IL PROCESSO EDUCATIVO DEI GIOVANI
LA SCUOLA CHE VOGLIAMO
VALORIZZAre LE RISORSE DEL TERRITORIO
PROMOZIONE DEL TURISMO SOSTENIBILE in ITALIA
IL PROCESSO EDUCATIVO DEI GIOVANI
LA SCUOLA CHE VOGLIAMO
Un sapere orientato al pragmatismo e al fare, indispensabile al sistema produttivo
Gianfelice Rocca
Vice Presidente Confindustria per l’Education
g.rocca@confindustria.it
La conoscenza è oggi fondamento della capacità di competere. Confindustria vuole essere interlocutore attivo sui temi dello sviluppo e della diffusione della conoscenza. Sulla formazione essa avanza proposte basate su una analisi attenta del malessere che pervade il nostro sistema. Per sostenere le aziende in questa difficile fase, il sistema educativo deve muoversi sempre di più in una logica di qualità e di valutazione dei risultati e dei suoi attori, assicurando ai giovani un'occupazione sostenibile, attraverso il collegamento stretto col sistema produttivo. La scuola deve dare una preparazione adeguata a una società industriale ed evoluta: solide conoscenze logico-matematiche; proprietà di linguaggio e capacità di comunicazione; padronanza dell'inglese; uso disinvolto degli strumenti informatici; capacità di analisi e di sintesi; attitudine al "problem solving". Particolare rilievo devono avere le materie scientifiche. Le potenzialità che l'impresa può esprimere quale parte del processo formativo vanno valorizzate. La Riforma Moratti, la Legge Biagi, il processo di "devolution", assicurano oggi il riconoscimento formale del ruolo formativo dell'impresa, che quindi deve assumersi la propria parte di responsabilità nel processo educativo dei giovani. L'articolazione della scuola secondaria italiana in licei, istituti tecnici-economici e scuole professionali, rappresenta un asset molto importante per il paese. Il filone tecnico-economico, centrale fra gli altri due, è una struttura portante del sistema. Vanno quindi migliorati e approfonditi i caratteri distintivi dei tre filoni. In particolare quello tecnologico-economico deve avere caratteristiche tali da renderlo interessante e attraente per le famiglie, gli studenti e le imprese. Deve essere una scuola in cui si acquisisce metodo, in particolare scientifico, capacità di applicazione, grazie all'uso di laboratori e al rapporto stretto con le imprese, buona conoscenza di una lingua, degli strumenti informatici e della comunicazione. Essa deve delineare il profilo di un sapere orientato al pragmatismo tecnico e al fare, oggi assolutamente indispensabili al sistema produttivo. Inutile ricordare per esempio il ruolo fondamentale dei periti meccanici nello sviluppo del paese. Confindustria appoggia con convinzione la nascita di veri campus, fisici o basati su accordi, in cui licei tecnologico-scientifici, istituti tecnici e scuole professionali si arricchiscano reciprocamente, in stretto contatto con le imprese e con il territorio, utilizzando proficuamente l'autonomia della scuola. Il filone tecnico-economico, ancora oggi scelto da circa il 36% dei giovani, offre anche lo sbocco dell'iscrizione universitaria (il 35% si iscrive all'Università) e dà un buon contributo alle attività universitarie e all'alta formazione, in particolare le lauree triennali e i corsi IFTS. Questa polivalenza consente ai ragazzi e alle famiglie di scegliere tra un concreto sbocco professionale e la continuazione degli studi. I diplomati degli istituti tecnico industriali hanno tassi di occupazione molto elevati. Per queste ragioni, l'impianto della riforma della scuola secondaria suscita preoccupazioni. Essa si articola in un filone liceale, statale e con caratteristiche di propensione all'Università, e un filone di istruzione tecnico-professionale, regionale, con caratteristiche di terminalità, temperata però dalla possibilità di "passerelle" fra un filone e l'altro, per evitare di porre di fronte a scelte definitive a 14 anni. In un documento, concordato con le altre organizzazioni che rappresentano le imprese, Confindustria ha definito le caratteristiche che devono essere garantite per mantenere l'integrità di questo filone vitale per le imprese. Nel documento si sostiene la necessità che il filone formi i giovani secondo una logica di concretezza e senza genericismi, che abbia un impianto didattico modulare, che la struttura dei corsi sia concepita per dare sia la possibilità della preparazione all'università che l'inserimento nell'attività lavorativa. Si sottolinea poi la necessità che insegni bene una lingua straniera e che abbia un collegamento stretto col territorio di riferimento. Soprattutto che sia ispirato ai principi dell'autonomia e della qualità, avvalendosi di un corpo docente fluido e mobile. Non è chiaro dove si collocherà, nei nuovi assetti, l'attuale filone tecnico-economico, se essi saranno cioè incorporati/trasformati nei nuovi licei tecnologici o nel sistema regionale dell'istruzione professionale. Entrambe le scelte presentano gravi rischi. La "liceizzazione" degli istituti rischia di "diluirne" la specificità e di accentuare la tendenza al genericismo della nostra scuola. È un rischio importante. Non esiste in Italia la cultura francese in cui tutta la scuola secondaria è definita liceo: licei generalisti, professionali e tecnici. Non è chiaro se il carattere di terminalità che si chiederebbe ai licei tecnologici può essere conciliato con la premessa sulla "propedeuticità" all'Università dei licei contenuta nella riforma. Preoccupa il conseguente accrescimento della parte comune che caratterizza gli insegnamenti liceali aggiungendo, ad esempio, corsi in materie umanistiche, come filosofia. La seconda alternativa è l'incorporazione degli istituti nel sistema dell'istruzione professionale regionale, anche sulla spinta del Titolo V della Costituzione. Anche in questo caso, esistono gravi preoccupazioni. L'istruzione professionale regionale è percepita da molti insegnanti, famiglie e studenti, e in molte regioni, come mirata all'acquisizione di specifiche qualifiche professionali, quindi come decisamente terminale. In presenza di licei tecnologici, per di più a molti indirizzi, il rischio che i migliori studenti e insegnanti emigrino verso di essi è elevato. E non credo vada considerato un successo per nessuno la concorrenza fra licei tecnologici a indirizzo statale e istituti tecnici regionali, con un progressivo svuotamento di questi ultimi. L'identità separata del filone tecnologico va difesa quale ricchezza ed elemento portante dell'istruzione che si sposa con la spina dorsale del nostro sistema produttivo. Problemi ugualmente gravi vanno affrontati nel sistema universitario. Il contributo alla crescita civile e allo sviluppo del paese delle nostre università dipende dalla loro capacità di produrre e diffondere conoscenze concrete. La competizione, anche internazionale, e l'autonomia che ne è il presupposto, spingono all'efficienza e alla qualità degli insegnamenti e delle strutture accademiche. Concretezza, autonomia e competizione, dovrebbero essere sempre più presenti nel nostro mondo universitario. Gli atenei devono poter gestire in autonomia le risorse umane, organizzare liberamente i corsi, stabilire da sé le tasse di frequenza. Gli studenti devono poter giudicare la qualità della formazione erogata e scegliere le università migliori. La loro libertà di scelta va aiutata con strumenti di sostegno come i prestiti d'onore, così poco presenti nel nostro paese ma tanto utili per chi ha bisogno. Certo l'autonomia non deve degenerare in disorganicità, eterogeneità eccessiva e abusi. Per uscire da questa logica l'abolizione del valore legale del titolo sarebbe un primo passo di grande importanza. Dovrebbe essere instaurata una correlazione fra autonomia e valutazione dei risultati e delle risorse impiegate. Chi accetta di essere valutato gode di autonomia maggiore, chi non acconsente rimane sotto tutela, escluso dalla gara e dalla possibilità di competere in proprio. In una prima fase il collegamento potrebbe essere fra risorse erogate per il finanziamento degli atenei e valutazione dei loro risultati, cominciando a collegare efficienza e disponibilità di risorse. L'università moderna deve saper dare il giusto spazio alla formazione scientifica, rispondendo al bisogno dell'impresa di oggi e di domani di disporre di professionalità elevate nei campi della innovazione tecnologica e della produzione. Vorremmo un'università articolata, che offra livelli differenziati di formazione, (laurea, laurea magistrale, dottorato), prestando costante attenzione all'employability dei nostri giovani. Un'università che leghi strettamente insegnamento e ricerca, che si adatti ai progressi della conoscenza scientifica e alle trasformazioni della società e dell'apparato produttivo, superando la vecchia distinzione fra ricerca pura e applicata, e che finalmente si internazionalizzi, offrendo agli studenti la possibilità di svolgere una parte dei propri studi all'estero e favorendo la presenza non più solo marginale di studenti stranieri. Abbiamo davanti un percorso ambizioso ma è indispensabile completarlo con successo, pena l'esclusione del paese dalle grandi trasformazioni in atto. Confindustria si è sempre posta come partner leale e propositivo sui temi della formazione ed è pronta a fare la sua parte, contribuendo con proposte e progetti, e sollecitando le imprese ad assumersi la loro parte di responsabilità nel processo formativo dei nostri giovani.
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