LA FUSIONE TELECOM ITALIA-TIM
IL FUTURO DELLA TELEFONIA
le regole di BASILEA 2
OPPORTUNITÀ O MINACCIA PER LE PMI?
TERZO BANDO PER LE PMI
TEMPI CERTI CON IL PACCHETTO DI MPS
LA FUSIONE TELECOM ITALIA-TIM
IL FUTURO DELLA TELEFONIA
Fiducia e ottimismo da parte degli
addetti ai lavori per questa operazione
Sàntolo
Cannavale
Esperto di mercati finanziari
s.cannavale@virgilio.it
Il gruppo Telecom Italia, composto da Telecom Italia spa, Tim,
Telecom Italia media, Olivetti Tecnost e guidato da Marco Tronchetti
Provera, il 24 febbraio 2005 ha presentato agli azionisti e
al mercato i risultati di bilancio al 31 dicembre 2004. I ricavi
ammontano a 31.237 milioni di euro, con un incremento dell'1,3%
rispetto al 2003. La crescita sarebbe del 4,9% a parità di
cambio e con l'apporto di Seat Pagine gialle, ceduta nell'agosto
2003. Telecom Italia spa ha contribuito ai dati del gruppo
con ricavi per 16.126 milioni di euro (-0,6 rispetto al 2003);
Tim ha generato ricavi per 12.900 milioni di euro (+9,5% rispetto
al 2003). Il margine operativo (valore aggiunto al netto di
costo del lavoro e ammortamenti) è di 7.200 milioni
di euro, in crescita del 6,1% rispetto ai 6.789 milioni del
2003: la positiva evoluzione è dovuta, in particolare,
alla contrazione del costo del lavoro da 4.297 milioni di euro
del 2003 a 4.037 milioni del 2004 (-6,1%). Il personale del
gruppo da 93.187 unità del 2003 si è ridimensionato
a 91.365 unità a fine 2004. L'utile netto è pari
a 1.902 milioni di euro. Nel 2003 registrava 2.428 milioni
ma includeva benefici fiscali per 1.266 milioni derivanti dalla
fusione Olivetti-Telecom Italia. La gestione finanziaria risulta
negativa per 1.952 milioni di euro nel 2004 rispetto ai 2.192
milioni del 2003. Il costo del debito dichiarato dalla società è pari
al 4,9%. L'indebitamento finanziario netto ammonta a 29.525
milioni di euro (33.346 milioni al 31.12.2003) e lieviterà a
circa 44.000 milioni di euro a conclusione dell'operazione
di fusione in corso. Le obbligazioni in essere al 31.12.2004
ammontano a 35.232 milioni di euro; di questi, 11.217 milioni
saranno in scadenza entro il 2007 e 6.451 entro il 2009. Il
debito complessivo del gruppo al 31.12.2004 è pari a
38.844 milioni di euro. È evidenziata una liquidità al
31.12.2004 per 9.300 milioni di euro che andrebbe analizzata
accuratamente. Tim non ha debiti, al contrario presenta una
posizione finanziaria netta positiva per 317 milioni di euro
(934 milioni di euro al 31.12.2003). Il patrimonio netto del
gruppo è pari a 19.861 milioni di euro, in diminuzione
rispetto ai 20.589 milioni al 31.12.2003. Gli investimenti
industriali dichiarati per il 2004 ammontano a 5.335 milioni
di euro suddivisi tra telefonia fissa e mobile (UMTS e rete
Edge in Italia, sviluppo GSM in Brasile). I dati che richiedono
attenzione sono l'alto livello di indebitamento del gruppo
e il decremento dei ricavi connessi alla telefonia da rete
fissa. In Italia, a sette anni dalla relativa liberalizzazione,
si registrano polemiche infinite sulla "deregulation":
la riprova è la multa Antitrust di 152 milioni di euro
inflitta a Telecom Italia, peraltro oggetto di contestazione.
Si impongono innovazioni tecnologiche per conservare le quote
di mercato e nuove norme che tengano conto del processo di
convergenza fisso-mobile. Il futuro è rappresentato
dalla banda larga che ha già rivitalizzato il mercato
con l'ADSL e con la TV via internet. Il passo avanti decisivo
per i modelli di business e per gli equilibri tra operatori è rappresentato
dal Voip (Voice over Internet protocol), il sistema con cui
gli operatori possono trasportare anche le normali telefonate
sulla rete che fino a ieri era riservata alle connessioni Web
e ad altri servizi dati, collegando tra loro due telefoni fissi
mediante la rete ADSL. Il gestore telefonico ne trae un forte
beneficio in termini di costi, perché il "protocollo
Internet" consente di trasportare su un unico doppino
più linee telefoniche, svalutando in prospettiva il
concetto di canone. Sul Voip hanno già puntato molti "provider" e
piccoli operatori che considerano la nuova tecnologia l'unico
passpartout per crescere o entrare nella telefonia fissa. É stimato
nell'80% il risparmio sugli attuali costi fissi per una media
azienda che disponga di 5 linee telefoniche. Il mercato mondiale
delle infrastrutture per la telefonia su Internet è previsto
in crescita, nel periodo 2003-2007 del 282% fino a raggiungere
i 5 miliardi di dollari USA nel 2007 (Infonetics Research).
Tenendo conto di tali prospettive di mercato, Telecom Italia
e Tim il 7 dicembre 2004 hanno approvato un percorso di integrazione
tra le due società. La fusione mira a semplificare la
struttura proprietaria e a migliorare quella patrimoniale e
finanziaria; di fatto la Telecom potrà beneficiare dei
flussi di cassa della Tim incamerandone gli utili. Agli azionisti
Tim sono stati offerti fino a 14,5 miliardi di euro (5,6 euro
per azione) per cedere le loro azioni alla Telecom. Il debito
complessivo di quest'ultima, in virtù dell'acquisizione
di Tim è previsto in aumento da 30.000 a circa 44.000
milioni di euro e rappresenta una criticità non secondaria.
Il 21 gennaio 2005 si è conclusa l'offerta pubblica
di acquisto di Telecom Italia sui 2/3 delle azioni ordinarie
e su tutte quelle di risparmio Tim. Sono state portate in adesione
azioni ordinarie Tim pari al 31,2% del capitale di categoria.
Per le seconde il capitale apportato è stato del 6,4%,
non raggiungendo la soglia minima di adesioni. Nonostante ciò,
si è deciso di proseguire, realizzando la prevista fusione
per incorporazione di Tim in Telecom Italia con i seguenti
rapporti di concambio delle residue azioni sul mercato: 1,73
azioni Telecom per ogni azione Tim; 2,36 azioni Telecom risparmio
per ogni azione Tim risparmio. Il perfezionamento dell'operazione
avverrà a fine giugno 2005, dopo la distribuzione dei
dividendi per l'esercizio 2004 e le assemblee straordinarie
di approvazione convocate per aprile. L'A.D. del gruppo Carlo
Buora, sul Corriere della Sera del 25 febbraio 2005 ha sostenuto
che la sfida da fronteggiare «è difficile perché in
un settore così competitivo, dove si deve coniugare
tecnologia e mercato, ogni giorno ci sono nuovi traguardi.
E non è possibile adagiarsi sui risultati ottenuti.
L'integrazione fisso-mobile è importante non solo per
l'aspetto finanziario. Tim non ha una struttura finanziaria
ottimale: genera molta cassa, senza avere debito. La fusione
aumenterà il cash flow a disposizione del gruppo, e
questo vuol dire investimenti, ma anche possibile aumento della
remunerazione per gli azionisti. E, evidentemente, anche una
maggiore capacità di ridurre il debito complessivo».
Le sostanziose attività portate in dote dalla Tim consentiranno,
pertanto, di fronteggiare una esposizione finanziaria del gruppo
Telecom obiettivamente elevata e di compensare un andamento
del fatturato di telefonia fissa non più soddisfacente.
La stampa e alcuni analisti sono ottimisti rispetto a questa
operazione. Il fiume di pubblicità a marchio Telecom
e le laute commissioni sul "prestito sindacato" di
circa 12 miliardi di euro concesso da un pool di banche per
l'acquisto della Tim, potrebbero rendere disattenti e superficiali
gli specialisti della finanza e della comunicazione sulla ristrutturazione
aziendale in corso. Il presidente del gruppo Telecom Marco
Tronchetti Provera, in una lusinghiera intervista rilasciata
a "Il Mondo", n.9 del 4 marzo 2005, sostiene che
nessuno diventa grande imprenditore se non è capace
di visioni e non sa prevedere quei cambiamenti che rivoluzioneranno
le produzioni e il mondo. Rivoluzione oggi sintetizzata in
due numeri: «Tra l'inizio del 2001 e la fine del 2004,
sulla rete di Telecom, costruita nel corso di cent'anni, si è passati
da 130 miliardi di minuti di traffico all'anno a 300 miliardi
di minuti. Questo è stato possibile anche con l'aiuto
della ricerca che è il motore della crescita e permette
di osare e superare le difficoltà». Telecom Italia,
ultimata la fusione con Tim, sarà controllata da Olimpia
(società presieduta dallo stesso Tronchetti Provera)
per il 19,04%, Brandes investiment per il 2,99%, Hopa per il
2,90%, Generali per il 2,32%. I piccoli azionisti, estranei
alla gestione del gruppo, copriranno il 72,75% del capitale
di rischio.
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