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  Dicembre 2012

Articoli n° 7
AGOSTO/settembre 2005
 


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Collocamento mirato
un percorso "giusto" per un posto "aggiustato"

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IL RIORDINO DELLA NORMATIVA AMBIENTALE
LE PROPOSTE di confindustria

PROBLEMATICHE AMBIENTALI INTERNAZIONALi
LO SVILUPPO SOSTENIBILE

IL D.LGS. 22/97 E IL D.M. 471/99
LA SITUAZIONE DEL TERRITORIO

RUOLO DELL'ARPAC SUL TERRITORIO
UN'OPPORTUNITÀ PER TUTTE LE AZIENDE

RIFIUTI INDUSTRIALI E DECRETO RONCHI
ASPETTI NORMATIVI RIGUARDANTI LA GESTIONE

PROBLEMATICHE AMBIENTALI INTERNAZIONALi
LO SVILUPPO SOSTENIBILE
Garantire alle generazioni future la fruibilità del patrimonio naturalistico


Antonio Limatola
Rappresentante legale STI srl
a.limatola@stisrl.it

Lo sviluppo tecnologico e industriale degli ultimi decenni se, da un lato, ha consentito innegabili progressi in campo socio-economico, dall'altro, a causa soprattutto del continuo ricorso a risorse non rinnovabili per la produzione di energia e dell'immissione nell'ambiente di una quantità di sostanze inquinanti, ha pregiudicato fortemente gli equilibri ambientali. Nei Paesi sviluppati la tecnologia ha trasformato profondamente gli stili di vita e di lavoro, gli impatti di questi cambiamenti sull'ambiente naturale sono complessi.
Le moderne economie industriali del Nord America, di parti dell'Asia e dell'Europa sono responsabili dello sfruttamento della maggior parte delle risorse naturali e producono elevate quantità di rifiuti ed emissioni inquinanti con danni ambientali su scala globale, nonché pericolosi effetti sulla salute umana. Anche in altre parti del pianeta la povertà e la rapida crescita demografica stanno causando il degrado di risorse naturali quali foreste, suoli e acqua. Se l'attuale trend dei consumi continuerà, in futuro si stima che nel 2025 due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di stress idrico. Le risorse naturali garantiscono la sopravvivenza di circa un terzo della popolazione mondiale, il degrado ambientale ne riduce le prospettive di benessere. Ciò impone di concentrare ogni possibile impiego nella ricerca di una strategia che, facendo salvo il progresso e il benessere, garantisca alle attuali e alle future generazioni la fruibilità del patrimonio ambientale. Tale strategia deve prevedere il ricorso ad approcci diversificati che consentano di affrontare le varie problematiche su scale territoriali diverse: mentre fenomeni come le variazioni climatiche correlate all'effetto serra o alla riduzione dell'ozono strasferico hanno dimensione planetaria, altri problemi manifestano il loro effetto soprattutto su scala locale. A Stoccolma, nel 1972, nella Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente Umano, si cominciò a parlare di sviluppo sostenibile: le centotredici nazioni intervenute riuscirono a mettere a punto una serie di principi e raccomandazioni sui diritti e le responsabilità in relazione all'ambiente. Questo passaggio divenne significativo per l'evoluzione che ha subìto la definizione dello sviluppo sostenibile, a partire da quella della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992:
- sviluppo che soddisfa i bisogni dell'attuale generazione, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri;
- sviluppo che assicura il soddisfacimento della qualità della vita, mantenendosi entro i limiti della capacità di carico degli ecosistemi che la sostengano;
- sviluppo che offre servizi ambientali, sociali ed economici di base a tutti i membri di una comunità, senza minacciare l'operatività dei servizi naturali, edificato e sociale da cui ne dipende la fornitura.
Alla Conferenza di Rio si è aggiunto un Protocollo firmato a Kyoto nel 1997 di capitale importanza per il controllo dei gas serra. Con questo protocollo, i Paesi maggiormente industrializzati e quelli delle economie in transizione hanno fissato un obiettivo medio di riduzione delle emissioni di circa il 5% rispetto al 1990. La maggior parte dei Paesi dell'OCSE ha accettato la sfida di Kyoto, ma, nel 2001, gli Stati Uniti in alternativa hanno redatto un documento giudicato, dalla gran parte degli osservatori, troppo debole. Solo di recente in Italia con la pubblicazione della Legge 316 del 2004 viene dato il parziale via libera per la partecipazione al sistema europeo di scambio per le quote di emissione di gas a effetto serra, in particolare per l'anidride carbonica.
Tale Legge ha formalmente dato inizio alla prima fase degli impegni presi dall'Italia per quel che riguarda il Protocollo di Kyoto e, in particolare, per la creazione, all'interno del mercato europeo, di un sistema unico per lo scambio delle quote di inquinamento, formalizzato dalla direttiva 2003/87/CE (o CE ETS) e tecnicamente denominato Emission Trading System. L'elemento stringente posto dalla normativa europea era quello dell'entrata dell'ETS dal 1 gennaio 2005; il Governo italiano, a ridosso della scadenza del 31 dicembre 2004, ha formalizzato la prima parte delle procedure necessarie ad affrontare il mercato delle quote, in particolare: la domanda di autorizzazione a emettere; l'invio delle informazioni da parte delle singole imprese sui bilanci delle emissioni, al fine dell'assegnazione delle quote di emissione per il periodo 2005-2007. Le imprese interessate a tale obbligo normativo, sono elencate nell'Allegato I della direttiva 2003/87/CE. Una volta accertato che l'impianto ricade all'interno delle disposizioni della direttiva EU ETS, è necessario affrontare la procedura per ottenere il rilascio dell'autorizzazione a emettere gas climalteranti. La domanda, almeno fino al recepimento definitivo nella legislazione italiana della direttiva 2003/87/CE, deve essere inoltrata al Ministero dell'Ambiente e, in particolare, alla Direzione Generale per la ricerca ambientale e lo sviluppo. La domanda di autorizzazione deve, inoltre, essere aggiornata nel caso di modifiche della natura o del funzionamento dell'impianto, intendendo per queste ultime: ampliamenti; modifiche all'identità del gestore dell'impianto; modifiche alla metodologia di monitoraggio.
Deve precisarsi che il sistema per lo scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra di cui alla direttiva 2003/87/CE, è stato integrato con i meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto in particolare "l'attuazione congiunta" (JI-Joint Implementation, articolo 6), per il quale sono coinvolti i Paesi industrializzati e il "meccanismo per lo sviluppo pulito" (CDM-Clean Development Mechanism, articolo 12), che, invece, coinvolge i Paesi in via di sviluppo, con la pubblicazione della cosiddetta direttiva "linking". L'integrazione ha l'obiettivo specifico di mantenere l'integrità ambientale del sistema comunitario, raggiunta attraverso la fissazione di limiti massimi di emissione, e la possibilità di utilizzare i crediti di emissione prodotti dalle attività dei progetti ammissibili ai sensi degli articoli 6 e 12, Protocollo di Kyoto, disponendo, di un maggior numero di soluzioni diverse a basso costo, con la conseguente riduzione dei costi complessivi da sostenere per conformarsi al Protocollo stesso.

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