T.U. SULLA SICUREZZA E OHSAS 18001
requisiti e attitudini dei nuovi rspp
Metodi evoluti per gestire la prevenzione che cambia
Pasquale
Paolillo
Delegato Piccola Industria Ambiente e Sicurezza - Assindustria
Salerno p.paolillo@medilam.it
La divulgazione dei contenuti delle proposte di legge
necessarie a unificare le normative sulla prevenzione nei
luoghi di lavoro - di seguito T.U.- e i requisiti formativi
dei responsabili dei servizi di prevenzione e protezione
- di seguito RSPP - ha fatto nascere una infinità di
discussioni tra Governo, parti sociali ed esperti del settore. Opportunamente
nessuno difende lo status quo, frutto di provvedimenti legislativi succedutisi
in modo disordinato e contraddittorio negli ultimi settanta anni, ma
gli interessi in gioco sono notevoli e comprensibilmente ognuno cerca
di assicurare le migliori condizioni alla categoria rappresentata. Cosa
cambierà per le imprese quando sarà possibile, come si
legge nelle note di accompagnamento alla bozza di T.U., «fare prevenzione
non più normazione ma per obiettivi»?
Il sistema attuale, caratterizzato dalla logica del "comando e controllo",
cioè dal rispetto di norme cogenti, oramai non favorisce più l'evoluzione
della prevenzione. Se le statistiche dimostrano che l'80% degli infortuni è dovuto
a comportamenti pericolosi e non a cause tecniche, significa che gli
investimenti hanno reso disponibili nel tempo tecnologie più sicure
ed efficienti e i progressi futuri si otterranno solo migliorando formazione
e consapevolezza degli uomini. Il T.U. recepisce questa necessità,
introduce il concetto di sicurezza equivalente tecnicamente ed economicamente
fattibile, riduce i decreti degli anni '50 da norme cogenti a norme volontarie
di buona tecnica e buona prassi, e, soprattutto, punta allo snellimento
degli adempimenti formali a favore delle attività essenziali.
Buono nella filosofia e nello spirito riformatore, il T.U. appare concettualmente
in linea con i decreti in materia di prevenzione approvati negli ultimi
anni, la cui applicazione, ispirata alla semplificazione degli adempimenti
e alla responsabilizzazione dei ruoli specifici, ha generato grandi vantaggi
ma anche qualche effetto negativo. Infatti, dopo la L. 46/90 e la Direttiva
Macchine, che hanno amplificato il concetto della "sicurezza a monte",
cioè della responsabilità del costruttore, la più importante
semplificazione è stata introdotta dal D.Lgs. 25/02, che ha abrogato
l'assurdo regime delle visite mediche periodiche del DPR 303/56 lasciando
a ciascun datore di lavoro la libertà di valutare l'entità del
rischio di esposizione dei propri lavoratori ad agenti chimici pericolosi.
L'uscita del decreto scatenò polemiche senza fine, tutto sommato
dovute all'impreparazione del sistema ad assumersi la responsabilità di
operare senza un comando-controllo, e tutti invocarono per mesi la reintroduzione
per decreto di parametri predefiniti sui quali basare la valutazione
di rischio moderato. A distanza di tre anni in tante aziende si applica
il decreto in maniera non conforme e non è raro osservare pericolose
sottostime di pericoli oggettivi oppure l'esatto contrario, cioè DPI
inutili e costose visite mediche trimestrali o semestrali non giustificate
dalle condizioni degli ambienti di lavoro.
Luci e ombre anche in ambito di sorveglianza sanitaria da quando, nel
2000, è stata data la possibilità di svolgere incarichi
di medico competente agli specialisti in igiene e in medicina legale,
branche culturalmente distanti dalla medicina del lavoro. Il provvedimento
fu fortemente sostenuto dalla lobby dei medici per assicurare opportunità di
lavoro ad un gran numero di propri iscritti, e benedetto da Confindustria,
da sempre preoccupata al contenimento dei costi delle imprese. Aumentata
l'offerta di prestazioni aspecifiche si è assistito alla deregulation
delle tariffe e a un preoccupante impoverimento di risorse tecniche a
disposizione delle imprese, alle quali, rispetto al passato, viene offerta
sempre più medicina di base e meno medicina occupazionale proprio
nel momento in cui aumenta sensibilmente il contenzioso tra datori di
lavoro e dipendenti per tecnopatie, cioè per danni alla salute
causati dalle condizioni di lavoro. Utili e opportuni invece sono stati
gli effetti dei D.Lgs. 162/99 e 462/02, che danno la possibilità alle
imprese di fare omologare e verificare periodicamente ascensori, montacarichi
e impianti di terra a società private in possesso di autorizzazione
ministeriale. Quando la facilitazione sarà estesa a recipienti
in pressione e attrezzature di sollevamento quali gru e carriponte, le
aziende non subiranno più inefficienze e ritardi di ASL e ISPESL,
strutture pubbliche fin qui deputate in regime di monopolio ad erogare
questi servizi.
Unico provvedimento in controtendenza è il D.Lgs. 195/03 che regolamenta
e chiarisce requisiti e attitudini dell'RSPP, una figura centrale nell'organigramma
della sicurezza costretta troppo spesso ad una incerta collocazione funzionale
a causa della infelice interpretazione del ruolo da parte delle imprese
e degli stessi responsabili. Il decreto chiarisce definitivamente che
si tratta di un incarico di tipo professionale e, analizzando i contenuti
della formazione prevista per questa figura, si intuisce che in futuro
il ruolo sarà ispirato più all'organizzazione e gestione
di altre risorse che non all'esecuzione di puri compiti tecnici, facilmente
reperibili in outsoucing. A posteriori, i provvedimenti legislativi appena
citati appaiono come il preludio al T.U., che renderà anche in
Italia la sicurezza sul lavoro simile a quel "risk management" di
stampo anglosassone che ha ispirato tutte le direttive comunitarie in
materia di prevenzione. Il paragone appare ancora più chiaro leggendo
i vari punti della OHSAS 18001, il British Standard in procinto di consacrazione
ISO che incomincia a trovare sempre più ampia diffusione tra le
aziende che intendono dotarsi di un sistema di gestione della sicurezza
riconosciuto e certificabile. Chi lo ha già fatto definisce la
scelta quasi obbligata, necessaria a coagulare intorno a una cabina di
regia le attività di soggetti che, pur capaci nella propria disciplina,
sono culturalmente poco abituati a lavorare in staff. E a ben pensarci
questo accade in quasi tutte le PMI, dove tra consulenti esterni dagli
innumerevoli impegni, RSPP interni divisi tra produzione, manutenzione,
ambiente e sicurezza e preposti mai investiti di ruoli attivi il coordinamento
delle attività di tutte le figure coinvolte viene svolto in definitiva
dal datore di lavoro, con buona pace dei risultati generali e dei costi
di gestione. L'adozione di un sistema evoluto risolve questi problemi
apportando gli stessi benefici delle ISO 9001 e 14001, con le quali la
18001 condivide gli aspetti organizzativi e gestionali. Come per le altre
certificazioni il tipo di sistema adatto alla singola impresa verrà fuori
dopo aver consultato i risultati dell'audit iniziale che, con strumenti
adeguati, analizza luoghi di lavoro, tecnologie, chimica di base, processi
produttivi, capacità e attitudini dei soggetti coinvolti e, soprattutto
nella fase iniziale, le registrazioni delle attività attuate.
In genere si nota che i documenti prodotti da RSPP, igienisti industriali,
medico competente e fornitori di materie prime, tecnologie e impianti
sono validi ma tra loro scollegati, o peggio ancora in conflitto, e ciò evidenzia
che nessuno conosce il lavoro dell'altro e il sistema è adagiato
su una routine fatta di adempimenti formali portati avanti a compartimenti
stagni.
Ultima precisazione: diversamente dalla 14001 il rispetto della conformità legislativa
non riveste per la 18001 carattere pregiudiziale, per cui eventuali problemi
di sicurezza alle macchine potranno essere oggetto di azioni correttive
anche successive alla verifica dell'ente terzo.
|