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  Dicembre 2012

Articoli n° 2
MARZO 2005
 
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FINANZIAMENTO AZIENDALE PER R&S
IL PRIVATE EQUITY

INCENTIVI ALLE IMPRESE ARTIGIANE
AL VIA IL PRIMO BANDO DEL POR CAMPANIA

FINANZIAMENTO AZIENDALE PER R&S
IL PRIVATE EQUITY
Il sistema bancario è interessato a sostenere le imprese in attività innovative


Sàntolo Cannavale
Esperto di mercati finanziari
s.cannavale@virgilio.it



Josè Manuel Durao Barroso con un approccio da buon padre di famiglia, il 1° febbraio scorso davanti all’Europarlamento, ha ribadito i due obiettivi da raggiungere entro il 2010: crescita dell’Unione Europea nell’ordine del 3% del Pil (ricchezza prodotta) dall’attuale 2,2% (a fronte del 4,3% degli Stati Uniti) e creazione di 6 milioni di nuovi posti di lavoro, seguendo le risoluzioni dei consigli di Lisbona del 2000 e di Barcellona del 2002. Ha esordito con queste parole: «Io ho tre figli e se uno di loro si ammala, corro immediatamente da lui. Ma questo non significa che smetta di amare gli altri. Anche come presidente della Commissione europea ho tre figli: la competitività dell’economia, la sicurezza sociale, la tutela dell’ambiente. Oggi dobbiamo correre in aiuto al grande malato, che è la nostra capacità di competere, senza trascurare solidarietà e impatto ambientale».
Gli strumenti da utilizzare sono rappresentati da: investimenti in ricerca e sviluppo (fino al 3% del Pil europeo rispetto all'attuale 1,9%); integrazione dei mercati finanziari; infrastrutture; flessibilità e formazione. Questo programma ambizioso si intreccerà con il bilancio pluriennale 2007-2013 e con il Patto di stabilità, che si applicherà in maniera più flessibile negli Stati che hanno fatto riforme strutturali, come le pensioni, o investimenti in ricerca e infrastrutture. Il piano per lo sviluppo e la competitività in preparazione in Italia, ad opera dei Ministri dell'Economia e delle Attività produttive, segue lo schema adottato dal Presidente Barroso. Gli investimenti in ricerca e sviluppo sono determinanti per promuovere innovazione e competitività e di ciò vi è diffusa consapevolezza a livello europeo e nel nostro Paese. Una struttura industriale, come quella italiana, prevalentemente costituita da realtà imprenditoriali piccole e medio piccole non è strutturalmente adatta ad affrontare i costi fissi e il profilo di rischio associati agli investimenti in ricerca e sviluppo. I limiti del sistema bancario a intervenire, in assenza di specifici correttivi, sono non solo strutturali ma auspicabili, se non si vogliono trasferire su di esso i costi di operazioni con maggiori percentuali di insuccesso, su periodi più lunghi e caratterizzati da minori informazioni di partenza e assenza di garanzie collaterali. Queste considerazioni rappresentano la sintesi di uno studio pubblicato sulla rivista "Bancaria" di dicembre 2004, edita dall'Associa-zione bancaria italiana (ABI). Gli autori, Mario Calderini del Politecnico di Torino, Raffaele Oriani e Maurizio Sombrero dell'Università di Bologna, ritengono che l'impegno richiesto all'industria di finanziare i due terzi degli investimenti complessivi in ricerca e sviluppo non sia facilmente sostenibile. Precisano altresì che il finanziamento degli investimenti in innovazione presenta dei problemi specifici rispetto ad altri progetti industriali. Il risultato (intermedio) atteso di tali investimenti è un'attività intangibile, rappresentata da nuova conoscenza, la cui definizione, misurazione e valutazione rappresentano problemi ancora in gran parte non risolti.
Questa specificità comporta possibili fallimenti di mercato che richiedono alcune riflessioni sulle modalità del relativo finanziamento. Un primo problema è legato alla presenza di asimmetrie informative tra l'inventore e il finanziatore. Queste nascono dalla circostanza che l'inventore ha una migliore conoscenza della natura e della probabilità di successo tecnico e commerciale dell'innovazione rispetto ai soggetti esterni che dovrebbero finanziare l'impresa.
Da qui la richiesta dell'investitore esterno di un tasso di rendimento del capitale prestato più elevato rispetto a quello delle fonti interne all'azienda. Come evidenziato dallo studio, il finanziamento dell'innovazione è complicato da problemi di misurazione e valutazione dei rendimenti attesi degli investimenti in ricerca e sviluppo. Alcuni analisti (Hall e Oriani, 2004) hanno messo in luce che mentre in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti il mercato azionario valuta positivamente le spese in ricerca e sviluppo delle società quotate, in Italia tale valutazione non è significativamente diversa da zero e in alcuni casi perfino negativa. Le imprese di minori dimensioni, più giovani e maggiormente basate sullo sviluppo di nuove tecnologie, hanno sicuramente maggiori difficoltà ad ottenere finanziamenti esterni. In tal caso il "private equity", capitale di rischio messo a disposizione di imprese non quotate da fondi appositamente costituiti, può essere lo strumento idoneo per sviluppare il programma di innovazione. Il segmento più rischioso e rilevante per lo sviluppo dell'innovazione all'interno delle imprese più giovani e con maggiori prospettive di crescita viene definito "venture capital".
Le società di "venture capital" mirano per lo più alla quotazione delle imprese assistite, allo scopo di monetizzare l'investimento originariamente effettuato. In Italia un'analisi estesa della relazione tra le fonti di finanziamento e gli investimenti in ricerca e sviluppo non risulta possibile poiché l'attuale normativa contabile non obbliga le imprese a riportare in bilancio questa tipologia di investimenti in una voce separata. Tra i vari attori del mercato vi è consapevolezza che il rapporto tra innovazione e crescita della impresa rappresenta un legame bivalente, nel quale l'innovazione è condizione necessaria per la crescita e, viceversa, la crescita è condizione necessaria per l'attività innovativa. Il sistema bancario, pur con tutte le riserve e cautele, è interessato a sostenere le imprese impegnate in attività innovative. Secondo i tre studiosi menzionati, solo un sistema territorialmente distribuito come quello bancario può, infatti, incidere profondamente su un sistema industriale del tutto peculiare, caratterizzato da imprese spesso molto piccole, con forte valenza locale e assetti manageriali ancora largamente inadeguati a instaurare rapporti con il grande capitale nazionale e internazionale. É quindi presumibile che il sistema bancario possa giocare un ruolo rilevante nelle fasi di avvio di un processo di crescita fondato sull'innovazione del nostro sistema industriale, accompagnandolo verso soglie dimensionali e capacità manageriali adatte ad accedere ad altre forme di finanziamento, strutturalmente più adeguate al profilo di rischio dell'attività innovativa. É interesse del sistema bancario lavorare nella direzione di migliorare gli standard contabili in materia di innovazione. É anche opportuno riconoscere l'assenza di competenze tecniche specifiche da parte del management e dei funzionari delle banche quando questi si trovano a valutare proposte di finanziamento di elevato contenuto scientifico e tecnologico.
Appare quindi opportuna una specializzazione tecnologica settoriale, tipica ad esempio di molti "venture capitalist" (investitori in iniziative ad alto rischio), accompagnata dalla crescita di competenze specifiche interne. Potrebbe costituire un'opzione di un certo interesse la formulazione di un quadro di accordi con istituzioni e centri di ricerca pubblici e privati, dove tipicamente risiedono le competenze necessarie alle attività di technology assessment (apprezzamento della consistenza tecnologica) e di prospezione tecnologica, o di fare leva sul ruolo del finanziamento pubblico della ricerca. Su questo specifico punto, i tre studiosi ricordano l'esperienza statunitense del programma Sbir, che finanzia, con risorse pubbliche, il trasferimento tecnologico dai laboratori federali alle piccole e medie imprese, con contributi a fondo perduto e sotto forma di credito agevolato di medio periodo. I dati dimostrano che l'ammissione al finanziamento migliora per le imprese beneficiarie l'accesso al credito e aumenta le probabilità di accedere successivamente a finanziamento di "venture capital" per sostenere lo sviluppo. Ovviamente si tratta di programmi caratterizzati da un alto livello di selettività e non indirizzati alla distribuzione indifferenziata di contributi non effettivamente controllabili nella destinazione finale. Le banche contribuiscono attualmente al finanziamento dei fondi di "private equity" con una quota pari al 30% del totale. L'apporto dei fondi pensione e delle compagnie di assicurazione è pari, rispettivamente al 10% e al 9% (dati Aifi). Gli investimenti in "venture capital" presentano spesso per loro natura un profilo di rischio che non è compatibile con il portafoglio di investimenti della banca. La distanza tra banche e società di "venture capital" è interpretata sovente come un segnale di scarsa lungimiranza o indisponibilità a investire delle prime, ma potrebbe rappresentare una conseguenza logica del profilo di rischio e delle caratteristiche dei progetti sui quali meglio si concentrano le seconde. A tal riguardo è opportuno propiziare lo sviluppo dei mercati azionari, agevolandolo in ogni modo, per sostenere la crescita delle imprese innovative del sistema industriale italiano. La possibilità per il "venture capitalist" di monetizzare l'investimento in "start-up" di grande potenziale innovativo (società assistite finanziariamente ed avviate verso la quotazione in borsa) costituisce un elemento chiave per lo sviluppo del mercato del finanziamento all'innovazione. In questa ottica, rilevano i tre studiosi, la debolezza del sistema italiano ed europeo rispetto ad altre realtà è almeno in parte spiegata dallo scarso sviluppo e dall'elevata volatilità dei mercati azionari, in particolare di quelli nuovi.

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