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  Dicembre 2012

Articoli n° 2
MARZO 2005
 
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LA POLITICA INDUSTRIALE DELL'UE
TRASFORMAZIONI STRUTTURALI in atto
La Commissione elabora nuove strategie per limitare la delocalizzazione

Salvatore Vigliar
Docente di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione - Università della Basilicata
Esperto di Politiche Comunitarie
savig@tin.it

L’ industria manifatturiera continua ad avere un ruolo determinante per lo sviluppo economico dell'Europa, ma il rischio che l'Unione vada incontro a un processo di deindustrializzazione suscita crescenti preoccupazioni. Già nel dicembre 2002, con la comunicazione "La politica industriale in un'Europa allargata", la Commissione aveva enunciato i principi fondamentali della politica industriale europea e, successivamente, nel novembre 2003, elaborato un'analisi del problema della deindustrializzazione, contenuta nella comunicazione "I fattori chiave della competitività in Europa - Verso un approccio integrato"; entrambi i documenti rilevano i timori più volte espressi dal Consiglio europeo e, per suo tramite, dalle altre Istituzioni comunitarie. L'analisi della Commissione giunge alla conclusione che non esistono prove di un processo generalizzato di deindustrializzazione. Nell'industria europea sono però in atto trasformazioni strutturali che, nonostante risultino potenzialmente idonee a generare effetti benefici, devono essere governate da politiche efficaci tese a facilitare la creazione e l'utilizzo della conoscenza. Da questo punto di vista, i risultati insufficienti ottenuti dall'Europa, in particolare per quanto riguarda la produttività, la ricerca e l'innovazione, sono preoccupanti. Lo conferma, in particolare, il fatto che le delocalizzazioni di attività industriali sembrano non limitarsi più ai soli settori tradizionali a forte intensità di manodopera, ma cominciano a osservarsi anche nei settori intermedi che costituiscono i punti forti tradizionali dell'industria europea, o in alcuni settori di alta tecnologia in cui esistono indizi di delocalizzazione di attività di ricerca, o nei servizi. L'India e la Cina sono i grandi beneficiari di queste tendenze. Eppure, l'internazionalizzazione dell'economia apre all'industria europea prospettive favorevoli, a condizione che la politica industriale sostenga le necessarie evoluzioni. A tale riguardo, il recente allargamento offre alle aziende europee opportunità rilevanti, non soltanto perché amplia il mercato interno, ma anche perché permette loro di riorganizzare le catene di valore su scala continentale, sfruttando i vantaggi concorrenziali dei nuovi Stati membri. L'allargamento, infatti, può permettere di mantenere nell'UE produzioni che altrimenti sarebbero state trasferite in Asia, e così di garantire la competitività dei settori interessati, grazie alla riorganizzazione della catena di valore in Europa. Il settore tessile-abbigliamento, per il quale i costi del lavoro rappresentano una componente importante del prezzo dei prodotti, ha in particolare riorganizzato la sua filiera di produzione nei vicini paesi dell'Europa orientale e del Mediterraneo. Più recentemente anche altri settori, come l'industria automobilistica, hanno cominciato a riorganizzare le loro catene di valore per approfittare dei vantaggi offerti dai paesi aderenti. Tale strategia può permettere di conservare nell'UE attività che, altrimenti, avrebbero potuto essere delocalizzate in paesi terzi. Ad esempio, l'impresa finlandese Nokia ha delocalizzato parte della sua produzione in paesi dell'Europa orientale per ridurre i costi e mantiene in Finlandia (Oulu, Salo) stabilimenti imperniati sull'alta tecnologia. Per il momento, il processo di differenziazione verticale resta però più concentrato in alcuni settori (oltre al tessile e all'automobile, si può citare il comparto delle apparecchiature elettriche) e in alcuni paesi dell'Europa orientale. Inoltre, i vantaggi derivanti dai costi del lavoro relativamente bassi saranno transitori: la maggior parte dei "nuovi" Stati membri sperimenteranno, a un ritmo più o meno rapido, un processo di convergenza verso il resto dell'UE. Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ha inteso individuare una strategia di politica industriale funzionale a una corretta governance dei processi di trasformazione strutturale e, a tal fine, ha recentemente elaborato una nuova comunicazione: "Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Unione europea allargata". Dal documento emergono tre differenti tipologie di azioni. In primo luogo, l'Unione europea deve proseguire e implementare gli sforzi attuati per migliorare la legislazione e adottare un insieme di norme favorevoli all'industria. Nell'ambito della procedura integrata di valutazione dell'impatto delle proposte e delle iniziative della Commissione, che copre le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, dovrà essere approfondita la valutazione della dimensione "competitiva". Gli sforzi, del resto, non devono limitarsi alla sola Commissione; anche le altre istituzioni comunitarie e gli Stati membri dovranno impegnarsi in questo senso. In secondo luogo, le sinergie tra le varie politiche comunitarie che incidono sulla competitività dell'industria dovranno essere valorizzate. La comunicazione indica alcune iniziative specifiche, in cinque diversi settori, che permetteranno di migliorare queste sinergie e, in particolare, la capacità dell'industria europea di adattarsi ai mutamenti strutturali. Nel campo della conoscenza sono soprattutto le politiche dell'innovazione, della ricerca, della formazione e della concorrenza che svolgono un ruolo determinante. Anche il funzionamento dei mercati può essere migliorato, colmando le lacune del mercato interno o eliminando certi ostacoli di natura fiscale che impediscono alle imprese di sfruttarne tutti i vantaggi. Le politiche di coesione, specie la politica regionale e quella dell'occupazione, possono anch'esse contribuire attivamente ad accompagnare le trasformazioni industriali, in particolare favorendo lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze, e una politica della produzione sostenibile può contribuire a rafforzare la competitività dell'industria. Occorre, infine, sviluppare la dimensione internazionale della politica industriale per favorire l'accesso delle imprese comunitarie ai mercati dei paesi terzi ed esportare il modello di regolamentazione adottato con successo dall'U-nione nel mercato interno. In terzo luogo, l'UE deve continuare a sviluppare la dimensione settoriale della politica industriale. Si tratta, in particolare, di analizzare l'efficacia per ciascun settore degli strumenti di carattere orizzontale esistenti, per valutarne l'idoneità e proporne, eventualmente, gli opportuni adattamenti. La comunicazione fa il punto sulle iniziative settoriali già varate negli ultimi mesi e ne preannuncia di nuove, in diversi comparti, come, ad esempio, quelli dell'automobile o dell'industria meccanica. In conclusione, la competitività dell'Europa dipende in gran parte dall'industria; le istituzioni comunitarie e gli Stati membri devono contribuire a creare condizioni favorevoli all'attività delle imprese. Le priorità proposte dalla Commissione, che mirano ad agire sui diversi livelli che condizionano la competitività dell'industria, risultano particolarmente pertinenti nel caso dei nuovi Stati membri: la moderazione sul piano normativo permetterà di non erodere prematuramente le prospettive di competitività; l'accento posto sulla diffusione della conoscenza e sulla coesione consentirà di elaborare strategie comparate efficaci; l'approccio settoriale della competitività permetterà di dare una risposta mirata ai problemi di trasformazione industriale in atto. Le sfide poste dall'allargamento alla politica industriale dell'Unione potranno così essere raccolte e, si spera, superate con successo.

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