LE PROBLEMATICHE DELL'EDILIZIA
POLITICHE GIUSTE PER LA RIPRESA
Una nuova visione del territorio per evitare errori già compiuti
in passato
Antonio
Lombardi
Presidente ANCE
info@costruttori.sa.it
La relazione del Presidente nazionale dell'ANCE, Claudio De
Albertis, ha centrato pienamente le diverse problematiche non
solo del settore dell'edilizia, ma dell'intera economia italiana,
che oggi vive una fase congiunturale assolutamente poco favorevole.
In assenza di un programma complessivo di rilancio, di una
pianificazione organica e concertata, di provvedimenti incisivi
e mirati, di un concorso fattivo anche della classe imprenditoriale,
la recessione è purtroppo dietro l'angolo e minaccia
conseguenze drammatiche particolarmente per quelle aree del
Paese, come il Mezzogiorno, dove ritardi e crisi si vivono
con particolare intensità. Svariati i punti della relazione
che hanno raccolto un plauso praticamente unanime: a partire
dal contesto macroeconomico delineato dal Presidente e che
impone una nuova e diversa visione del territorio e dell'economia,
onde evitare il riproporsi di errori già compiuti in
passato. Ci riferiamo segnatamente a quella tanto agognata
e perseguita "società industrializzata", ben
diversa dalla "società industriale". Sfumature
in apparenza lievi o inconsistenti, ma che pure nella realtà meridionale,
e salernitana in particolare, hanno dimostrato una enorme valenza.
Si è voluti impiantare industrie e avviare insediamenti
industriali laddove il territorio non era pronto, per cultura,
per dotazioni infrastrutturali, per caratteristiche socio-ambientali,
a recepire simili percorsi, col risultato drammatico d'una "frattura" tra
il territorio e le aree produttive che ora si cerca, non senza
fatica, di colmare. Il presidente dell'ANCE giustamente rimarca
come il rilancio economico del territorio non possa prescindere
da una visione organica e complessiva che eviti, in futuro,
simili problematiche. Visione che non deve fermarsi agli stabilimenti
di produzione, ma deve guardare anche alle infrastrutture,
alle città e alle reti. Il rischio che si ritorni sui
medesimi sbagli esiste, ed è purtroppo concreto e incombente.
Oggi il settore delle costruzioni è senza ombra di dubbio
uno dei più bistrattati: ne rappresentano prove evidenti
una normativa farraginosa e poco aperta alle esigenze delle
imprese, una tempistica che, nei più disparati comparti,
dalla progettazione alla predisposizione dei bandi di gara,
passando per il pagamento degli stati di avanzamento da parte
degli enti pubblici e delle varie società partecipate
dallo Stato, ha superato di gran lunga la soglia della normale
tollerabilità. A questo s'aggiungano ulteriori impellenze
gravose, dalla contribuzione non in linea con quella di altri
settori e altre disposizioni vincolistiche che non rispondono
ad alcuna logica, se non quella di vessare un comparto di enorme
importanza per il territorio. Completano il contesto un quadro
legislativo che segue una tempistica fuori da qualsiasi logica,
politica e imprenditoriale: ne è una riprova evidente
l'emergenza del caro-ferro, che ha imposto un anno di drammatiche
segnalazioni da parte degli imprenditori, prima che la classe
politica si facesse carico del problema. C'è poi voluto
un ulteriore anno per approvare un provvedimento legislativo
ad hoc, e un altro ancora per costituire una commissione speciale
di valutazione dei rincari. Nessuna impresa può reggere
ritardi di questa portata. La "visione globale" delle
problematiche prima di pianificare interventi e strategie,
riteniamo debba partire proprio da questi aspetti, dai lacci
e lacciuoli che oggi non consentono all'impresa di svolgere
un ruolo da protagonista nel rilancio economico del Paese.
Occorre quindi, ed è quanto mai urgente, una "visione
globale" che, come ha giustamente rimarcato il nostro
Presidente nazionale, deve partire da un tavolo di concertazione
che abbracci ai vari livelli istituzionali tutti i soggetti
protagonisti, in un "grandioso fenomeno di ricostruzione" che
il nostro Presidente, animato da non poco entusiasmo e da altrettanta
fiducia, immagina simile a quello che il Paese imboccò sessant'anni
fa, subito dopo la fine della guerra. Oggi come allora è proprio
il settore delle costruzioni che può e deve assumere
una valenza strategica: al di là dei dati, pur significativi,
legati all'apporto determinante di questo settore al Pil e
all'occupazione, non può sfuggire il fatto che nessun
altro settore può assurgere alla medesima funzione di "volano" per
l'economia: è l'edilizia che assorbe buona parte dell'offerta
di calce, cemento gesso e altri derivati, è nell'edilizia
che confluisce buona parte (il 60%) della produzione di terracotta
e ceramica, è questo comparto che impiega caldaie, serbatoi,
che richiede estrazione di minerali, che alimenta i trasporti.
Eppure i segnali e i propositi che si registrano, dai tagli
alla dotazione delle risorse per le opere pubbliche ai drastici
ridimensionamenti dei trasferimenti agli enti locali, si muovono
in una direzione diametralmente opposta e producono effetti
assolutamente contrari. Non è un caso che negli ultimi
anni, dopo un trend positivo, gli investimenti in infrastrutture
siano drammaticamente calati. Un ulteriore aspetto della relazione
che riteniamo meritevole di approfondimento, è quello
relativo all'emergenza abitativa. Il nostro Presidente ha posto
la questione in ambito nazionale: ma mai come nella realtà salernitana
l'emergenza abitativa rasenta la drammaticità. Le quotazioni
di mercato, sia per le compravendite che per le locazioni,
sono ormai sfuggite a qualsiasi logica e, complice l'assenza
di una seria, concreta e adeguata politica abitativa, risentono
e approfittano della penuria di abitazioni. Urgono, pertanto,
politiche che da un lato garantiscano risposte adatte a una
domanda crescente proveniente soprattutto dalle giovani coppie,
costrette oggi a emigrare nei comuni limitrofi, dall'altro
immettano sul mercato abitazioni a basso costo, o a prezzi
controllati, per "calmierare" un mercato assolutamente
congestionato e aperto oggi alle più impensabili speculazioni
finanziarie. Un ulteriore aspetto di grande rilievo, approfondito
dal Presidente De Albertis, è rappresentato senza dubbio
dal project financing, che può rappresentare una indubbia
opportunità per sopperire alle penurie finanziarie degli
enti locali: ma anche in questo campo occorre superare una
distorsione che pure incombe. Non si può e non si deve
immaginare che il ricorso ai capitali privati possa sostenere,
da solo, tutto il peso del costo delle infrastrutture di cui
il Paese (e segnatamente il Mezzogiorno) ha assoluto bisogno.
Le imprese e i privati sono pronti a svolgere la loro parte:
ma è lo Stato a dover ricoprire un ruolo preponderante
e dirimente. Un'ultima notazione, che se è stata dolorosa
per il Presidente nazionale De Albertis, lo è ancor
di più per chi opera nel Mezzogiorno, concerne il rapporto
con le banche, sempre più irto di difficoltà ancor
più oggi che i centri decisionali dei grandi istituti
di credito non sono più presenti sul territorio. Se
il sistema bancario non riesce a supportare le imprese in questa
grande sfida per lo sviluppo; se non è in grado di travalicare
il rigido sistema del formalismo burocratico e delle garanzie
reali per entrare nella logica del business e scrutare la validità (e
redditività) dei progetti, ogni buon proposito e ogni
validissimo progetto rischia di scontrarsi con gli atavici
problemi della "copertura del fabbisogno", delle
ipoteche e delle fideiussioni. Con effetti drammatici per le
imprese, per la collettività e per lo stesso sistema
bancario che, frenando la crescita e le potenzialità di
espansione del sistema imprenditoriale locale, si troverà ad
operare e interloquire sempre con imprenditori sfiduciati e
sottodimensionati, incapaci di compiere il "grande salto" o,
per usare una terminologia cara alle banche, con insufficienti
garanzie patrimoniali.
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