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  Dicembre 2012

Articoli n° 5
giugno 2005
 


ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI

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FIDEIUSSIONE “OMNIBUS”
BANCA D'ITALIA E GARANTE BOCCIANO L'ABI

l’attuazione della RIFORMA MORATTI
I D.LGS. 75 E 77 DEL 15 APRILE 2005

INDENNITÀ DI ESPROPRIO
COME INCIDE L'I.C.I.

INDENNITÀ DI ESPROPRIO
COME INCIDE L'I.C.I.
Una tendenza che favorisce gli evasori?

Luigi D'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it


Una linea di tendenza molto forte di questi ultimi anni è quella di correlare esborsi di danaro pubblico solo in caso di contribuenti "virtuosi". Si pensi al caso, ad esempio, delle opere pubbliche, ove viene esclusa dalla gara l'impresa che non è in regola con i contributi assicurativi dei dipendenti, e ciò in forza di una normativa che ha creato non pochi contrasti e numerosissime cause; o, ancora alla nuova Legge Urbanistica Regionale (L.R. Campania numero 16/2004), che permette ai proprietari che rappresentano il 51% dell'area di proporre un piano urbanistico attuativo, sempre che il 51% sia tale in base all'imponibile I.C.I.. Questa impostazione, che diverse leggi dello Stato hanno come caposaldo, trova un altro esempio in tema di indennità di esproprio, ove per le aree edificabili il corrispettivo da pagare al cittadino espropriato non può superare l'importo dichiarato per lo stesso bene nell'ultima dichiarazione presentata dall'espropriato, sempre ai fini I.C.I. (art. 16, 1° comma, Decreto Legislativo 30.12.1992, n. 504). Si tratta di uno dei tanti interventi legislativi su questa materia che l'hanno resa non poco frammentata. Ciò è stato dovuto essenzialmente ai molteplici interventi della Corte Costituzionale, volti a garantire quel "giusto ristoro" che la nostra Costituzione impone per il sacrificio della proprietà privata. Con una serie di stops and go, il Legislatore ha via via cambiato le modalità di determinazione dell'indennità di esproprio, tentando di inseguire la Corte Costituzionale sul terreno arduo del giusto indennizzo, con il limite - immanente in ogni scelta italiana - del contenimento della spesa pubblica. Uno di questi interventi è appunto il richiamato articolo 16 Decreto Legislativo 30.12.1992, n. 504 che, come s'intuisce, risponde all'esigenza di stimolare denunce veritiere per l'applicazione dell'I.C.I., oltre che di apportare un logico coordinamento fra vicende pubblicistiche attinenti al medesimo immobile, prevedendo per le aree edificabili che l'indennità di espropriazione, determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti, sia ridotta all'eventuale minore importo indicato come valore del bene nell'ultima dichiarazione presentata dall'espropriato per quell'imposta. Il correttivo si traduce in una diminuzione del quantum dell'indennità altrimenti dovuta proprio per l'effetto del distinto rapporto tributario e su questa correlazione il dibattito si è via via evoluto. Sul punto, è interessante una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione I, 4.1.2005, n. 126), che ha visto coinvolto il Comune di Caserta quale ente espropriante, ove il principio affermato (anzi, confermato perché segue ad una serie di sentenze dello stesso tenore) merita di essere analizzato. Nel caso specifico, l'espropriato non aveva affatto presentato la dichiarazione I.C.I. e la Corte di Cassazione ha dichiarato l'inapplicabilità della riduzione prevista dall'art. 16, comma 1, Decreto Legislativo 504/1992. La Cassazione, sul punto, va nel senso opposto a quanto qualche anno fa indicò la Corte Costituzionale con la sentenza 25 luglio 2000, n. 351, secondo la quale l'erogazione dell'indennità non potrebbe avvenire se non dopo la verifica che non superi il tetto massimo ragguagliato al valore denunciato ai fini dell'I.C.I. e, quindi, solo dopo la presentazione della denuncia e la conseguente regolarizzazione della posizione tributaria. La posizione della Consulta era chiara e tendeva a superare l'obiezione che, diversamente opinando, l'evasore avrebbe goduto di un trattamento più favorevole di quello riservato a chi dichiari un minor valore rispetto a quello reale dell'immobile. La risposta della Cassazione a tale rilievo, come confermato dalla recente sentenza sopra richiamata, è indiretta. Si dice, infatti, che l'evasore in realtà non è beneficiato perché il sistema prevede sanzioni per l'evasore totale di tale entità, da oltrepassare largamente il lucro, in ipotesi conseguibile, con una indennità maggiorata (o meglio non ancorata ai limiti della dichiarazione ai fini I.C.I.). La sentenza aggiunge che la regola di cui all'art. 16 Decreto Legislativo 504/1992 fonda un diritto patrimoniale che ha, nel procedimento per la determinazione giudiziale dell'indennità di espropriazione, carattere dispositivo, sicché l'interessato ha l'onere non solo di farne richiesta, ma anche di provare e allegare, ex art. 2697 c.c., i fatti che ne siano a fondamento (producendo, quindi, la dichiarazione I.C.I. alla quale è fatto riferimento), senza che possa, al riguardo, configurarsi alcun potere-dovere officioso del giudice. V'è da dire che questa è una posizione forte, perché, al di là della già argomentata tesi della Suprema Corte, di fatto si favoriscono coloro che non presentano la dichiarazione I.C.I., visto che si esclude il potere d'accertare d'ufficio il quantum. Già di per sé l'articolo 16 citato è criticabile, in quanto, se pure garantisce il contenimento della spesa, spesso ha posto l'interprete di fronte al dilemma di una indennità non sempre corrispondente al valore venale del terreno, essendo l'I.C.I. ancorata a valori tabellari, e ciò in contrasto con le sempre più frequenti pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che in più occasioni ha condannato l'Italia perché la sua legislazione prescinde - illegittimamente - dal valore venale del bene (da ultimo, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 29 luglio 2004). Eppure, una volta accettato il principio che l'indennità d'esproprio non può superare ciò che si dichiara ai fini dell'I.C.I., non si digerisce facilmente l'assunto della giurisprudenza secondo cui la riduzione dettata dalla legge non si applica all'evasore totale. Il paradosso è proprio questo, visto che, se non si dichiara l'I.C.I. e si è espropriati, si hanno maggiori possibilità di ottenere un indennizzo più alto, secondo il richiamato orientamento della Cassazione. Vero è che la Cassazione si è fatta carico di rispondere alle osservazioni della Corte Costituzionale sul punto (la già richiamata sentenza n. 351/2000), ma la soluzione al cittadino-contribuente "virtuoso" - il modello che per altro verso si dovrebbe privilegiare - suona davvero male. Parametrare, co-munque, l'indennizzo a quanto si accerta secondo l'I.C.I., non esclude che l'ordinamento possa anche agire nei confronti di chi evade totalmente il tributo. Forse si è troppo in fretta abdicato a quel principio affermato qualche anno fa, subito dopo la sentenza della Corte Costituzionale, secondo cui il valore dell'immobile ai fini I.C.I. poteva essere accertato d'ufficio (Cassazione 10934 del 2001). Con il più recente orientamento, invece, si può notare un certo strabismo dell'ordinamento che, da un lato, punisce gli evasori o presunti tali (spesso le imprese) e, dall'altro, in fondo, li premia, tra l'altro superando in maniera non proprio convincente quanto aveva sancito nettamente la Corte Costituzio-nale nel 2000. Il precedente orientamento sembrava, onestamente, più equilibrato: se il proprietario era evasore, non poteva certo ambire ad una indennità maggiore del contribuente corretto. Che dire? Ancora una volta si ha l'impressione che il vecchio buon senso venga trascurato con decisioni, magari argomentate, ma che appaiono, a chi le subisce, ingiuste, se rapportate alla "moralità contributiva" che si invoca sempre.

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