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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIO 2008
 


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a cura di Raffaella Venerando


Jolanda Zambon, una vita a tutto campo

Passione, spirito di sacrificio e progettualità
tra imprenditoria, sport e mecenatismo culturale


Digitando Jolanda Zambon su Google appaiono circa 15.400 risultati appartenenti per lo più al mondo dell’imprenditoria dove, fin da poco più che adolescente, ha mosso in suoi primi passi per poi passare alla guida di Metaform, azienda leader nel settore dell’arredo bagno, di Confindustria - è vicepresidente dall’Associazione Industriali di Lucca- e al mondo dello sport e del mecenatismo culturale. Quello dell’imprenditoria è un mondo che si schiera: o si appoggia una squadra o si organizza una mostra; o si patrocina un concerto o ci si mette nelle prime file di uno stadio o di un palazzetto dello sport a dare appoggio agli atleti nei quali si è deciso di credere. Jolanda Zambon, che tra parentesi è anche mamma, riesce a coniugare diverse passioni. Il quesito risulta naturale: come? «Innanzitutto - afferma l’imprenditrice - c’è molta passione alla base. La passione è vita, adrenalina, dare e ricevere, ma anche sacrificarsi: è naturale che il mio tempo libero sia molto limitato, ma quando arrivo a sera, stremata, sento di aver fatto qualcosa di concreto non solo per me stessa e questo basta a rigenerarmi».

Lei passa con disinvoltura dai CdA alle tribune della sua squadra di Basket Femminile “Le Mura”, scrive le prefazioni dei cataloghi d’arte di prestigiose mostre internazionali ed è anche autrice di ricette per magazine locali. Cosa la spinge ad impegnarsi su così tanti fronti?
La convinzione che un contatto con il mondo diverso da quello dell’imprenditoria, dove le dinamiche toccano altre corde, altri sensi, possa arricchirmi e offrirmi al contempo la possibilità di dare il mio contributo. Dare per me è anche ricevere. Le ragazze della squadra di basket mi hanno regalato grandi soddisfazioni ed è stato bello vedere che molti imprenditori della mia zona si sono presentati per vedere le partite, dopodiché si sono appassionati e mi hanno appoggiato nella mia avventura.

Perché proprio il basket femminile?

Lo ammetto: anche questa è una passione, prima consumata in campo, da adolescente, poi, da quarantenne, al di là del campo ma con lo stesso brivido per ogni canestro. Un giorno ho convinto anche alcuni dei miei collaboratori a venire a vedere una partita e quel senso di squadra, il fair play anche nel momento della più dura competizione è stato un esempio di filosofia “corporate” che nessun corso o aggiornamento è in grado di eguagliare.

Lei ha fatto parte della Commissione creata affinché Lucca diventi patrimonio dell’Unesco e ha svolto attività di mecenatismo culturale. Come ha risposto la città alle sue iniziative?
Lucca è una città particolare. Si dice che sia chiusa ma è una prima impressione che, per chi sa approfondire, lascia subito spazio ad altre interpretazioni. A Lucca si dà credito a chi parla poco e fa molto. Le donne del fare hanno avviato iniziative che hanno riscosso da subito approvazione e appoggio. Quando ho avuto modo di dare il mio contributo ne sono stata lusingata e mi sono rimboccata le maniche.

Qual è la formula per spaziare senza sembrare un tuttologo?
Esistono delle variabili e dei dogmi. Partiamo dagli ultimi: se si spende troppo tempo tra tartine e sorrisi a 36 denti come prima attività rimane poco per il concreto, quindi la prima regola è dosare sapientemente le pubbliche relazioni, che comunque sono importanti, con momenti di assoluta concentrazione e impegno dove l’operatività non deve conoscere ostacoli. Le variabili riguardano la sensibilità individuale e la capacità di trasmettere: se appoggi una squadra devi mostrarti forte, combattivo, devi essere una spalla e un sostegno; se sei dietro le quinte di una mostra devi sapere cogliere sfumature, messaggi, sostenere l’artista e la sua opera con una progettualità e un’organizzazione che notoriamente non gli appartengono, facendoti strumento e cassa di risonanza. Detesto le fondazioni e le organizzazioni che si fanno protagoniste di un evento, dove alla fine il soggetto principale passa in secondo piano. Infine bisogna fare ciò che si ama e amare ciò che si fa: solo così si può capire quanto la propria presenza può essere utile e in quale modo.

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