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  Dicembre 2012

Articoli n° 2
MARZO 2005
 
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PRIVACY E 231
NUOVI MODI DI FARE IMPRESA
Analogie e parallelismi tra i due adempimenti

Rosario Imperiali
Studio Legale Imperiali
rosario.imperiali@imperiali.com

 

Una delle novità di maggior rilievo, introdotte dal d.lgs. 196/2003, riguarda l'obbligo, per le società e gli enti tenuti alla pubblicazione del bilancio di esercizio e dei documenti allegati, di attestare, nella relazione accompagnatoria degli amministratori allegata al bilancio, l'avvenuta redazione e aggiornamento del Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS). Quest'ultimo è un piano aziendale, la cui redazione è obbligatoria per legge - e sanzionata penalmente in caso di omissione - in tutti i casi di trattamento con strumenti elettronici di dati sensibili e/o giudiziari. L'attestazione di tale adempimento nella relazione accompagnatoria al bilancio d'esercizio segna la continuità tra il diritto societario e il diritto "privacy", imprimendo al DPS il rango di vero e proprio "bilancio" sulla sicurezza, fondato su un modello organizzativo e di gestione del rischio "sicurezza" in continuo divenire: attraverso tale modello, si fissano i ruoli e le responsabilità connessi ai trattamenti operati in azienda e, sulla base dei risultati conseguiti nel precedente esercizio, si identificano le aree a rischio da presidiare nel corso dell'esercizio successivo, nonché il piano di attuazione in materia coi relativi obblighi di formazione dei dipendenti, verifiche intermedie e così via. La stessa logica di processo aziendale presiede all'adozione del modello organizzativo di prevenzione della responsabilità "di impresa", introdotta dal d.lgs. 231/2001 per i reati di frode, malversazione, corruzione e altri commessi - dagli organi sociali (CdA, amministratore delegato, eccetera) o da singoli esponenti aziendali (dirigente, dipendente, consulente esterno) - nell'interesse o a vantaggio della società. In questi casi, il decreto prevede una forma di "esonero" da responsabilità per l'azienda che dimostri, nel corso del procedimento penale per uno dei reati considerati, di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione del reato per cui si procede e di aver istituito un organismo indipendente e autonomo, competente a vigilare sull'attuazione dei modelli. Al contrario, l'assenza del modello organizzativo di prevenzione dei reati espone l'impresa a una presunzione di responsabilità che non ammette prova contraria. Ciò non significa, tuttavia, che la società sia obbligata a dotarsi di un modello organizzativo "231", così come è invece obbligata, da apposita sanzione penale prevista dal Codice Privacy (art. 169), a dotarsi del DPS. In ciò risiede la differenza più saliente tra i due adempimenti: mentre le misure minime di sicurezza previste dal Codice Privacy e culminanti nel DPS integrano un obbligo di legge sanzionato penalmente, la scelta di adottare o meno il modello 231 è rimessa a una valutazione discrezionale dell'imprenditore. Il diverso valore giuridico dei due adempimenti tende a sfumare alla luce delle recenti integrazioni apportate - all'impianto originario del D.lgs. 231/2001 - dalla Finanziaria 2005. Con essa, viene dettata una specifica prescrizione in base alla quale tutti gli enti e le società che fruiscono di finanziamenti a carico di bilanci pubblici o dell'UE - in materia di avviamento al lavoro, aggiornamento e formazione professionale, utilizzazione di lavoratori, sgravi contributivi per personale addetto all'attività produttiva - devono dotarsi, entro il 31 ottobre 2005, di "specifiche misure organizzative e di funzionamento idonee a prevenire il rischio del compimento di illeciti nel loro interesse o a loro vantaggio, nel rispetto dei principi previsti dal decreto legislativo, 6 giugno 2001, n.231" (art. 1, comma 82, legge 311 del 2004). L'adozione di un modello organizzativo di prevenzione dei reati è sancita, al pari del DPS, in termini di vero e proprio obbligo a carico delle imprese che accedano a una particolare tipologia di fondi pubblici: quelli destinati all'area formazione/lavoro. A conferma di tale obbligatorietà, sono previste ispezioni da parte di appositi organismi pubblici - ai quali va tempestivamente comunicata l'adozione delle misure di prevenzione individuati nei comitati di coordinamento finanziario regionale competenti per territorio. Protagonista di questa operazione di "messa a norma" sarà l'Istituto per lo sviluppo e la formazione professionale dei lavoratori (Isfol) che ha il compito di verificare e approvare la conformità - agli obiettivi fissati dalla norma - di quelle già adottate dalle imprese. Il processo vedrà coinvolta anche l'Agenzia delle Entrate che comunica all'Isfol, in modalità telematica, l'elenco degli enti beneficiari delle agevolazioni o degli incentivi in materia di formazione e avviamento al lavoro. Se la nuova Finanziaria riduce espressamente la discrezionalità degli organi sociali nell'adottare o meno il modello organizzativo 231, non va taciuto che il carattere facoltativo della scelta appariva, di fatto, già limitato dal coordinamento tra la disciplina 231 e il nuovo regime di responsabilità degli amministratori di società introdotto dalla legge di riforma del diritto societario (l. n. 366/2001) ove si prevede, a carico degli amministratori, un duplice dovere di vigilanza: uno consistente nell'onere di adempiere a tutti gli obblighi previsti dalla legge e dall'atto costitutivo (art. 2392.1 c.c.) al quale, pertanto, è riconducibile anche l'adozione del DPS e delle altre misure minime di sicurezza e la relativa attestazione nei documenti di bilancio, l'altro nell'obbligo di vigilare sul generale andamento della gestione, facendo quanto possibile per evitare ed eliminare le conseguenze dannose per la società derivanti da atti pregiudizievoli di cui gli amministratori siano a conoscenza (cfr. art. 2392.2 c.c.). In questa prospettiva, l'introduzione del modello organizzativo 231 diviene, perciò, oggetto di un dovere di vigilanza specifica che grava sugli amministratori: l'inosservanza di questo dovere espone l'organo dirigente all'azione di responsabilità civile per i danni causati alla società chiamata a rispondere per illecito 231, alla stessa stregua di quanto può accadere per i danni derivanti dalla mancata adozione del DPS e delle altre misure minime di sicurezza, ferma restando, in quest'ultimo caso, la sanzione penale prevista dal Codice Privacy (art. 169). Ma il parallelismo tra i due adempimenti non si arresta al carattere della obbligatorietà. Come già accennato, DPS e Modello di Organizzazione e Gestione del rischio di reato sono legati allo stesso processo di minimizzazione del rischio: in entrambi i casi, è necessario individuare tutte le possibili aree di rischio, con particolare attenzione alle attività che portano l'azienda a confrontarsi in vario modo con le "minacce" prefigurate dai due processi, sia che riguardino il trattamento di dati sensibili con strumenti elettronici (DPS) o i rapporti con la Pubblica Amministrazione (M.O. 231). Ma le analogie non si fermano qui. I due modelli di compliance aziendale possono, infatti, interagire in vista della prevenzione di reati che, considerati nell'unicità del disegno criminoso, incidono sia sulla sfera del "Data Security", tutelata dal DPS, sia su quella della criminalità d'impresa fronteggiata dal modello organizzativo 231: è il caso del trattamento illecito di dati personali che sia finalizzato alla indebita percezione di erogazioni pubbliche, alla frode informatica a danno della P.A. o alla pedofilia on line, tutti reati per i quali è prevista, in aggiunta alla responsabilità penale dell'autore materiale, quella 231 a carico della società. Allo stesso modo, la falsa attestazione dell'avvenuta redazione o aggiornamento del DPS - in realtà mancante - in quanto falsità riportata nella relazione degli amministratori allegata al bilancio, può integrare sia il reato di false comunicazioni sociali - al quale è estesa la responsabilità 231 della società - sia quello di omessa adozione di misure minime di sicurezza, punito dal Codice Privacy. Più in generale, un trattamento illecito di dati personali o una procedura di gestione delle informazioni aziendali in difformità dalle prescrizioni del Codice Privacy e del Disciplinare Tecnico ad esso allegato, sono idonei ad agevolare, in concreto, la commissione di diversi fatti delittuosi di cui la società può essere chiamata a rispondere in base al d.lgs.231. Alla luce di tali rilievi sulla sostanziale omogeneità delle due discipline, emerge una nuova frontiera di due diligence aziendale, in cui la confluenza tra i modelli organizzativi "Privacy" e "231" necessita di gestione unitaria da parte di un'unica funzione di internal auditing: è possibile, cioè, prospettare la creazione di una unità di coordinamento interna alla società che cumuli le funzioni dell'Organismo di Vigilanza sul modello organizzativo 231 con quelle di Centro di Competenza "Privacy" preposto alla corretta gestione dei flussi informativi aziendali e alla manutenzione e aggiornamento del DPS. Un tale modello "integrato" di governo societario, supportato costantemente da un monitoraggio coordinato e da un'analisi dei rischi mirata, può essere impostato dal management non solo per rispondere a obblighi di legge, ma anche per migliorare la qualità dei processi decisionali.

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