Turismo Anno Zero
I DATI DEL BUSINESS IN CAMPANIA
Dare corpo e fiato alla "omogeneità di risorse" alla base dei sistemi turistici territoriali
Aldo D'Elia
Amministratore Azienda del Turismo di Napoli - Docente Università Suor Orsola di Napoli aldodelia@tiscali.it
Il Turismo in Campania ha fatto registrare oltre 22 milioni di presenze nel 2004, di cui circa la metà provenienti dall'estero. La nostra regione detiene così poco meno del 6% dell'intero movimento nazionale, preceduta per numero complessivo di presenze nell'ordine solo da Veneto, Trentino, Toscana, Emilia Romagna, Lazio. Rispetto alle altre regioni meridionali il movimento turistico della Campania equivale al doppio di quello della Puglia e della Sardegna, e a poco meno del doppio di quello siciliano. Il trend annuale è in costante aumento. La dotazione complessiva di posti letto tocca quasi il tetto di 170.000 unità, di questi più di 90.000 appartengono ai quasi 1.500 alberghi sparsi per ben oltre i due terzi tra le provincie di Napoli e Salerno, i restanti sono ascrivibili a ulteriori 900 tra residence, campeggi, villaggi, agroturismi e bed and breakfast. Sono naturalmente esclusi da questo quadro gli appartamenti e le case private, che pure ospitano un numero considerevole di turisti. Gli scavi di Pompei hanno superato i due milioni e trecentomila visitatori l'anno. La spesa turistica globale (corregionali, italiani, stranieri) è pari a 4.286 milioni di euro. Sono i dati del business del turismo in Campania. Un business che come altri è trainato da famiglie, visto che la dimensione media di ciascun esercizio è di una trentina di camere che in media vengono impiegate per poco più di 90/100 giorni l'anno. La permanenza media di 4.5 giornate per turista caratterizza il sistema turistico della Campania come semi stanziale. In effetti il mix di risorse (mare, centri d'arte, terme, business, natura, archeologia, antropologia) con alcune importanti eccellenze determina i risultati esposti in maniera esponenziale: si tratta ormai una realtà consolidata. Negli ultimi anni come ho avuto modo di scrivere recentemente sul Corriere della Sera, la Campania è interessata, come il resto del territorio nazionale, da fenomeni tipici delle economie post-industriali. E in questo senso il settore del turismo è senza dubbio privilegiato per attrarre investimenti da parte di altri settori in declino come, in effetti, accade. Probabilmente la garanzia costituita dalla presenza di immobili di pregio, spesso in zone di elevata valenza ambientale o di altro tipo, per di più alacremente incentivata dall'attore pubblico con ingenti iniezioni di finanza agevolata e promozione del comparto, fanno sì che molti operatori economici diversificano i propri investimenti appunto nelle attività turistiche. Molte le nuove strutture ricettive che sorgono un po' ovunque nella nostra regione, senza distinzione relativamente al tasso di natalità fra zone costiere e aree dell'entroterra; molte le implementazioni delle strutture esistenti: a ogni bando comunitario, regionale o nazionale, la media delle istanze è pari a 500/600 domande per gli strumenti in extra de minimis che prevedono cioè, investimenti superiori ai 100.000 euro. Per i bandi locali, la giunta regionale ha fissato infatti una soglia minima pari a 150.000 euro per singolo investimento derogando a una soglia fissata dal Ministero delle Attività Produttive di 500.000 euro che avrebbe favorito solo i medi e i grandi investimenti. Poco meno della metà sono poi gli investimenti rendicontati nei tempi previsti dai decreti di concessione. Ovviamente il primo imputato di questa disfunzione è la burocrazia. La sola Regione Campania ha investito negli ultimi tempi 400 milioni di euro attraverso i dieci Piani Integrati turistici, uno strumento di intervento innovativo "bottom up" che travalica le obsolete cortine amministrative ricalcate dalle province: ecco che per la prima volta la Penisola Sorrentino-Amalfitana è una sola risorsa, così come la portualità turistica, i luoghi di culto, le zone interne, la filiera termale e così via. É una concezione nuova, ben presente nella legge di riforma del turismo del 2001 che rompe con una geografia arcaica legata appunto agli enti territoriali per dare corpo e fiato a quella "omogeneità di risorse" che è alla base dei sistemi turistici territoriali pure previsti dalla legge di riordino che purtroppo però anche se recepita nella sua essenzialità dal riparto dei fondi regionali non lo è stata ancora dal legislatore, dato che com'è noto, il provvedimento con il quale sarebbe stata attuata anche in Campania, benchè approvato dalla passata Giunta e finanche dalla competente commissione consiliare (presieduta dal già Assessore al turismo Andrea De Simone), non è stata discussa dall'aula per mancanza di tempo materiale. Nel programma sottoscritto dai partiti della attuale maggioranza, però, vi è l'impegno a emanare una nuova legge che, come ho già detto più volte, estinguerebbe un debito con il settore reale lungo 23 anni dal momento che nemmeno l'altra riforma, quella del 1983, è stata mai applicata. Da questo atto futuribile e auspicato si attende anche il ridisegno delle competenze. In Campania vi sono 15 Aziende del Turismo e 5 Enti Provinciali. Nel disegno di legge cui si accennava poc'anzi è prevista un'Agenzia Regionale del Turismo sulla scorta di quanto è stato fatto per l'ambiente e inoltre la creazione dei sistemi turistici locali con competenze miste dei vari enti territoriali interessati. Sull’efficacia di un simile strumento e su una sua rapida applicazione, presupponendo la liquidazione del vecchio apparato, ci sarà molto da fare. Le cospicue risorse messe in campo dall'attore pubblico hanno incrementato la vocazione turistica di intere aree non necessariamente dotate di grandi risorse turistiche. Mi ritorna in mente una drammatica enunciazione alla Rai della Sindaca di Lioni Rosa D'Amelio, oggi Assessore Regionale, nel ventennale del sisma quando dichiarò che i centri terremotati erano passati in poco tempo da 13 se non erro a 120. Più o meno il pericolo che si corre nel turismo è simile: non c'è paese, borgo, contrada che non abbia un campanile o un qualcosa senz'altro di speciale che non voglia diventare una piccola Portofino con o senza il mare. Accade così che magari a Capri, su una banchina fruita da migliaia di turisti al giorno non ci sia un bagno, mentre magari in qualche altro posto troviamo tutto il necessario ma non ci sono turisti! Paradossi. Come quando città come Salerno proclamano il turismo, poi al comparire dei resti di ville romane laddove dovevano sorgere improbabili fabbriche o altrove strade, vivono la cosa come una tragedia e cominciano a litigare spudoratamente con la soprintendenza archeologica sui giornali, o ancora paradossi, quando nel mentre si proclama l'istituzione di un Parco Regionale con relativi prodotti tipici si sbandierano contemporaneamente i record ascrivibili alle tonnellate di immondizia lavorate negli impianti di trattamento dei rifiuti contenuti dal parco stesso. Ve le immaginate le Langhe del Piemonte o il Chianti in una situazione simile? Ma i veri ostacoli non sono solo la burocrazia e la contraddittoria programmazione territoriale: c'è da considerare anche il fenomeno del turismo globale. Il fatto cioè che una settimana a Sharm el Sheik costa fino a 5 volte di meno che una settimana a Palinuro o a Paestum. E con che mare, e che spiaggia! Come si vede, la strada è ancora lunga, anche se qualcosa inizia a muoversi. Diciamo con ottimismo che l'approvazione della nuova legge regionale potrebbe segnare l'inizio di una mutazione quantomeno della gestione pubblica del settore. E non sarebbe poco nemmeno se si arrivasse a istituire un osservatorio permanente sul turismo e addirittura un'authority che semplificasse la vita agli operatori e ai turisti stessi. Con la viva speranza che a questi ultimi venissero garantite alcune cose importanti già contenute nella civilissima "Carta del Turista", parte integrante di quella sfortunata legge rimasta impigliata nella scorsa consiliatura.
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