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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2005
 
EDILIZIA INDUSTRIALE - Home Page
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RECUPERARE L'ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
il valore DI UN PATRIMONIO DISMESSO

Nuove norme rispetto alla gestione e la salvaguardia di beni culturali in disuso

Stefano Castelli Gattinara
Architetto - Studio Castelli Gattinara
studio-architettura@castelli-gattinara.it


Le testimonianze di archeologia industriale nel nostro Paese sono considerevoli e rientrano a pieno titolo in quel patrimonio artistico e culturale da salvaguardare. Gli stabilimenti dismessi, infatti, sono da considerarsi come documento storico, sociale e culturale. Essi possono essere visti come frutto dell'ingegno umano, come tappa di un'evoluzione tecnologica o, ancora, come testimonianza di fatiche, di lotte sindacali e, perché no, di fortune economiche di alcune famiglie. Spesso gli edifici di archeologia industriale ricadono in ex grandi aree industriali, le stesse che oggi sono a ridosso dei centri urbani. Cancellare, quindi, grosse volumetrie corrisponde a lasciare un grande vuoto nel tessuto urbano esistente. In alcuni casi il valore acquisito da un'area può essere notevole, sia perché molti di questi spazi si trovano, come già detto, a ridosso del centro cittadino, sia perchè l'area circostante rivive grazie alla nuova funzione data al vecchio sito dismesso. Alla luce di ciò, le tipologie, come pure gli interessi economici in gioco, sono diversi; per tali ragioni il restauro del patrimonio industriale incontra non pochi problemi. A volte l'interesse per l'uso del suolo come area edificabile è talmente elevato da determinare l'abbattimento degli edifici e lo smantellamento delle attrezzature produttive. La conoscenza dettagliata del bene, anche nelle sue specificità costruttive, risulta, quindi, di fondamentale importanza nell'indirizzare gli interventi di recupero e cambio di destinazione d'uso, nel rispetto delle peculiari caratteristiche tecniche e tipologiche. Occorre, inoltre, valutare gli spazi e i percorsi di connessione al tessuto urbano limitrofo di un oggetto che continua a permanere nella sua struttura, ma che comunque muta nella sua funzione. Andranno ricalibrate tutte le infrastrutture a servizio dell'intera area urbana interessata. Si tratta di attivare una progettazione minuta, il meno ideologica possibile, in un confronto continuo tra i vari aspetti coinvolti: sociali, architettonici, economici, gestionali. Gli interventi de quo presuppongono investimenti elevati. Questi sono dettati sia dalla vastità delle aree, sia da adattamenti di cambio della funzione d'uso. Risulta evidente, quindi, che se gli investimenti necessari a un'operazione di restauro e recupero di aree non hanno un ritorno economico soddisfacente e limitato nel tempo, difficilmente si potrà sperare in una realizzazione con il coinvolgimento di capitali privati. Il nostro Paese offre diversi esempi di recupero di tipologie industriali, più o meno riusciti. Il primo, sia per grandezza di dimensioni sia per aver fatto tanto parlare di sè, è il "Lingotto" a Torino. Negli anni '20, quando fu progettato e costruito dall'architetto Giacomo Mattè Trucco, lo stabilimento del Lingotto della Fiat era un esempio modernissimo di architettura industriale, capace di coniugare i modelli di sviluppo delle grandi case automobilistiche nordamericane con le esigenze e le tendenze dell'architettura contemporanea. Le sue misure imponenti erano il simbolo delle aspirazioni alla modernità dell'Italia dell'epoca: due corpi longitudinali di 507 m di lunghezza e 24 di larghezza, uniti da 5 corpi trasversali; la larghezza complessiva di 80 m e cinque piani di officine. Nella sua storia sessantennale la fabbrica principale della FIAT ha visto uscire, dalle proprie catene di montaggio, più di 80 modelli di auto. Poi, nel 1982, la Fiat ne annunciò la chiusura. La fabbrica dismessa fu un emblema di quell'archeologia industriale che iniziava a caratterizzare tante città europee. Le misure grandiose, che negli anni '20 avevano affascinato i contemporanei, ora divenivano una difficoltà ulteriore al suo recupero. Nel 1983 venne indetto un concorso internazionale per stabilire cosa fare dello stabilimento. Parteciparono i nomi più prestigiosi dell'architettura internazionale e vinse il genovese Renzo Piano. Il suo progetto di "nuova vita" della struttura fu poi realizzato e oggi, il Lingotto, è simbolo del terziario avanzato. La struttura ospita, infatti, oltre a un enorme Centro Congressi, una pinacoteca, un auditorium, un hotel, un centro servizi, un'area shopping, una serie di uffici direzionali e la sede della Facoltà di Ingegneria Automobilistica del Politecnico. Questo esempio si può ripercorrere per tanti interventi di importanza più limitata sparsi sul territorio di piccoli o medi comuni italiani. Ne è un esempio l'area intorno a Terni, la cosiddetta "conca ternana". Essa comprende un paesaggio unico dal punto di vista industriale avendo conosciuto, nel corso di oltre due secoli, modificazioni territoriali dovute a tipologie industriali differenti. La successiva fase di deindustrializzazione ha sollevato il problema della tutela di tutto il patrimonio immobiliare e documentale che coincide con la storia dell'intera "conca ternana". L'idea predominante per il recupero è quella di realizzare, sull'esempio di esperienze europee e italiane già avanzate, un ecomuseo, cioè un museo a cielo aperto dell'archeologia e del patrimonio industriale. Si tratterebbe di un percorso per descrivere e documentare i modi in cui il territorio si è modificato, nel corso dei secoli, che potrebbe fornire soluzioni su come riqualificare e mettere a reddito queste aree, coinvolgendo investimenti pubblici e privati nel recupero e nella valorizzazione delle aree dismesse, favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro, accrescendo l'offerta culturale complessiva dell'Umbria. Un intervento studiato e ben realizzato diviene interessante nell'intento di voler coniugare memoria e sviluppo, nel voler ricreare nuovi spazi nella città utilizzandoli come strumenti di crescita. Il recupero delle aree industriali necessita, però, di idonei finanziamenti. Questo rappresenta uno dei problemi fondamentali; ancora una volta, il caso ternano, può essere un esempio perseguibile: i progetti, oggetto del recupero industriale, sono stati inseriti nel Piano integrato territoriale e, parallelamente, il Comune di Terni ha pensato di avvalersi dei fondi ministeriali per l'ambiente, per bonificare le aree interessate. Il progetto finanziario si conclude con il coinvolgimento del privato nella gestione degli immobili recuperati. Negli ultimi anni la legislazione ha aiutato la valorizzazione del patrimonio archeologico industriale, attribuendo maggiore potere alle autorità locali. In un paese, infatti, dove il patrimonio culturale è diffuso, il decentramento appare vitale, il lavoro delle Regioni e degli Enti Locali, nella catalogazione dei siti, è stato fondamentale grazie al conferimento di funzioni dello Stato a questi ultimi nel settore dei beni culturali (art. 148-155 del D.Lgs. 31.3.1998 n.112). Sulla base dell'assetto istituzionale così delineato, anche in questo settore viene dato sempre più spazio alla "programmazione negoziata" che attraverso le intese istituzionali e gli accordi di programma, mira a individuare programmi d'intervento riconosciuti dall'amministrazione centrale e da quella regionale. Esperienze concrete in tal senso sono state avviate da numerose regioni. Allo stato attuale risultano conclusi gli accordi quadro in Lombardia, Toscana, Lazio e Molise, mentre altre sono state avanzate al Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quest'insieme di norme apre scenari nuovi rispetto alla gestione e alla valorizzazione dei beni culturali. In questa direzione sembra orientato anche il "Testo unico in materia di beni culturali e ambientali" del 1999: negli articoli attinenti la tutela scompare la generica dizione "cose di interesse storico-artistico", per far posto alle più attuali nozioni di "bene culturale", e di "patrimonio", confermando che il nostro ordinamento ha superato definitivamente la concezione estetizzante di "bene culturale" riconoscendogli quella di "risorsa economica". La collaborazione tra enti e soggetti privati (cui generalmente fa capo la proprietà dei siti), oltre alla sensibilizzazione della collettività, appare necessaria per estendere le iniziative di recupero e di riuso, il tutto sempre con l'obiettivo di non snaturare quelle testimonianze dello sviluppo industriale che ha caratterizzato e influenzato la nostra cultura.

 

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