamento possa anche agire nei confronti
di chi evade totalmente il tributo. Forse si è troppo in fretta
abdicato a quel principio affermato qualche anno fa, subito dopo
la sentenza della Corte Costituzionale, secondo cui il valore dell'immobile
ai fini I.C.I. poteva essere accertato d'ufficio (Cassazione 10934
del 2001). Con il più recente orientamento, invece, si può notare
un certo strabismo dell'ordinamento che, da un lato, punisce gli
evasori o presunti tali (spesso le imprese) e, dall'altro, in fondo, li
premia, tra l'altro superando in maniera non proprio convincente quanto
aveva sancito nettamente la Corte Costituzio-nale nel 2000. Il precedente
orientamento sembrava, onestamente, più equilibrato: se il proprietario
era evasore, non poteva certo ambire ad una indennità maggiore del
contribuente corretto. Che dire? Ancora una volta si ha l'impressione che
il vecchio buon senso venga trascurato con decisioni, magari argomentate,
ma che appaiono, a chi le subisce, ingiuste, se rapportate alla "moralità contributiva" che
si invoca sempre.
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