PROTOCOLLO DI KYOTO
16 FEBBRAIO 2005: UNA DATA STORICA
Cambiare modello energetico è indispensabile
per il futuro delle nostre economie
Roberto Napoli
Direttore Dipartimento Provinciale Salerno ARPAC
on.robertonapoli@libero.it
l 16 febbraio 2005 ha segnato una svolta memorabile: è entrato
in vigore, infatti, il Trattato di Kyoto. É un fatto
importante non perché questo accordo risolva il preoccupante
problema del riscaldamento del pianeta, ma in quanto l'umanità,
dopo aver fatto un esame di coscienza sul suo operato, riconosce
che abbiamo trovato il colpevole di questo fenomeno: siamo
noi, non ci sono più scuse o alibi. Intanto, fino
al 17 dicembre si è svolto a Buenos Aires la Cop 10,
che ha definito le modalità di entrata in vigore dell'accordo.
Il mondo scientifico ha accolto la notizia dell'avvio del
Trattato di Kyoto, a novanta giorni dall'approvazione di
esso da parte della Russia, con grande soddisfazione, in
modo particolare di coloro i quali passano la propria vita
a tentare di quantificare il più correttamente possibile
l'intreccio di fenomeni naturali che costituiscono l'effetto
serra. In questa logica, non possiamo condividere le affermazioni
di Tullio Regge, secondo il quale «esistono fondati
dubbi sia sull'esistenza che sulle cause dell'effetto serra».
La risposta è semplice: se non ci fosse, non ci sarebbe
vita sulla Terra. Quello che discutiamo è "l'effetto
serra generato da cause antropiche". Questa distinzione è fondamentale,
in quanto non si può pretendere che tutti la conoscano.
Guardiamo ora ad alcuni fatti incontestabili. Primo: sulla
fisica dell'effetto serra non c'è scienziato al mondo
che abbia alcun dubbio. Non ebbe perplessità il francese
Fourier quando nel 1837 inventò l'espressione "effet
de serre", non ne ebbe neanche lo svedese Svante Arrhenius,
premio Nobel, quando all'inizio del secolo scorso nella sua
tesi di dottorato calcolò che un raddoppio dell'anidride
carbonica atmosferica (CO2) avrebbe aumentato la temperatura
della Terra di vari gradi centigradi. Dopo più di
cento anni, con una miglior conoscenza della fisica su molti
aspetti allora oscuri nonché una miriade di scienziati
specializzati nello studio dell'atmosfera e del clima, siamo
arrivati essenzialmente allo stesso risultato. Questo in
fisica si chiama un dato "robusto". Secondo: l'umanità emette
ogni anno circa 24 miliardi di tonnellate di CO2 (il gas
ad effetto serra quantitativamente più cospicuo).
Che la CO2 atmosferica aumenti nel tempo non è una
teoria, è un fatto misurato da Keeling dal 1958. Terzo:
quello che trova Keeling è solo la metà circa
dell'anidride carbonica che si emette, grazie agli oceani
che assorbono l'altra metà. Quarto: i dati paleoclimatici
(che risalgono fino a 170 mila anni fa) dimostrano che più l'acqua
dei mari è calda, meno CO2 è in grado di assorbire.
Dunque, poiché l'aumento della CO2 porta a un riscaldamento,
la capacità degli oceani di assorbire la metà della
CO2 emessa diminuirà nel tempo. Di conseguenza una
sempre maggior quantità di CO2 rimarrà nell'atmosfera,
e sempre maggiore sarà il riscaldamento. Un fenomeno
di retro-alimentazione negativa di grande importanza. Quinto:
tutte le misure indicano che nell'ultimo secolo la temperatura
terrestre è aumentata di 0,6 gradi centigradi. Questo è l'incremento
più rilevante degli ultimi 10 mila anni. Sesto: recenti
analisi di dati sulla temperatura delle acque marine indicano
che dal 1950 tutti gli oceani si stanno riscaldando. Settimo:
tutte le misure a nostra disposizione indicano un riscaldamento
dell'Antartide di circa 4°C con un conseguente cospicuo
scioglimento di ghiacciai antartici. Inoltre, dal Kilimangiaro
alle Ande, è documentato che i ghiacciai si stanno
riducendo. Lo stesso fenomeno avviene in Groenlandia. Ottavo:
senza l'effetto serra antropico, nessuno è sinora
riuscito a spiegare il quinto e sesto punto. Ci hanno provato
i climatologi inglesi ma senza successo. Con l'aggiunta dell'effetto
serra antropico, si riproducono le misure in modo di gran
lunga più fedele. E se non è l'effetto serra,
chi ha scaldato gli oceani? Confrontiamo questo con le conseguenze
dell'innalzamento del livello dei mari: 30-40 milioni di
rifugiati dal Bangladesh al Delta del Nilo costretti a espatriare
perché sommersi dalle acque. Non si può definire
queste cifre "catastrofiche e ben poco razionali" poiché,
tra l'altro, sono state fatte recentemente da un think tank
del Pentagono (dove esistono le persone forse più pragmatiche
del mondo) e anni fa, indipendentemente, da un gruppo di
accademici. Si parla di decine di milioni di persone non
di 5000, si parla di un fenomeno che può avvenire
entro 50-70 anni e non ogni 250. É necessario ricordare
che gli Usa non hanno ratificato l'accordo. Il rifiuto degli
Usa è legato al timore di penalizzare le proprie imprese
nazionali, altrimenti costrette a sopportare costi maggiori
per l'introduzione di filtri o per l'abbattimento dell'inquinamento,
rispetto ai competitors internazionali. Il rifiuto di Bush
di ratificare Kyoto riceve molte critiche anche negli stessi
States sia dalle associazioni ambientaliste sia dagli avversari
politici Democratici. Il rifiuto degli Usa viene motivato
dall'assenza nel Protocollo di vincoli sulle emissioni per
i paesi in via di sviluppo e, in particolar modo, per la
Cina. Il timore che Kyoto danneggi l'economia americana a
favore di quella nascente cinese è pertanto evidente.
Gli Usa però rifiutano anche di affrontare qualsiasi
argomento sul "dopo Kyoto" del 2012 quando Cina
e India entreranno a tutti gli effetti negli accordi internazionali
di riduzione delle emissioni di CO2. L'amministrazione Bush
propone come alternativa un sistema internazionale basato
sulle riduzioni "volontarie" di CO2. Sulla base
di questa visione ogni paese dichiara di ridurre le proprie
emissioni per scelta volontaria. Durante il convegno internazionale
sul clima (Cop 10) a Buenos Aires, il Ministro dell'Ambiente,
Altiero Matteoli, ha annunciato che l'Italia potrebbe ritirarsi
dalla seconda fase del protocollo di Kyoto. Infatti, nel
2012 scadrà il trattato climatico e si negozierà per
il Kyoto 2. I dubbi sull'eventuale ritiro dell'Italia sono
il risultato che il nostro Governo ha raggiunto, fino adesso,
nella riduzione di anidride carbonica. In base al Protocollo
di Kyoto dovremmo ridurre del 6% le nostre emissioni, ma
fino a oggi non abbiamo fatto nessun passo in questa direzione,
anzi le nostre emissioni sono cresciute di 10%. Siamo convinti
che i Paesi che accetteranno la seconda fase del trattato,
cambiando il loro sistema energetico e investendo sulle energie
rinnovabili, saranno più competitivi nel mondo globalizzato.
Cambiare modello energetico serve all'ambiente, è necessario
per fermare i mutamenti climatici ed è indispensabile
per il futuro delle nostre economie. Il Governo pensa che
l'Italia non sia in grado di raggiungere gli obiettivi fissati
nel 1997 dal Kyoto 1 e preferisce rimanere legato alla difesa
di interessi tipici di chi ha paura di cambiare. Dopo il
2012 la Comunità internazionale discuterà per
il Kyoto 2 e il nostro paese dovrà decidere se continuare
con gli obblighi attuali, o modificare gli impegni stabiliti
nella prima fase. Il rischio che corre l'Italia è di
rimanere indietro rispetto ai paesi industrializzati. Questi,
con la sola eccezione degli Stati Uniti, hanno accettato
la sfida di Kyoto e la stanno giocando fino in fondo. L'energia è uno
dei tanti campi, purtroppo, dove l'Italia sta perdendo il
treno dell'innovazione e l'ambiente rischia di pagare prezzi
molto alti. Ridurre i consumi di petrolio serve a scongiurare
il rischio di mutamenti climatici terribili e a combattere
l'inquinamento dell'aria. In Europa, siamo uno dei pochissimi
Stati dove la maggioranza delle merci e dei passeggeri viaggiano
su gomma: uno dei materiali più "energivori" e
inquinanti. Questo è uno dei terreni di arretratezza
che pesano di più sull'ambiente e soprattutto sulla
competitività dell'Italia. Serve una grande svolta
nella politica energetica per rendersi conto del nesso esistente
tra modernità e nuovo sistema energetico. La scelta
di questo argomento in coincidenza con l'entrata in vigore
del trattato di Kyoto deve servire ad avviare una seria riflessione
sulla politica energetica, sul risparmio energetico, sulle
fonti alternative, argomenti che abbiamo già affrontato
su questa rivista. É necessario che il mondo delle
imprese e la politica "vera" non faccia da spettatore
su un argomento che li tocca da vicino e che essi partecipino
alle scelte che nei prossimi anni saranno fatte perché assumano
il ruolo che a loro spetta. Ci aspettiamo che anche nella
prossima competizione elettorale si affronti il tema dell'energia,
importante non solo per l'Italia, ma anche per la nostra
regione.
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