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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2005
 
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FEDERMECCANICA
APERTURA AI MERCATI GLOBALI

IL LIMITE DIMENSIONALE DELLE AZIENDE
CRESCERE SI PuÒ

FEDERMECCANICA
APERTURA AI MERCATI GLOBALI
La tutela delle ragioni economiche e competitive dell’industria metalmeccanica è un fattore strategico per l’Italia

di Raffaella Venerando & Monica De Carluccio

Continua il nostro ciclo di interviste con i Presidenti delle principali Federazioni di Categoria. Dopo aver ospitato Gian Francesco Imperiali, Presidente Federazione Anie (Costozero n.1/2005) e Costanzo Jannotti Pecci, Presidente Federturismo (Costozero n.2/2005), in questo numero approfondiamo le tematiche legate al settore metalmeccanico con il Presidente di Federmeccanica, Massimo Calearo, attualmente anche leader degli industriali della provincia di Vicenza e del Gruppo Calearo, specializzato nel campo delle antenne automotive e tlc.

Quali le condizioni dell'industria metalmeccanica italiana?
I dati dell'ultima rilevazione congiunturale di Federmeccanica confermano che il settore sta attraversando una prolungata fase di incertezza. Nel 2004 l'attività produttiva non ha mostrato andamenti univoci: complessivamente i volumi di produzione sono aumentati dell'1,2% rispetto all'anno precedente, ma si tratta di una crescita molto modesta, tenuto conto che la redditività rimane sempre molto compressa e che nel triennio 2001-2003 i volumi produttivi erano calati di ben sette punti percentuali.

In questo contesto, si inserisce il tema del rinnovo del contratto nazionale di lavoro del settore. Federmeccanica ha già giudicato eccessive le richieste dei sindacati. Che situazione si sta delineando?
É nostra intenzione affrontare la questione con spirito propositivo e costruttivo, ma siamo molto preoccupati per le richieste economiche avanzate. Esse non sono accettabili perché per il prossimo biennio pesano il doppio dell'inflazione programmata, e sono assurdamente più elevate per quelle piccole aziende che non hanno svolto contrattazione aziendale, nelle quali presumibilmente c'è minore capacità di assorbire i costi. In definitiva, sono richieste che non tengono conto della difficile situazione economica del settore, che non solo è il più importante per l'industria del nostro paese, ma è anche tra i più esposti alla competizione internazionale. Dovremo tuttavia fare ogni ragionevole sforzo per ricercare ciò che ci può unire e non ciò che ci può dividere dal sindacato; spero che sia un impegno reciproco, animato da buona volontà e senso di responsabilità.

Nelle sue dichiarazioni, lei fa spesso appello al senso di responsabilità e allo spirito di squadra. É un messaggio che vale anche per il rapporto col sindacato?
Non per orgoglio di categoria, ma per senso di responsabilità nei confronti del Paese, sottolineo che la tutela delle ragioni economiche e competitive dell'industria metalmeccanica costituisce un fattore davvero strategico per l'Italia, che deve diventare quindi un punto fermo unificante nel nostro rapporto con il sindacato.
C'è un dato di fatto: l'industria metalmeccanica, con il suo milione e mezzo di occupati, cui si aggiunge l'indotto, produce un reddito per oltre due milioni di famiglie italiane, contribuisce per circa il 10% alla formazione del PIL nazionale e rappresenta circa il 50% delle esportazioni complessive del paese. È quindi chiaro che ci deve essere un interesse convergente a evitare un conflitto redistributivo che peggiorerebbe ulteriormente le già compresse condizioni competitive della nostra im-presa sui mercati internazionali e nei confronti dei competitori esteri.

Di cosa ha bisogno, oggi, l'industria meccanica per poter rimanere competitiva sui mercati internazionali?
La metalmeccanica italiana ha bisogno di un recupero forte di competitività. Per raggiungere l'obiettivo serve, innanzitutto, una condivisione da parte dei sindacati delle necessità di contenimento dei costi aziendali sotto tutti i profili, e poi occorre un miglioramento delle condizioni di flessibilità operativa delle imprese, per adeguare la produzione all'effettiva richiesta del mercato. C'è necessità anche di un'attenzione particolare da parte del mondo del credito. E c'è bisogno, infine, di una politica governativa che coniughi le ragioni della spesa pubblica con quelle di una fiscalità meno gravosa per le imprese e per i lavoratori, puntando a una riduzione del cuneo fiscale/contributivo che oggi grava sulle retribuzioni, in modo da consentire una maggiore remunerazione del fattore lavoro senza incidere sui costi dell'impresa.

Ha accennato alla flessibilità. Sarà anche questo un tema al centro delle trattative con i sindacati?
La discussione coi sindacati sull'applicazione di alcuni importanti istituti normativi come il contratto a termine o il lavoro temporaneo, nonché sui temi che noi vogliamo aggiungere delle flessibilità in genere, non riguarda questa fase di rinnovo contrattuale - che interessa solo la parte salariale - e non intendiamo quindi fare collegamenti inopportuni fra temi economici, pure importantissimi, e i temi relativi alle condizioni operative delle aziende. É evidente, peraltro, che questi temi, per la loro strategicità, non possono essere rinviati agli appuntamenti canonici contrattuali: quello che sta succedendo nel mondo a livello di ridistribuzione del lavoro, di localizzazioni produttive, di nuovi paesi competitori, e ciò che sta succedendo nel nostro paese con diffuse situazioni di crisi aziendali o di perdita di fette di produzione che vengono localizzate all'estero, deve necessariamente essere presidiato anche dal dialogo sindacale; ciò per cercare di sviluppare fattori di competitività che accompagnino la trasformazione e l'evoluzione della nostra base produttiva coi minori costi sociali possibili.

Considerate dunque la flessibilità come un ingrediente che fa parte a tutti gli effetti della ricetta per la competitività e lo sviluppo?
Certamente. Le nostre imprese ormai non vendono più soltanto un prodotto metalmeccanico frutto di una trasformazione: se così fosse, con i nostri costi gran parte dell'industria sarebbe già fuori mercato. Vendiamo soprattutto un servizio, che va dalla capacità di trasferire rapidamente le idee innovative nel prodotto, a quella di consegnare il prodotto dove e quando serve, nei tempi che ci vengono assegnati dal cliente. Siamo in un mondo che, per motivi di finanza, fa sempre meno magazzino e lavora con un orizzonte temporale proiettato sul breve periodo. La nostra forza lavoro, che è sicuramente di prima qualità, deve quindi, nel pieno rispetto delle leggi esistenti, poter dare il suo contributo di professionalità con quella flessibilità operativa che richiede la nuova condizione di lavoro internazionale. Le aziende hanno bisogno di certezza del rispetto delle norme del contratto nazionale, e di norme che diano una sufficiente elasticità nell'utilizzo degli impianti e quindi del personale addetto, perché è su queste certezze che fondano il rapporto con il cliente. Su questo si deve aprire un capitolo nuovo nel dialogo con il sindacato; un dialogo che, nell'interesse reciproco, non può essere differito.

Oggi i processi di globalizzazione dei mercati stanno investendo anche il comparto meccanico. Quali sono i principali problemi che oggi interessano il settore?
Sono molti i motivi di preoccupazione che i processi di globalizzazione stanno evidenziando, specie in quest'ultimo periodo: da una lato, dobbiamo affrontare una competizione internazionale sempre più agguerrita, capace non solo di offrire prodotti a costi molto più bassi dei nostri, ma anche di sviluppare quelle strategie di flessibilità produttiva e di occupazione dei mercati di nicchia. Dall'altro lato, la globalizzazione ci impone di presidiare sempre di più i mercati esteri, soprattutto nel nostro settore metalmeccanico, dove uno dei fattori di competitività più importanti è l'assistenza post vendita e la velocità nella fornitura della ricambistica. In tale contesto, occorre sviluppare la propensione delle nostre imprese ad investire sui mercati di vendita. D'altra parte, va considerato anche il fatto che presidiare i mercati non è facile, soprattutto per le aziende medio-piccole, che non dispongono, a volte, delle risorse umane e finanziarie per gestire al meglio queste scelte. Pur consapevoli di tutte le conseguenze dei cambiamenti in atto, nella nostra idea di internazionalizzazione prevalgono tuttavia gli aspetti positivi, considerandola come una grossa opportunità, un processo virtuoso di crescita delle imprese, capace di non sottrarre occupazione in Italia ma anzi di crearne di nuova, rafforzando la nostra competitività internazionale. Questo vale anche per la subfornitura, chiamata anch'essa a internazionalizzarsi, seguendo la committenza e specializzando ulteriormente le proprie produzioni. L'espe-rienza personale della mia azienda va proprio in questa direzione, costringendoci a presidiare i mercati di produzione dell'automobile su scala mondiale. Nel complesso, si può dire pertanto che i risultati fin qui raggiunti sono incoraggianti: dimostrano che si può crescere, anche nel nostro Paese, investendo di più all'estero.

In che misura il settore della meccanica è oggi interessato ai processi di apertura ai mercati globali? Si tratta di fenomeni di spostamento all'estero della produzione alla sola ricerca di minori costi o è piuttosto un riposizionamento sui mercati esteri mediante l'instaurazione di nuovi rapporti di fornitura e vendita?
Credo che la stragrande maggioranza delle nostre imprese veda nell'internazionalizzazione un'opportunità di crescere, presidiando i propri mercati strategici. Una recente indagine, svolta dall'Associazione degli Industriali della Provincia di Vicenza, ha mostrato come la ricerca dei più bassi costi di produzione sia forse l'ultimo dei motivi che spingono ad investire all'estero. L'orienta-mento dominante è l'attenzione al mercato; oggi molte imprese guardano alla Cina, e non a caso, perché la Cina è il motore della economia mondiale ed è il mercato che cresce in misura maggiore. Gli investimenti in Cina vengono effettuati pensando quindi ad un potenziale mercato di 1,5 miliardi di persone e non per i suoi costi di produzione; se si ragionasse soltanto in base a questi, si andrebbe su altri paesi, ancora più interessanti.

Ritiene che anche il settore della meccanica sia oggi interessato dal problema della tutela dei marchi e dei brevetti?
Non c'è dubbio che il problema sia sentito e che lo sarà sempre di più, nel momento in cui chiediamo alle nostre imprese di fare uno sforzo per l'innovazione e lo sviluppo del proprio know how. Ritengo però che anche questo sia un problema da affrontare in prospettiva globale: vanno bene gli strumenti approntati dall'U-nione Europea, ma non bastano; a causa delle contraffazioni, le nostre aziende perdono importanti commesse, negli USA, in Brasile, in Russia, su mercati che ovviamente non fanno parte della CE. Per tutte queste ragioni, c'è bisogno di uno sforzo concorde del nostro Sistema Paese, allo scopo di approntare centri di assistenza e supporto alle aziende che vengono copiate. Qualcosa si sta già facendo, in forza delle più recenti leggi finanziarie. C'è però ancora molto da fare per allestire, attraverso le nostre Ambasciate e gli uffici Ice, un ombrello protettivo che sia adeguato alle esigenze delle singole imprese e del "Made in Italy" nel suo complesso. Pur augurandoci che tali iniziative possano crescere e produrre effetti positivi, non va dimenticato che il nodo sostanziale da risolvere è tuttavia un altro: le attuali norme europee permettono che venga chiamato costruttore anche chi importa. L'importa-tore, infatti, si prende la responsabilità di introdurre prodotti che non subiscono gli stessi controlli estremamente minuziosi ai quali sono sottoposti i costruttori nazionali, con evidenti disparità sul piano dei costi e della valenza della certificazione. Questo equivoco a livello di normative europee rischia di pesare duramente e di penalizzare in modo particolare i costruttori "veri", talvolta controllati dalle autorità italiane al limite della vessazione. Come industria metalmeccanica, subiamo inoltre altre vistose limitazioni, dovute al problema di reciprocità nella tassazione nell'import-export europeo. Veri e propri dazi doganali che però danneggiano soltanto le nostre aziende.

Quali sono le prospettive nel medio termine per il settore della meccanica? Quali strategie dovrebbero essere messe in atto per rilanciare la competitività del settore?
Le prospettive future sono di grande incertezza e nessuno è in grado di fare previsioni sul medio periodo. É comunque ragionevole ritenere che difficilmente assisteremo ad una espansione della base produttiva, mentre ci sono concrete possibilità di incremento del volume di affari e della redditività, soprattutto se il settore saprà mettere a frutto il processo di internazionalizzazione nel quale è fortemente coinvolto e se saprà rapidamente incrementare la propria cultura della conoscenza, oltre che la cultura del fare. La buona qualità delle nostre risorse umane non è un punto di arrivo, ma deve essere un punto di partenza; per questo occorre continuare a fare formazione, riqualificazione, per poter far sì che le nostre imprese possano disporre di collaboratori sempre più motivati e preparati ad affrontare le sfide di una competizione globale, che ci richiede una particolare attenzione ai servizi oltre che alla qualità dei prodotti.

 

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