di Raffaella VENERANDO
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Offerta formativa universitaria
La difficile sfida della qualitÀ
Gli atenei campani, ultimi della classe nelle graduatorie elaborate dal Censis Servizi,
esprimono forti critiche all’impianto metodologico della ricerca
Dopo la pausa estiva per molti studenti sarà tempo di scegliere a quale corso di laurea immatricolarsi e in quale ateneo frequentarlo. Un utile timone per orientarsi al meglio nella decisione dell’università cui iscriversi è - per il nono anno consecutivo - la “Grande Guida Università” di Repubblica, messa a punto grazie all’ausilio scientifico del Censis e alla collaborazione con Somedia. Il metodo sul quale si fonda la guida è ovviamente di natura statistica. Il Censis ha infatti passato in rassegna 75 atenei (di cui 60 statali) per un totale di oltre 500 facoltà, fornendo dati e rating per tutte le università italiane mettendo in luce numericamente punti critici e aspetti positivi. Da queste graduatorie, che suddividono le università in 5 gruppi sulla base del numero degli iscritti nell’anno accademico 2006-2007, gli atenei campani ne escono però a testa bassa. Performance poco brillanti, rispetto i parametri scelti, li relegano alle ultime posizioni delle graduatorie Censis e ai primi posti nelle black list di qualità. Stando all’indagine Censis, infatti, la Federico II è ultima tra gli 11 mega atenei italiani (vedi tab. 1); la Seconda Università di Napoli è ultima tra i 15 grandi atenei, con Salerno al tredicesimo posto (tab. 2); l’Università Parthenope si posiziona ultima tra i 20 medi atenei (tab. 3), mentre l’Orientale è penultima tra i piccoli, preceduta di un solo gradino dall’Università del Sannio (tab. 4). Ma perché così tante maglie nere? Quali sono gli indicatori che hanno decretato quest’anno la sonora bocciatura delle Università di casa nostra? Cominciamo con il dire che in realtà, i ranking del Censis sono due: uno per gli atenei (in cui sono presi in esame solo le università pubbliche) e l’altro per le facoltà (distinte per università pubbliche e non statali). Quanto al primo, gli indicatori della classifica degli atenei sono quattro: 1. servizi (pasti erogati, posti e contributi per gli alloggi); 2. borse di studio per iscritti e numero di borse di collaborazione; 3. strutture (posti aula, nelle biblioteche, nei laboratori scientifici e numero di spazi sportivi); 4. web (punteggio assegnato dal Censis Servizi ai siti internet degli atenei sulla base della funzionalità e dei contenuti). Proprio dall’incrocio dei punteggi ricevuti su ogni singolo parametro, viene fuori che l’eccellenza universitaria in Italia non guarderebbe affatto a Mezzogiorno, e, in modo particolare, alla nostra regione.
I Rettori degli Atenei statali campani, invitati a commentare la graduatoria del Censis Servizi, hanno però dato della classifica un giudizio sostanzialmente negativo, pur dichiarando di rispettarne gli esiti. Non condivisibili - secondo i numeri uno delle università campane - sarebbero gli indicatori scelti per graduare la classifica, parametri troppo eterogenei tra loro che avrebbero messo in luce solo alcuni aspetti parziali e non tutti riconducibili all’offerta formativa degli atenei. La valutazione che emerge infatti dal ranking del Censis non tiene conto dell’università nella sua dimensione globale, ma solo di alcuni servizi che spesso non dipendono neanche in modo diretto dall’Ateneo. Ne è dimostrazione palese la concessione di fondi per alloggi e per borse di studio che dipende dalla Regione, e non dal singolo ateneo. Inoltre - come rimarcato da Gennaro Ferrara, Rettore dell’Università Parthenope - «I parametri assunti dal Censis evidenziano alcuni aspetti, anche rilevanti, ma non considerano altri altrettanto importanti. Ad esempio il contesto in cui le Università operano». Basti pensare che la Campania figura al 205° posto tra le regioni d’Europa per PIL e, quindi, viene da sé che anche sul sistema universitario si sentano i riverberi di una tale debolezza economica. Dello stesso parere anche il neo Rettore dell’Orientale Lida Viganoni: «Ritengo che non si tenga alcun conto del contesto territoriale entro cui operano gli Atenei e che invece, nella gran parte dei casi, pesa a favore o a sfavore del nostro lavoro. Questa classifica mi pare pertanto nel complesso ingenerosa nei confronti di un Ateneo come l’Orientale che vanta una storia e una tradizione di lungo corso».
Gli indicatori scelti quindi peserebbero non poco sui risultati delle classifiche, perché alcuni degli aspetti considerati non sono di competenza specifica delle Università ma di soggetti altri, come quelli che afferiscono alle risorse gestite dagli enti per il diritto allo studio. Ciononostante è innegabile che il lavoro di ricerca svolto dal Censis debba rappresentare per le Università campane, e per chi ne dirige le fila, un motivo in più per riflettere sull’esigenza di modernità e di nuove strategie di governance in un momento in cui anche il sapere è globalizzato e anche il sistema universitario si sta aprendo al mercato e al confronto internazionale. Pur in presenza quindi di qualche problema, in particolare di sottofinanziamento, non è davvero il caso di criticare in toto il sistema universitario campano che, comunque, denota tratti di qualità, come accade per la Federico II che - anche nella graduatoria di Shanghai - primeggia per l’attività di ricerca in scienze agrarie e veterinarie.
Inoltre, c’è di cui rallegrarsi per una notizia positiva che arriva dall’altra classifica, sempre targata Censis: quella delle facoltà. Qui Salerno si piazza al primo posto tra le Facoltà di Lingue e letterature straniere, ottenendo un buon punteggio in riferimento ai quattro indicatori di questa classifica: produttività, didattica, ricerca, rapporti internazionali. Tradotto in altre parole, all’Università degli Studi di Salerno gli studenti di lingue riescono a portare a termine il ciclo di studi nei tempi prestabiliti; l’offerta didattica della facoltà è adeguata in termini di disponibilità di docenti e strutture; si realizza un buon numero progetti di ricerca scientifica e, infine, è soddisfacente il grado di apertura della facoltà alle relazioni internazionali di studenti e docenti. Bene, ma non è sufficiente.
Le fabbriche del sapere in Campania, come altrove, hanno comunque esigenza di guardare al domani, rinnovando la propria offerta e imparando ad utilizzare in modo efficace le nuove tecnologie. Forse, dopo tanti anni il Governo nazionale oggi può venire loro in aiuto. Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Stella Gelmini, infatti, ha elencato i tre pilastri del suo programma: autonomia, valutazione e merito. Autonomia equivale a valorizzare la governance degli istituti, dotandola di adeguati poteri, nonché risorse finanziarie. In cambio però il ministro chiede che le scuole - università in testa - dimostrino un’altrettanto adeguata capacità gestionale e di programmazione degli interventi che sarà giudicata con un sistema di valutazione - e qui arriviamo al secondo punto - «che certifichi in trasparenza come e con quali risultati è speso il denaro pubblico». Merito, infine, perché premiare chi merita di più di altri innesca un sano principio di mobilità sociale e perché solo la meritocrazia può essere capace di quel cambiamento culturale necessario per fare ritornare anche l’Italia del sapere dinamica, competitiva e fiduciosa nel futuro.
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