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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2005
 
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LA FUSIONE TELECOM ITALIA-TIM
IL FUTURO DELLA TELEFONIA

le regole di BASILEA 2
OPPORTUNITÀ O MINACCIA PER LE PMI?

TERZO BANDO PER LE PMI
TEMPI CERTI CON IL PACCHETTO DI MPS

LA FUSIONE TELECOM ITALIA-TIM
IL FUTURO DELLA TELEFONIA
Fiducia e ottimismo da parte degli addetti ai lavori per questa operazione


Sàntolo Cannavale
Esperto di mercati finanziari
s.cannavale@virgilio.it



Il gruppo Telecom Italia, composto da Telecom Italia spa, Tim, Telecom Italia media, Olivetti Tecnost e guidato da Marco Tronchetti Provera, il 24 febbraio 2005 ha presentato agli azionisti e al mercato i risultati di bilancio al 31 dicembre 2004. I ricavi ammontano a 31.237 milioni di euro, con un incremento dell'1,3% rispetto al 2003. La crescita sarebbe del 4,9% a parità di cambio e con l'apporto di Seat Pagine gialle, ceduta nell'agosto 2003. Telecom Italia spa ha contribuito ai dati del gruppo con ricavi per 16.126 milioni di euro (-0,6 rispetto al 2003); Tim ha generato ricavi per 12.900 milioni di euro (+9,5% rispetto al 2003). Il margine operativo (valore aggiunto al netto di costo del lavoro e ammortamenti) è di 7.200 milioni di euro, in crescita del 6,1% rispetto ai 6.789 milioni del 2003: la positiva evoluzione è dovuta, in particolare, alla contrazione del costo del lavoro da 4.297 milioni di euro del 2003 a 4.037 milioni del 2004 (-6,1%). Il personale del gruppo da 93.187 unità del 2003 si è ridimensionato a 91.365 unità a fine 2004. L'utile netto è pari a 1.902 milioni di euro. Nel 2003 registrava 2.428 milioni ma includeva benefici fiscali per 1.266 milioni derivanti dalla fusione Olivetti-Telecom Italia. La gestione finanziaria risulta negativa per 1.952 milioni di euro nel 2004 rispetto ai 2.192 milioni del 2003. Il costo del debito dichiarato dalla società è pari al 4,9%. L'indebitamento finanziario netto ammonta a 29.525 milioni di euro (33.346 milioni al 31.12.2003) e lieviterà a circa 44.000 milioni di euro a conclusione dell'operazione di fusione in corso. Le obbligazioni in essere al 31.12.2004 ammontano a 35.232 milioni di euro; di questi, 11.217 milioni saranno in scadenza entro il 2007 e 6.451 entro il 2009. Il debito complessivo del gruppo al 31.12.2004 è pari a 38.844 milioni di euro. È evidenziata una liquidità al 31.12.2004 per 9.300 milioni di euro che andrebbe analizzata accuratamente. Tim non ha debiti, al contrario presenta una posizione finanziaria netta positiva per 317 milioni di euro (934 milioni di euro al 31.12.2003). Il patrimonio netto del gruppo è pari a 19.861 milioni di euro, in diminuzione rispetto ai 20.589 milioni al 31.12.2003. Gli investimenti industriali dichiarati per il 2004 ammontano a 5.335 milioni di euro suddivisi tra telefonia fissa e mobile (UMTS e rete Edge in Italia, sviluppo GSM in Brasile). I dati che richiedono attenzione sono l'alto livello di indebitamento del gruppo e il decremento dei ricavi connessi alla telefonia da rete fissa. In Italia, a sette anni dalla relativa liberalizzazione, si registrano polemiche infinite sulla "deregulation": la riprova è la multa Antitrust di 152 milioni di euro inflitta a Telecom Italia, peraltro oggetto di contestazione. Si impongono innovazioni tecnologiche per conservare le quote di mercato e nuove norme che tengano conto del processo di convergenza fisso-mobile. Il futuro è rappresentato dalla banda larga che ha già rivitalizzato il mercato con l'ADSL e con la TV via internet. Il passo avanti decisivo per i modelli di business e per gli equilibri tra operatori è rappresentato dal Voip (Voice over Internet protocol), il sistema con cui gli operatori possono trasportare anche le normali telefonate sulla rete che fino a ieri era riservata alle connessioni Web e ad altri servizi dati, collegando tra loro due telefoni fissi mediante la rete ADSL. Il gestore telefonico ne trae un forte beneficio in termini di costi, perché il "protocollo Internet" consente di trasportare su un unico doppino più linee telefoniche, svalutando in prospettiva il concetto di canone. Sul Voip hanno già puntato molti "provider" e piccoli operatori che considerano la nuova tecnologia l'unico passpartout per crescere o entrare nella telefonia fissa. É stimato nell'80% il risparmio sugli attuali costi fissi per una media azienda che disponga di 5 linee telefoniche. Il mercato mondiale delle infrastrutture per la telefonia su Internet è previsto in crescita, nel periodo 2003-2007 del 282% fino a raggiungere i 5 miliardi di dollari USA nel 2007 (Infonetics Research). Tenendo conto di tali prospettive di mercato, Telecom Italia e Tim il 7 dicembre 2004 hanno approvato un percorso di integrazione tra le due società. La fusione mira a semplificare la struttura proprietaria e a migliorare quella patrimoniale e finanziaria; di fatto la Telecom potrà beneficiare dei flussi di cassa della Tim incamerandone gli utili. Agli azionisti Tim sono stati offerti fino a 14,5 miliardi di euro (5,6 euro per azione) per cedere le loro azioni alla Telecom. Il debito complessivo di quest'ultima, in virtù dell'acquisizione di Tim è previsto in aumento da 30.000 a circa 44.000 milioni di euro e rappresenta una criticità non secondaria. Il 21 gennaio 2005 si è conclusa l'offerta pubblica di acquisto di Telecom Italia sui 2/3 delle azioni ordinarie e su tutte quelle di risparmio Tim. Sono state portate in adesione azioni ordinarie Tim pari al 31,2% del capitale di categoria. Per le seconde il capitale apportato è stato del 6,4%, non raggiungendo la soglia minima di adesioni. Nonostante ciò, si è deciso di proseguire, realizzando la prevista fusione per incorporazione di Tim in Telecom Italia con i seguenti rapporti di concambio delle residue azioni sul mercato: 1,73 azioni Telecom per ogni azione Tim; 2,36 azioni Telecom risparmio per ogni azione Tim risparmio. Il perfezionamento dell'operazione avverrà a fine giugno 2005, dopo la distribuzione dei dividendi per l'esercizio 2004 e le assemblee straordinarie di approvazione convocate per aprile. L'A.D. del gruppo Carlo Buora, sul Corriere della Sera del 25 febbraio 2005 ha sostenuto che la sfida da fronteggiare «è difficile perché in un settore così competitivo, dove si deve coniugare tecnologia e mercato, ogni giorno ci sono nuovi traguardi. E non è possibile adagiarsi sui risultati ottenuti. L'integrazione fisso-mobile è importante non solo per l'aspetto finanziario. Tim non ha una struttura finanziaria ottimale: genera molta cassa, senza avere debito. La fusione aumenterà il cash flow a disposizione del gruppo, e questo vuol dire investimenti, ma anche possibile aumento della remunerazione per gli azionisti. E, evidentemente, anche una maggiore capacità di ridurre il debito complessivo». Le sostanziose attività portate in dote dalla Tim consentiranno, pertanto, di fronteggiare una esposizione finanziaria del gruppo Telecom obiettivamente elevata e di compensare un andamento del fatturato di telefonia fissa non più soddisfacente. La stampa e alcuni analisti sono ottimisti rispetto a questa operazione. Il fiume di pubblicità a marchio Telecom e le laute commissioni sul "prestito sindacato" di circa 12 miliardi di euro concesso da un pool di banche per l'acquisto della Tim, potrebbero rendere disattenti e superficiali gli specialisti della finanza e della comunicazione sulla ristrutturazione aziendale in corso. Il presidente del gruppo Telecom Marco Tronchetti Provera, in una lusinghiera intervista rilasciata a "Il Mondo", n.9 del 4 marzo 2005, sostiene che nessuno diventa grande imprenditore se non è capace di visioni e non sa prevedere quei cambiamenti che rivoluzioneranno le produzioni e il mondo. Rivoluzione oggi sintetizzata in due numeri: «Tra l'inizio del 2001 e la fine del 2004, sulla rete di Telecom, costruita nel corso di cent'anni, si è passati da 130 miliardi di minuti di traffico all'anno a 300 miliardi di minuti. Questo è stato possibile anche con l'aiuto della ricerca che è il motore della crescita e permette di osare e superare le difficoltà». Telecom Italia, ultimata la fusione con Tim, sarà controllata da Olimpia (società presieduta dallo stesso Tronchetti Provera) per il 19,04%, Brandes investiment per il 2,99%, Hopa per il 2,90%, Generali per il 2,32%. I piccoli azionisti, estranei alla gestione del gruppo, copriranno il 72,75% del capitale di rischio.

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