LA POLITICA INDUSTRIALE DELL'UE
TRASFORMAZIONI STRUTTURALI in atto
La Commissione elabora nuove strategie
per limitare la delocalizzazione
Salvatore Vigliar
Docente di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione - Università della
Basilicata
Esperto di Politiche Comunitarie
savig@tin.it
L’ industria manifatturiera continua ad avere
un ruolo determinante per lo sviluppo economico dell'Europa,
ma il rischio che l'Unione vada incontro a un processo di deindustrializzazione
suscita crescenti preoccupazioni. Già nel dicembre 2002,
con la comunicazione "La politica industriale in un'Europa
allargata", la Commissione aveva enunciato i principi
fondamentali della politica industriale europea e, successivamente,
nel novembre 2003, elaborato un'analisi del problema della
deindustrializzazione, contenuta nella comunicazione "I
fattori chiave della competitività in Europa - Verso
un approccio integrato"; entrambi i documenti rilevano
i timori più volte espressi dal Consiglio europeo e,
per suo tramite, dalle altre Istituzioni comunitarie. L'analisi
della Commissione giunge alla conclusione che non esistono
prove di un processo generalizzato di deindustrializzazione.
Nell'industria europea sono però in atto trasformazioni
strutturali che, nonostante risultino potenzialmente idonee
a generare effetti benefici, devono essere governate da politiche
efficaci tese a facilitare la creazione e l'utilizzo della
conoscenza. Da questo punto di vista, i risultati insufficienti
ottenuti dall'Europa, in particolare per quanto riguarda la
produttività, la ricerca e l'innovazione, sono preoccupanti.
Lo conferma, in particolare, il fatto che le delocalizzazioni
di attività industriali sembrano non limitarsi più ai
soli settori tradizionali a forte intensità di manodopera,
ma cominciano a osservarsi anche nei settori intermedi che
costituiscono i punti forti tradizionali dell'industria europea,
o in alcuni settori di alta tecnologia in cui esistono indizi
di delocalizzazione di attività di ricerca, o nei servizi.
L'India e la Cina sono i grandi beneficiari di queste tendenze.
Eppure, l'internazionalizzazione dell'economia apre all'industria
europea prospettive favorevoli, a condizione che la politica
industriale sostenga le necessarie evoluzioni. A tale riguardo,
il recente allargamento offre alle aziende europee opportunità rilevanti,
non soltanto perché amplia il mercato interno, ma anche
perché permette loro di riorganizzare le catene di valore
su scala continentale, sfruttando i vantaggi concorrenziali
dei nuovi Stati membri. L'allargamento, infatti, può permettere
di mantenere nell'UE produzioni che altrimenti sarebbero state
trasferite in Asia, e così di garantire la competitività dei
settori interessati, grazie alla riorganizzazione della catena
di valore in Europa. Il settore tessile-abbigliamento, per
il quale i costi del lavoro rappresentano una componente importante
del prezzo dei prodotti, ha in particolare riorganizzato la
sua filiera di produzione nei vicini paesi dell'Europa orientale
e del Mediterraneo. Più recentemente anche altri settori,
come l'industria automobilistica, hanno cominciato a riorganizzare
le loro catene di valore per approfittare dei vantaggi offerti
dai paesi aderenti. Tale strategia può permettere di
conservare nell'UE attività che, altrimenti, avrebbero
potuto essere delocalizzate in paesi terzi. Ad esempio, l'impresa
finlandese Nokia ha delocalizzato parte della sua produzione
in paesi dell'Europa orientale per ridurre i costi e mantiene
in Finlandia (Oulu, Salo) stabilimenti imperniati sull'alta
tecnologia. Per il momento, il processo di differenziazione
verticale resta però più concentrato in alcuni
settori (oltre al tessile e all'automobile, si può citare
il comparto delle apparecchiature elettriche) e in alcuni paesi
dell'Europa orientale. Inoltre, i vantaggi derivanti dai costi
del lavoro relativamente bassi saranno transitori: la maggior
parte dei "nuovi" Stati membri sperimenteranno, a
un ritmo più o meno rapido, un processo di convergenza
verso il resto dell'UE. Alla luce di tali considerazioni, la
Commissione ha inteso individuare una strategia di politica
industriale funzionale a una corretta governance dei processi
di trasformazione strutturale e, a tal fine, ha recentemente
elaborato una nuova comunicazione: "Accompagnare le trasformazioni
strutturali: una politica industriale per l'Unione europea
allargata". Dal documento emergono tre differenti tipologie
di azioni. In primo luogo, l'Unione europea deve proseguire
e implementare gli sforzi attuati per migliorare la legislazione
e adottare un insieme di norme favorevoli all'industria. Nell'ambito
della procedura integrata di valutazione dell'impatto delle
proposte e delle iniziative della Commissione, che copre le
tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, dovrà essere
approfondita la valutazione della dimensione "competitiva".
Gli sforzi, del resto, non devono limitarsi alla sola Commissione;
anche le altre istituzioni comunitarie e gli Stati membri dovranno
impegnarsi in questo senso. In secondo luogo, le sinergie tra
le varie politiche comunitarie che incidono sulla competitività dell'industria
dovranno essere valorizzate. La comunicazione indica alcune
iniziative specifiche, in cinque diversi settori, che permetteranno
di migliorare queste sinergie e, in particolare, la capacità dell'industria
europea di adattarsi ai mutamenti strutturali. Nel campo della
conoscenza sono soprattutto le politiche dell'innovazione,
della ricerca, della formazione e della concorrenza che svolgono
un ruolo determinante. Anche il funzionamento dei mercati può essere
migliorato, colmando le lacune del mercato interno o eliminando
certi ostacoli di natura fiscale che impediscono alle imprese
di sfruttarne tutti i vantaggi. Le politiche di coesione, specie
la politica regionale e quella dell'occupazione, possono anch'esse
contribuire attivamente ad accompagnare le trasformazioni industriali,
in particolare favorendo lo sviluppo e la diffusione delle
conoscenze, e una politica della produzione sostenibile può contribuire
a rafforzare la competitività dell'industria. Occorre,
infine, sviluppare la dimensione internazionale della politica
industriale per favorire l'accesso delle imprese comunitarie
ai mercati dei paesi terzi ed esportare il modello di regolamentazione
adottato con successo dall'U-nione nel mercato interno. In
terzo luogo, l'UE deve continuare a sviluppare la dimensione
settoriale della politica industriale. Si tratta, in particolare,
di analizzare l'efficacia per ciascun settore degli strumenti
di carattere orizzontale esistenti, per valutarne l'idoneità e
proporne, eventualmente, gli opportuni adattamenti. La comunicazione
fa il punto sulle iniziative settoriali già varate negli
ultimi mesi e ne preannuncia di nuove, in diversi comparti,
come, ad esempio, quelli dell'automobile o dell'industria meccanica.
In conclusione, la competitività dell'Europa dipende
in gran parte dall'industria; le istituzioni comunitarie e
gli Stati membri devono contribuire a creare condizioni favorevoli
all'attività delle imprese. Le priorità proposte
dalla Commissione, che mirano ad agire sui diversi livelli
che condizionano la competitività dell'industria, risultano
particolarmente pertinenti nel caso dei nuovi Stati membri:
la moderazione sul piano normativo permetterà di non
erodere prematuramente le prospettive di competitività;
l'accento posto sulla diffusione della conoscenza e sulla coesione
consentirà di elaborare strategie comparate efficaci;
l'approccio settoriale della competitività permetterà di
dare una risposta mirata ai problemi di trasformazione industriale
in atto. Le sfide poste dall'allargamento alla politica industriale
dell'Unione potranno così essere raccolte e, si spera,
superate con successo.
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