IL FINANZIAMENTO DEI SOCI
LA COMPARSA NEL “NUOVO CODICE CIVILE”
RIFORMA
DEGLI INCENTIVI ALLE IMPRESE
MISURE PER LA COMPETITIVITÀ
IL FINANZIAMENTO DEI SOCI
LA COMPARSA NEL “NUOVO CODICE CIVILE”
L’amministratore deve evitare
che il rimborso possa essere dichiarato illecito
Luigi
Lamberti
Componente Ordine Dottori Commercialisti di Salerno
l.lamberti@commercialistisalerno.it
Il finanziamento dei soci con obbligo di restituzione, sia esso fruttifero
che infruttifero, ha sempre rappresentato un'operazione largamente
diffusa per dotare la società di risorse finanziarie senza ricorrere
o all'indebitamento bancario, non privo di ostacoli soprattutto per
le società di piccole
e medie dimensioni, o al versamento a fondo perduto, che è di fatto
un incremento del patrimonio netto, e in quanto tale, non dà diritto
alcuno di restituzione. Il limite al finanziamento dei soci, prima
della riforma del diritto societario, era rappresentato dall'art.
11 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (T.U. delle leggi in materia
bancaria e creditizia), che acconsentiva tale forma di finanziamento a
condizione che non assumesse i connotati di una raccolta di risparmio tra
il pubblico, attività riservata
dalla legge agli intermediari finanziari. Successivamente, a tale
riserva generale furono previste alcune deroghe dalla Delibera 3
marzo 1994 del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio)
la quale disponeva che: «la raccolta di fondi presso i soci operata
dalle società diverse dalle cooperative non costituisce raccolta
di risparmio tra il pubblico a condizione che tale forma di finanziamento
sia prevista da un'apposita clausola dello statuto e coinvolga soltanto
i soci iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi che detengano
una partecipazione di almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante
dall'ultimo bilancio».
Le istruzioni della Banca d'Italia, applicative della Delibera CICR,
precisavano che «non costituiscono raccolta di risparmio presso soci
le singole operazioni di finanziamento a favore della società che
uno o più soci
decidano di effettuare, sempreché tali operazioni non si configurino,
di fatto, come forme di raccolta». Pertanto, per un corretto finanziamento
dei soci alla società occorreva che i soci possedessero i requisiti
previsti dalla suddetta Delibera CICR, rispettassero gli obblighi
di trasparenza delle operazioni di raccolta, predisponessero a pena
di nullità in
forma scritta il contratto di finanziamento indicando in modo specifico
l'importo del prestito, l'eventuale tasso d'interesse convenuto e
la scadenza. Il più delle volte il contratto di finanziamento si
formalizzava attraverso lo scambio di corrispondenza tra gli amministratori
e i soci, al fine di pagare l'imposta di registro solo in caso d'uso.
Con la riforma del diritto societario, la materia dei finanziamenti dei
soci verso la società trova per la prima volta nel nostro ordinamento
un esplicito inquadramento legislativo, in particolar modo nella
disciplina delle società a
responsabilità limitata (art. 2467 c.c.), anche se ad essa si affiancano
riferimenti all'interno della disciplina dettata per i gruppi (art.
2497-quinquies c.c.), applicabile sia alle spa che alle srl, e in
alcune indicazioni di carattere contabile (artt. 2424 e 2427 c.c.). Nella
Relazione illustrativa del D.Lgs. 17/01/2003 n. 6 "Riforma organica
delle società di
capitali e società cooperative" si legge che il legislatore,
con l'introduzione della nuova regola contenuta nell'art. 2467 c.c.,
ha voluto trovare la soluzione «comune alla maggior parte degli ordinamenti
e sostanzialmente già affermata in giurisprudenza, di una postergazione
dei relativi crediti rispetto a quelli degli altri creditori». Infatti,
ai sensi dell'art. 2467 c.1 c.c., il rimborso dei finanziamenti dei
soci alla società è postergato rispetto alla soddisfazione
degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione
di fallimento della società, deve essere restituito. Però è stato "chiarito" che
queste disposizioni non si applicano indistintamente per ogni tipo
di finanziamento effettuato alla società. Infatti, nel secondo comma
dell'art. 2467 c.c., si legge che, ai fini delle disciplina riportata,
si intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli,
in qualsiasi forma effettuati, concessi:
- in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata
dalla società, risulti un eccessivo squilibrio dell'indebitamento
rispetto al patrimonio netto;
- in una situazione finanziaria della società in cui sarebbe stato
ragionevole un conferimento.
Quindi dalla lettura dell'art. 2467 c.c. si desume che i finanziamenti
dei soci, a seguito della nuova disciplina introdotta dalla Riforma del
diritto societario, sono di due specie: i finanziamenti concessi in una
situazione fisiologica della società al fine, ad esempio, di evitare
il più oneroso ricorso al finanziamento bancario; e quelli concessi
in un momento in cui risulta esistente un eccessivo squilibrio dell'indebitamento
rispetto al patrimonio netto ovvero in una situazione finanziaria della
società in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Solo ai
finanziamenti di questo ultimo tipo si applica la disciplina di cui all'art.
2467 c. 1 c.c.. Ma in che modo devono essere individuati i finanziamenti
che ricadono nell'ambito della disciplina dell'art. 2467 c. 1 c.c. e da
chi? Infatti, parole quali squilibrio, che non deve essere mero bensì eccessivo,
indebitamento sul patrimonio o una particolare situazione finanziaria che
avallerebbe un conferimento, non sono dei chiari indicatori. Alla luce
di ciò potremmo dire che ogni tipologia di finanziamento, anche
se effettuata con tale intento, resta sospesa in attesa che qualcuno, verosimilmente
la giurisprudenza, venga a segnalare alcuni parametri per la sua individuazione.
Il Consiglio nazionale del Notariato a tal proposito ha osservato che i
parametri per l'analisi non saranno di derivazione microeconomica e aziendale,
quindi di tipo quantitativo, ma verranno assunti in base a valutazioni
di carattere squisitamente giuridico, facendo richiamo al criterio generale
della ragionevolezza. Questo principio è stato individuato nella
Relazione al D.Lgs. 17/01/2003 n. 6, quale criterio idoneo a distinguere
tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società che
non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo. L'interprete è «invitato
ad adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto
della situazione della società e la si confronti con i comportamenti
che nel mercato sarebbe appunto ragionevole aspettarsi». Tante parole
per dire di lasciare alla giurisprudenza il compito di dare un contenuto
all'art. 2467 c.c.. A tal proposito ci si chiede cosa accadrà per
i finanziamenti eseguiti in passato. Anche se la norma è entrata
in vigore il 1° gennaio 2004, essa potrebbe essere usata per regolare
fattispecie sorte precedentemente. La conseguenza di questo assunto è che
se fosse stato fatto un finanziamento nel 2003, esso potrà essere
considerato come versamento in conto capitale se la società era
eccessivamente squilibrata o aveva una situazione finanziaria precaria.
Ovviamente ci penserà il giudice a deciderlo quando qualcuno, liquidatore
o curatore, lo richiederà. Certo che le condizioni discriminanti
per far scattare le nuove disposizioni sono da verificare al momento della
concessione delle somme in conto finanziamento dal socio alla società e
non al momento del rimborso. Pertanto, l'amministratore che rimborsa, di
conseguenza, deve prestare attenzione a che il finanziamento non fosse
stato concesso in un momento di eccessivo squilibrio d'indebitamento rispetto
al patrimonio netto, per evitare che quel rimborso potesse essere dichiarato
illecito e rivelarsi fonte di responsabilità per chi l'abbia effettuato.
Dal punto di vista contabile va detto che prima della riforma, i finanziamenti
dei soci alla società dovevano essere iscritti tra i debiti finanziari
alla voce D.4 del passivo dello stato patrimoniale, denominata "Debiti
verso altri finanziatori", completando l'informativa nella nota integrativa
con la precisazione della durata del finanziamento, delle caratteristiche
tecniche, delle eventuali garanzie, della misura degli interessi. Con la
riforma è stato previsto che la rilevazione deve avvenire all'interno
della voce D.3 dello stato patrimoniale, denominata “Debiti verso
soci per finanziamenti” (art. 2424 c.c.), indistintamente sia per
i finanziamenti dei soci “ordinari” che per quelli “postergati”,
effettuando in nota integrativa una ripartizione per scadenze e un'indicazione
separata in ragione della "clausola di postergazione" rispetto
agli altri creditori (art. 2427 n. 19-bis c.c.). Con riguardo al bilancio
redatto in forma abbreviata, il nuovo art. 2435-bis c. 2 c.c. continua
ad affermare che nella voce D del passivo dello stato patrimoniale ci si
deve limitare all'indicazione dei debiti esigibili oltre l'esercizio, mentre
tutti i nuovi contenuti della nota integrativa non rientrano tra le informazioni
passibili di essere omesse, con la conseguenza che resta necessaria una
ripartizione per scadenze e un'indicazione separata in ragione della clausola
di postergazione rispetto agli altri creditori.
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