Il Paese
ha bisogno
di una nuova primavera
di progresso
Silvio Sarno
Presidente Confindustria Avellino
posti e nelle condizioni strettamente economiche, che possono essere sempre e comunque generate o rigenerate. Se c'è fiducia e dinamismo l'economia di un Paese saprà recepirle. L'Italia è dotata di “animal spirits” per poter realizzare più alti livelli di progresso. Sembra che il nostro male è quello di vivere in una “stanca civiltà” che non riesce più a reagire e a raccogliere le nuove sfide. Il 41° Rapporto Censis parla della società italiana definendola «poltiglia di massa», «mucillagine»: gli «elementi individuali e i ritagli personali - si legge nel Rapporto -, sono tenuti insieme da una bassa socialità». Eppure il Rapporto Censis è portatore di un messaggio anche positivo dell'andamento del Paese: cresce nelle imprese la qualità delle strategie competitive; si allarga la base territoriale dello sviluppo; vantiamo oggi big-players nella competizione globale. Ma il giudizio complessivo è quello che pesa di più: da «una società così inconcludente appare difficile attendersi l'emergere di una qualsivoglia capacità o ripresa di sviluppo di massa». Sembra che il lumicino sia tenuto acceso «solo da minoranze attive (...) che hanno scelto l'appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc.) come forma di una nuova coesione sociale e di ricerca di senso di vita». Il reale protagonismo è affidato «al 20-25% di società che fa il Pil», spiega il professor De Rita. Se l'analisi è condivisa, c'è da chiedersi quali siano gli strumenti che consentano alle “minoranze” sociali di rendere più forte il proprio messaggio innovativo. É una domanda che in Confindustria Avellino già da tempo ci siamo posti. Le nuove frontiere sono nella accentuazione della funzione di rappresentanza del mondo economico; nel rendere reale la fondamentale importanza di un'attività intangibile; nel delineare le attese di una società moderna. Tutto questo passa anche nella ridefinizione del ruolo sociale dell'imprenditore alla luce delle responsabilità insite alla propria attività, non identificabili solo con i risultati economici aziendali. Non chiusura, quindi, nei recinti della difesa del proprio egoismo corporativo, ma relazioni continue per la ricerca di livelli alti di interessi generali. Sono convinto che sono anche le associazioni del mondo economico e sociale che possono trasformare il messaggio di fiducia e di dinamismo delle minoranze in qualcosa che pervade l'intera comunità. É compito delle associazioni pungolare il sistema politico: in Campania c'è la forte necessità democratica di collegare la responsabilità politica alla mancata risoluzione di alcuni fondamentali e tormentati problemi. Ma la politica non nasce dal nulla è espressione del voto democratico e come tale rispecchia anche il modo di pensare della gente. L' impegno quindi è anche quello di suscitare nella comunità il vivo interesse verso segnali nuovi ed innovativi. Ma non basta, anche le associazioni nel proprio ambito di responsabilità diretta devono dare prova di avere la capacità di guidare nuove sfide: nella contrattazione per esempio; o ancora nella strategia e nella gestione degli Enti nei quali partecipano; o ancora di più, stabilendo al proprio interno una reale meritocrazia. Le nuove sfide non lasciano nessuno esente da una rivisitazione critica del proprio operato e del proprio modo di essere. «I confindustriali - scriveva alcuni mesi fa “Il Foglio” di Giuliano Ferrara - sono incuriositi dalla discussione sul loro destino associativo, ma vittime di un pudore un po' curiale quando si tratta di affrontare pubblicamente il tema dell'identità. Forse, però, è ora di cimentarsi in questa discussione, perché le cose cambino». Capisco che Avellino abbia poco peso nel contesto nazionale, ma questa discussione pubblica in Confindustria Avellino è stata già da tempo iniziata e vissuta quale “sfida”. Lanciando queste sfide a se stesse, le associazioni devono saper chiamare la società civile ad essere attiva; a riprendere il gusto della partecipazione. Devono, le associazioni, chiedere con maggiore forza alla politica di fare scelte strategiche, non nel chiuso delle proprie prerogative istituzionali ma sapendo coinvolgere la società civile per infondere forte il senso della comunità e della sfida comune. In evidenza sono le città, nodi nevralgici dell'economia e campi elettivi per affermare nuovi modelli di sviluppo coerenti con l'ecosostenibilità, l'integrazione, la sicurezza. Ne riafferma la priorità anche il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013. La proficuità degli interventi dipenderanno non solo dalle risorse disponibili e dalla qualità dei progetti, ma anche dal sistema di partecipazione che si affermerà: il fine è strettamente collegato al metodo, chi ne separa la diretta causalità segna solo il proprio limite. “Il Sole 24 Ore”, domenica 15 giugno, riassumeva cosi l'intervento di Monsignor Vincenzo Paglia, padre spirituale della Comunità di Sant'Egidio, in una sorta di Stati generali della sua diocesi di Terni Narni Amelia: «il futuro delle città passa per un modello di partecipazione che rompa il monopolio tradizionale della politica, spezzi la coesione conservatrice, apra a tutti i soggetti e gruppi sociali a una sana e anche dura competizione, per arrivare ad una nuova Costituzione cittadina con poteri che si controllino e si bilancino«. C'è quindi un filo che lega le nostre aspirazioni ad un comune sentire più ampio. Ci sono energie umane che possono aprire spiragli di una nuova primavera di progresso. Certo per muovere la realtà, per imprimerle dinamismo, devono intervenire scelte fondamentali da parte del Governo centrale. Ma senza alcun dubbio la sfida della modernizzazione comprende la formazione di una nuova classe dirigente che sappia svincolare l'esaurita funzione politica dalla sola intermediazione delle risorse ed affermare la sua piena responsabilità nei processi di crescita. Questa funzione di stimolo ritengo che sia nella nostra realtà meridionale un elemento caratterizzante del nostro impegno di rappresentanza.
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