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  Dicembre 2012

Articoli n° 7
AGOSTO/settembre 2005
 


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A cura dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno - Area Comunicazione

L’AGROALIMENTARE NEL MEZZOGIORNO
IL SUD LONTANO DALL’AREA DI COMPETITIVITÀ
Una ricerca per far luce sui cambiamenti e le sfide del settore

Francesco Saverio Coppola
Direttore dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
segreteria@srmezzogiorno.it

 

ll dibattito sul settore agroindustriale è sempre di grande attualità, soprattutto oggi alla luce dell'annunciato Vertice del WTO che si terrà ad Hong-Kong il prossimo dicembre. L'Agroalimentare - elemento di traino dell'economia meridionale - è, quindi, attualmente più che mai, sotto la lente degli organismi di governo: europei, nazionali e regionali; la forte concorrenza legata all'affermarsi dei nuovi paesi emergenti (G12) rende indispensabile rivedere gli equilibri economici locali in base al nuovo riassetto dell'economia globale. L'Associazione SRM (soci fondatori: Banca OPI, Compagnia di San Paolo, Istituto Fondazione Banco di Napoli, San Paolo, San Paolo Banco di Napoli, San Paolo Imi Investimenti per lo Sviluppo) segue con attenzione le problematiche connesse alle imprese del Sud e ha, pertanto, svolto una ricerca sul sistema agroindustriale meridionale. Nel Mezzogiorno, l'industria alimentare rappresenta il secondo settore del Manifatturiero con un peso quasi doppio rispetto all'Italia in termini di Valore Aggiunto (il VA del settore agricoltura e industria di trasformazione - sul settore primario e secondario - è pari a circa il 40% contro il 21% dell'Italia). I parametri di riferimento sono - per il 2004 (Stime Federalimentari 2004) - circa 20 miliardi di euro di fatturato (21,6% dell'Italia), 115.000 addetti, 2.000 aziende con più di 10 dipendenti e una quota di export sul fatturato pari al 15%. Il settore Agroalimentare è, però, un settore composito, un mosaico di realtà diverse dove il territorio diventa fattore competitivo strategico in grado di determinare il successo di un sistema, esaltandone le peculiarità. Per scegliere gli attori del sistema è stata stilata una classifica; la scelta delle regioni da esaminare è stata dettata da considerazioni di carattere economico generale e dalla specifica rilevanza del sistema agroindustriale tra le branche produttive regionali. In dettaglio si è tenuto conto: della rilevanza assoluta in termini produttivi data dal VA Agroindustria (prima colonna della tabella); del peso percentuale dell'agroindustria sul totale (seconda colonna della tabella); della distribuzione dell'intervento pubblico-FEOGA a sostegno delle regioni obiettivo 1 (terza colonna). Sulla base di suddetti parametri, le prime quattro regioni della classifica sono risultate: Puglia, Sicilia, Campania e Calabria. Ma come giocano queste sul complesso terreno del mercato? Ogni regione compete con una sua struttura e, quindi, per poter esprimere il posizionamento delle aree individuate sono stati esaminati degli indicatori di "competitività economica". Dall'analisi è emerso che la Campania è la regione meglio strutturata e più industrializzata del Mezzogiorno con una dimensione media delle società di capitale (quarta colonna della tabella) superiore alla media Mezzogiorno e con un peso delle aziende con oltre 100 addetti rispetto alle piccolissime imprese più elevato (quinta colonna). É inoltre la regione con il più alto livello di specializzazione economica con un contributo delle aziende al settore agroalimentare quasi doppio rispetto alle imprese del Manifatturiero (l'indice della sesta colonna mostra che tale contributo è pari a 0,95 volte quello del Manifatturiero). La buona struttura industriale del settore viene confermata dal grado di apertura internazionale molto accentuato rispetto alla media Mezzogiorno.
Nonostante questo, molto si può ancora fare, in quanto al mercato internazionale sono state indirizzate solo forniture occasionali senza che venisse adottata una vera e propria strategia di commercializzazione. La Puglia, invece, presenta una scarsa propensione all'esportazione (l’indicatore di apertura internazionale dell'ultima colonna è pari alla metà dell'Italia) e - come risulta dall'analisi dei bilanci delle imprese per la quale si rimanda all' ampia trattazione nella ricerca - un livello di fatturato contenuto rispetto alle potenzialità. Tale gap è legato alla prevalente attività in filiere a minor valore aggiunto nelle quali il processo produttivo si ferma a una prima fase di trasformazione (indice di specializzazione economica industriale - sesta colonna - più basso). La forte componente produttiva agricola, peraltro di elevato standing, si riflette sul processo produttivo causando una maggiore frammentazione di impresa (la dimensione media di impresa e l'indice di dimensionalità - quarta e quinta colonna - sono al di sotto dei dati della Campania) compensata in modo ancora poco adeguato da alcuni fenomeni di associativismo d'impresa. La Sicilia presenta, come la Puglia, un'economia caratterizzata da una realtà agricola molto sviluppata e variegata, mentre a livello industriale e distributivo, pur avendo forti potenzialità, rimane confinata nell'ambito di piccole e numerose realtà artigiane (indice di dimensionalità più basso del Mezzogiorno). A conferma delle difficoltà relative a una filiera che si ferma alla prima fase di trasformazione e di un percorso a "staffetta" che fa perdere i vantaggi di sinergia, l'indicatore di apertura internazionale fa registrare valori tra i più bassi nelle regioni esaminate. Sebbene in alcuni comparti - quale quello vitivinicolo - sia stata intrapresa la strada giusta, l'ottimo prodotto da solo non basta a stimolare la crescita industriale e occorrerebbe, secondo tale studio, una rete di imprese molto più forte. Il problema della Sicilia resta quindi quello di una "filiera spezzata", dove il passaggio da uno stadio all'altro avviene con la partecipazione di più imprese ognuna con un proprio mercato e una propria attività. E, infine, troviamo la Calabria che - per essere competitiva - deve fare lo sforzo maggiore. La regione è caratterizzata da un elevato livello di frammentazione di impresa con tante piccolissime realtà (dimensione media delle società di capitale pari a 8 unità) che affrontano con difficoltà il mercato. A conferma della scarsa capacità di penetrazione nei mercati esteri, l'indicatore di apertura internazionale fa registrare il livello più basso tra le regioni esaminate. Anche questo aspetto è strettamente connesso alla mancanza di un "prodotto proprio" e a politiche di marchio scarsamente incisive. L'Agroalimentare è un settore dinamico, cresciuto molto nel Mezzogiorno (i dati di censimento ISTAT mostrano una crescita del 18% - più del doppio dell'Italia) ma solo nella piccola e piccolissima impresa, senza riuscire a fare sistema. Il differenziale di sviluppo e le diverse modalità di struttura regionali mostrano realtà diverse, tutte, però, più o meno lontane da quella che si può definire "area di competitività".

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