A
cura dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno - Area Comunicazione
L’AGROALIMENTARE NEL MEZZOGIORNO
IL SUD LONTANO DALL’AREA DI COMPETITIVITÀ
Una ricerca per far luce sui cambiamenti
e le sfide del settore
Francesco Saverio Coppola
Direttore dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
segreteria@srmezzogiorno.it
ll dibattito sul settore agroindustriale è sempre
di grande attualità, soprattutto oggi alla luce dell'annunciato
Vertice del WTO che si terrà ad Hong-Kong il prossimo dicembre.
L'Agroalimentare - elemento di traino dell'economia meridionale - è,
quindi, attualmente più che mai, sotto la lente degli organismi
di governo: europei, nazionali e regionali; la forte concorrenza
legata all'affermarsi dei nuovi paesi emergenti (G12) rende indispensabile
rivedere gli equilibri economici locali in base al nuovo riassetto dell'economia
globale. L'Associazione SRM (soci fondatori: Banca OPI, Compagnia
di San Paolo, Istituto Fondazione Banco di Napoli, San Paolo, San Paolo
Banco di Napoli, San Paolo Imi Investimenti per lo Sviluppo) segue con
attenzione le problematiche connesse alle imprese del Sud e ha, pertanto,
svolto una ricerca sul sistema agroindustriale meridionale. Nel Mezzogiorno,
l'industria alimentare rappresenta il secondo settore del Manifatturiero
con un peso quasi doppio rispetto all'Italia in termini di Valore Aggiunto
(il VA del settore agricoltura e industria di trasformazione - sul settore
primario e secondario - è pari a circa il 40% contro il 21% dell'Italia).
I parametri di riferimento sono - per il 2004 (Stime Federalimentari
2004) - circa 20 miliardi di euro di fatturato (21,6% dell'Italia), 115.000
addetti, 2.000 aziende con più di 10 dipendenti e una quota di export
sul fatturato pari al 15%. Il settore Agroalimentare è, però,
un settore composito, un mosaico di realtà diverse dove il territorio
diventa fattore competitivo strategico in grado di determinare il
successo di un sistema, esaltandone le peculiarità. Per scegliere
gli attori del sistema è stata stilata una classifica; la scelta
delle regioni da esaminare è stata dettata da considerazioni di
carattere economico generale e dalla specifica rilevanza del sistema agroindustriale
tra le branche produttive regionali. In dettaglio si è tenuto conto:
della rilevanza assoluta in termini produttivi data dal VA Agroindustria
(prima colonna della tabella); del peso percentuale dell'agroindustria
sul totale (seconda colonna della tabella); della distribuzione dell'intervento
pubblico-FEOGA a sostegno delle regioni obiettivo 1 (terza colonna). Sulla
base di suddetti parametri, le prime quattro regioni della classifica sono
risultate: Puglia, Sicilia, Campania e Calabria. Ma come giocano queste
sul complesso terreno del mercato? Ogni regione compete con una sua struttura
e, quindi, per poter esprimere il posizionamento delle aree individuate
sono stati esaminati degli indicatori di "competitività economica".
Dall'analisi è emerso
che la Campania è la regione meglio strutturata e più industrializzata
del Mezzogiorno con una dimensione media delle società di capitale
(quarta colonna della tabella) superiore alla media Mezzogiorno e
con un peso delle aziende con oltre 100 addetti rispetto alle piccolissime
imprese più elevato (quinta colonna). É inoltre la regione
con il più alto livello di specializzazione economica con un contributo
delle aziende al settore agroalimentare quasi doppio rispetto alle
imprese del Manifatturiero (l'indice della sesta colonna mostra che tale
contributo è pari
a 0,95 volte quello del Manifatturiero). La buona struttura industriale
del settore viene confermata dal grado di apertura internazionale
molto accentuato rispetto alla media Mezzogiorno.
Nonostante questo, molto si può ancora fare, in quanto al mercato
internazionale sono state indirizzate solo forniture occasionali senza
che venisse adottata una vera e propria strategia di commercializzazione.
La Puglia, invece, presenta una scarsa propensione all'esportazione (l’indicatore
di apertura internazionale dell'ultima colonna è pari alla metà dell'Italia)
e - come risulta dall'analisi dei bilanci delle imprese per la quale si
rimanda all' ampia trattazione nella ricerca - un livello di fatturato
contenuto rispetto alle potenzialità. Tale gap è legato alla
prevalente attività in filiere a minor valore aggiunto nelle quali
il processo produttivo si ferma a una prima fase di trasformazione (indice
di specializzazione economica industriale - sesta colonna - più basso).
La forte componente produttiva agricola, peraltro di elevato standing,
si riflette sul processo produttivo causando una maggiore frammentazione
di impresa (la dimensione media di impresa e l'indice di dimensionalità -
quarta e quinta colonna - sono al di sotto dei dati della Campania) compensata
in modo ancora poco adeguato da alcuni fenomeni di associativismo d'impresa.
La Sicilia presenta, come la Puglia, un'economia caratterizzata da una
realtà agricola molto sviluppata e variegata, mentre a livello industriale
e distributivo, pur avendo forti potenzialità, rimane confinata
nell'ambito di piccole e numerose realtà artigiane (indice di dimensionalità più basso
del Mezzogiorno). A conferma delle difficoltà relative a una filiera
che si ferma alla prima fase di trasformazione e di un percorso a "staffetta" che
fa perdere i vantaggi di sinergia, l'indicatore di apertura internazionale
fa registrare valori tra i più bassi nelle regioni esaminate. Sebbene
in alcuni comparti - quale quello vitivinicolo - sia stata intrapresa la
strada giusta, l'ottimo prodotto da solo non basta a stimolare la crescita
industriale e occorrerebbe, secondo tale studio, una rete di imprese molto
più forte. Il problema della Sicilia resta quindi quello di una "filiera
spezzata", dove il passaggio da uno stadio all'altro avviene con la
partecipazione di più imprese ognuna con un proprio mercato e una
propria attività. E, infine, troviamo la Calabria che - per essere
competitiva - deve fare lo sforzo maggiore. La regione è caratterizzata
da un elevato livello di frammentazione di impresa con tante piccolissime
realtà (dimensione media delle società di capitale pari a
8 unità) che affrontano con difficoltà il mercato. A conferma
della scarsa capacità di penetrazione nei mercati esteri, l'indicatore
di apertura internazionale fa registrare il livello più basso tra
le regioni esaminate. Anche questo aspetto è strettamente connesso
alla mancanza di un "prodotto proprio" e a politiche di marchio
scarsamente incisive. L'Agroalimentare è un settore dinamico, cresciuto
molto nel Mezzogiorno (i dati di censimento ISTAT mostrano una crescita
del 18% - più del doppio dell'Italia) ma solo nella piccola e piccolissima
impresa, senza riuscire a fare sistema. Il differenziale di sviluppo e
le diverse modalità di struttura regionali mostrano realtà diverse,
tutte, però, più o meno lontane da quella che si può definire "area
di competitività".
|