FEDERMECCANICA
APERTURA AI MERCATI GLOBALI
IL LIMITE DIMENSIONALE
DELLE AZIENDE
CRESCERE SI PuÒ
FEDERMECCANICA
APERTURA AI MERCATI GLOBALI
La tutela delle ragioni economiche
e competitive dell’industria metalmeccanica è un fattore
strategico per l’Italia
di Raffaella Venerando & Monica De Carluccio
Continua il nostro ciclo di interviste con i Presidenti delle principali
Federazioni di Categoria. Dopo aver ospitato Gian Francesco Imperiali,
Presidente Federazione Anie (Costozero n.1/2005) e Costanzo Jannotti Pecci,
Presidente Federturismo (Costozero n.2/2005), in questo numero approfondiamo
le tematiche legate al settore metalmeccanico con il Presidente di Federmeccanica,
Massimo Calearo, attualmente anche leader degli industriali della provincia
di Vicenza e del Gruppo Calearo, specializzato nel campo delle antenne
automotive e tlc.
Quali le condizioni dell'industria metalmeccanica italiana?
I dati dell'ultima rilevazione congiunturale di Federmeccanica confermano
che il settore sta attraversando una prolungata fase di incertezza. Nel
2004 l'attività produttiva non ha mostrato andamenti univoci:
complessivamente i volumi di produzione sono aumentati dell'1,2% rispetto
all'anno precedente, ma si tratta di una crescita molto modesta, tenuto
conto che la redditività rimane sempre molto compressa e che nel
triennio 2001-2003 i volumi produttivi erano calati di ben sette punti
percentuali.
In questo contesto, si inserisce il tema del rinnovo
del contratto nazionale di lavoro del settore. Federmeccanica ha già giudicato
eccessive le richieste dei sindacati. Che situazione si sta delineando?
É nostra intenzione affrontare la questione con spirito propositivo
e costruttivo, ma siamo molto preoccupati per le richieste economiche avanzate.
Esse non sono accettabili perché per il prossimo biennio pesano il
doppio dell'inflazione programmata, e sono assurdamente più elevate
per quelle piccole aziende che non hanno svolto contrattazione aziendale,
nelle quali presumibilmente c'è minore capacità di assorbire
i costi. In definitiva, sono richieste che non tengono conto della difficile
situazione economica del settore, che non solo è il più importante
per l'industria del nostro paese, ma è anche tra i più esposti
alla competizione internazionale. Dovremo tuttavia fare ogni ragionevole
sforzo per ricercare ciò che ci può unire e non ciò che
ci può dividere dal sindacato; spero che sia un impegno reciproco,
animato da buona volontà e senso di responsabilità.
Nelle sue dichiarazioni, lei fa spesso appello al
senso di responsabilità e
allo spirito di squadra. É un messaggio che vale anche per il rapporto
col sindacato?
Non per orgoglio di categoria, ma per senso di responsabilità nei
confronti del Paese, sottolineo che la tutela delle ragioni economiche
e competitive dell'industria metalmeccanica costituisce un fattore davvero
strategico per l'Italia, che deve diventare quindi un punto fermo unificante
nel nostro rapporto con il sindacato.
C'è un dato di fatto: l'industria metalmeccanica, con il suo milione
e mezzo di occupati, cui si aggiunge l'indotto, produce un reddito per
oltre due milioni di famiglie italiane, contribuisce per circa il 10% alla
formazione del PIL nazionale e rappresenta circa il 50% delle esportazioni
complessive del paese. È quindi chiaro che ci deve essere un interesse
convergente a evitare un conflitto redistributivo che peggiorerebbe ulteriormente
le già compresse condizioni competitive della nostra im-presa sui
mercati internazionali e nei confronti dei competitori esteri.
Di cosa ha bisogno, oggi, l'industria meccanica per poter rimanere competitiva
sui mercati internazionali?
La metalmeccanica italiana ha bisogno di un recupero forte di competitività.
Per raggiungere l'obiettivo serve, innanzitutto, una condivisione da parte
dei sindacati delle necessità di contenimento dei costi aziendali
sotto tutti i profili, e poi occorre un miglioramento delle condizioni
di flessibilità operativa delle imprese, per adeguare la produzione
all'effettiva richiesta del mercato. C'è necessità anche
di un'attenzione particolare da parte del mondo del credito. E c'è bisogno,
infine, di una politica governativa che coniughi le ragioni della spesa
pubblica con quelle di una fiscalità meno gravosa per le imprese
e per i lavoratori, puntando a una riduzione del cuneo fiscale/contributivo
che oggi grava sulle retribuzioni, in modo da consentire una maggiore remunerazione
del fattore lavoro senza incidere sui costi dell'impresa.
Ha accennato alla flessibilità. Sarà anche
questo un tema al centro delle trattative con i sindacati?
La discussione coi sindacati sull'applicazione di alcuni importanti istituti
normativi come il contratto a termine o il lavoro temporaneo, nonché sui
temi che noi vogliamo aggiungere delle flessibilità in genere, non
riguarda questa fase di rinnovo contrattuale - che interessa solo la parte
salariale - e non intendiamo quindi fare collegamenti inopportuni fra temi
economici, pure importantissimi, e i temi relativi alle condizioni operative
delle aziende. É evidente, peraltro, che questi temi, per la loro
strategicità, non possono essere rinviati agli appuntamenti canonici
contrattuali: quello che sta succedendo nel mondo a livello di ridistribuzione
del lavoro, di localizzazioni produttive, di nuovi paesi competitori, e
ciò che sta succedendo nel nostro paese con diffuse situazioni di
crisi aziendali o di perdita di fette di produzione che vengono localizzate
all'estero, deve necessariamente essere presidiato anche dal dialogo sindacale;
ciò per cercare di sviluppare fattori di competitività che
accompagnino la trasformazione e l'evoluzione della nostra base produttiva
coi minori costi sociali possibili.
Considerate dunque la flessibilità come un ingrediente che fa parte
a tutti gli effetti della ricetta per la competitività e lo sviluppo?
Certamente. Le nostre imprese ormai non vendono più soltanto un
prodotto metalmeccanico frutto di una trasformazione: se così fosse,
con i nostri costi gran parte dell'industria sarebbe già fuori mercato.
Vendiamo soprattutto un servizio, che va dalla capacità di trasferire
rapidamente le idee innovative nel prodotto, a quella di consegnare il
prodotto dove e quando serve, nei tempi che ci vengono assegnati dal cliente.
Siamo in un mondo che, per motivi di finanza, fa sempre meno magazzino
e lavora con un orizzonte temporale proiettato sul breve periodo. La nostra
forza lavoro, che è sicuramente di prima qualità, deve quindi,
nel pieno rispetto delle leggi esistenti, poter dare il suo contributo
di professionalità con quella flessibilità operativa che
richiede la nuova condizione di lavoro internazionale. Le aziende hanno
bisogno di certezza del rispetto delle norme del contratto nazionale, e
di norme che diano una sufficiente elasticità nell'utilizzo degli
impianti e quindi del personale addetto, perché è su queste
certezze che fondano il rapporto con il cliente. Su questo si deve aprire
un capitolo nuovo nel dialogo con il sindacato; un dialogo che, nell'interesse
reciproco, non può essere differito.
Oggi i processi di globalizzazione dei mercati stanno investendo anche
il comparto meccanico. Quali sono i principali problemi che oggi interessano
il settore?
Sono molti i motivi di preoccupazione che i processi di globalizzazione
stanno evidenziando, specie in quest'ultimo periodo: da una lato, dobbiamo
affrontare una competizione internazionale sempre più agguerrita,
capace non solo di offrire prodotti a costi molto più bassi dei
nostri, ma anche di sviluppare quelle strategie di flessibilità produttiva
e di occupazione dei mercati di nicchia. Dall'altro lato, la globalizzazione
ci impone di presidiare sempre di più i mercati esteri, soprattutto
nel nostro settore metalmeccanico, dove uno dei fattori di competitività più importanti è l'assistenza
post vendita e la velocità nella fornitura della ricambistica. In
tale contesto, occorre sviluppare la propensione delle nostre imprese ad
investire sui mercati di vendita. D'altra parte, va considerato anche il
fatto che presidiare i mercati non è facile, soprattutto per le
aziende medio-piccole, che non dispongono, a volte, delle risorse umane
e finanziarie per gestire al meglio queste scelte. Pur consapevoli di tutte
le conseguenze dei cambiamenti in atto, nella nostra idea di internazionalizzazione
prevalgono tuttavia gli aspetti positivi, considerandola come una grossa
opportunità, un processo virtuoso di crescita delle imprese, capace
di non sottrarre occupazione in Italia ma anzi di crearne di nuova, rafforzando
la nostra competitività internazionale. Questo vale anche per la
subfornitura, chiamata anch'essa a internazionalizzarsi, seguendo la committenza
e specializzando ulteriormente le proprie produzioni. L'espe-rienza personale
della mia azienda va proprio in questa direzione, costringendoci a presidiare
i mercati di produzione dell'automobile su scala mondiale. Nel complesso,
si può dire pertanto che i risultati fin qui raggiunti sono incoraggianti:
dimostrano che si può crescere, anche nel nostro Paese, investendo
di più all'estero.
In che misura il settore della meccanica è oggi interessato ai processi
di apertura ai mercati globali? Si tratta di fenomeni di spostamento all'estero
della produzione alla sola ricerca di minori costi o è piuttosto
un riposizionamento sui mercati esteri mediante l'instaurazione di nuovi
rapporti di fornitura e vendita?
Credo che la stragrande maggioranza delle nostre imprese veda nell'internazionalizzazione
un'opportunità di crescere, presidiando i propri mercati strategici.
Una recente indagine, svolta dall'Associazione degli Industriali della
Provincia di Vicenza, ha mostrato come la ricerca dei più bassi
costi di produzione sia forse l'ultimo dei motivi che spingono ad investire
all'estero. L'orienta-mento dominante è l'attenzione al mercato;
oggi molte imprese guardano alla Cina, e non a caso, perché la Cina è il
motore della economia mondiale ed è il mercato che cresce in misura
maggiore. Gli investimenti in Cina vengono effettuati pensando quindi ad
un potenziale mercato di 1,5 miliardi di persone e non per i suoi costi
di produzione; se si ragionasse soltanto in base a questi, si andrebbe
su altri paesi, ancora più interessanti.
Ritiene che anche il settore della meccanica sia oggi interessato dal problema
della tutela dei marchi e dei brevetti?
Non c'è dubbio che il problema sia sentito e che lo sarà sempre
di più, nel momento in cui chiediamo alle nostre imprese di fare
uno sforzo per l'innovazione e lo sviluppo del proprio know how. Ritengo
però che anche questo sia un problema da affrontare in prospettiva
globale: vanno bene gli strumenti approntati dall'U-nione Europea, ma non
bastano; a causa delle contraffazioni, le nostre aziende perdono importanti
commesse, negli USA, in Brasile, in Russia, su mercati che ovviamente non
fanno parte della CE. Per tutte queste ragioni, c'è bisogno di uno
sforzo concorde del nostro Sistema Paese, allo scopo di approntare centri
di assistenza e supporto alle aziende che vengono copiate. Qualcosa si
sta già facendo, in forza delle più recenti leggi finanziarie.
C'è però ancora molto da fare per allestire, attraverso le
nostre Ambasciate e gli uffici Ice, un ombrello protettivo che sia adeguato
alle esigenze delle singole imprese e del "Made in Italy" nel
suo complesso. Pur augurandoci che tali iniziative possano crescere e produrre
effetti positivi, non va dimenticato che il nodo sostanziale da risolvere è tuttavia
un altro: le attuali norme europee permettono che venga chiamato costruttore
anche chi importa. L'importa-tore, infatti, si prende la responsabilità di
introdurre prodotti che non subiscono gli stessi controlli estremamente
minuziosi ai quali sono sottoposti i costruttori nazionali, con evidenti
disparità sul piano dei costi e della valenza della certificazione.
Questo equivoco a livello di normative europee rischia di pesare duramente
e di penalizzare in modo particolare i costruttori "veri", talvolta
controllati dalle autorità italiane al limite della vessazione.
Come industria metalmeccanica, subiamo inoltre altre vistose limitazioni,
dovute al problema di reciprocità nella tassazione nell'import-export
europeo. Veri e propri dazi doganali che però danneggiano soltanto
le nostre aziende.
Quali sono le prospettive nel medio termine per il
settore della meccanica? Quali strategie dovrebbero essere messe in atto
per rilanciare la competitività del
settore?
Le prospettive future sono di grande incertezza e nessuno è in grado
di fare previsioni sul medio periodo. É comunque ragionevole ritenere
che difficilmente assisteremo ad una espansione della base produttiva,
mentre ci sono concrete possibilità di incremento del volume di
affari e della redditività, soprattutto se il settore saprà mettere
a frutto il processo di internazionalizzazione nel quale è fortemente
coinvolto e se saprà rapidamente incrementare la propria cultura
della conoscenza, oltre che la cultura del fare. La buona qualità delle
nostre risorse umane non è un punto di arrivo, ma deve essere un
punto di partenza; per questo occorre continuare a fare formazione, riqualificazione,
per poter far sì che le nostre imprese possano disporre di collaboratori
sempre più motivati e preparati ad affrontare le sfide di una competizione
globale, che ci richiede una particolare attenzione ai servizi oltre che
alla qualità dei prodotti.
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