Aria di Bufera in serie B
Il nuovo “sistema” di giustizia
e di arbitrato per lo sport
Aria di Bufera in serie B
I presidenti dei club cadetti minacciano la serrata
se non si troverà una larga intesa su mutualità e diritti televisivi
C'era una volta la serie B dei sogni, una categoria appetibile, importante, da tutti considerata come il vero vivaio della massima serie. Con una serie A ridotta a sedici-diciotto squadre, la “seconda divisione” italiana composta da un massimo di venti squadre era, un po', il fiore all'occhiello del calcio italiano.
In nessun altro paese con grande tradizione calcistica si riscontrava qualcosa di vagamente simile. In serie B sbocciavano i talenti del calcio italiano, si realizzavano veri e propri “laboratori” calcistici, si studiavano e progettavano grandi imprese sportive. Anche la massima serie guardava alla cadetteria con stima, rispetto e simpatia e non a caso le “grandi” del calcio italiano dispensavano lauti compensi attraverso la mutualità. Diritti tv, proventi dalla Lega di A: fare la serie B era un buon affare per tutti. Fino a quando, nell'estate del 2003, il ciclone Gaucci sconvolse completamente quegli equilibri. Il Catania, retrocesso sul campo, chiese ed ottenne il ripescaggio in cadetteria attraverso le vie giudiziarie. Fu il patatrac.
Per decreto legge la serie A passò a venti squadre, la B a ventiquattro, poi ridotte a ventidue. Fine della pacifica e munifica collaborazione tra le due serie. Da allora è stato tutto un susseguirsi di dispetti, prese di posizione, limitazioni; la serie A sempre più grande, la serie B sempre più piccola, sempre più vicina alla terza serie.
Ridotta la “mutualità”, scomparsi i diritti televisivi, tranne che nella stagione che vedeva Juventus, Napoli e Genoa tra le sue partecipanti, la cadetteria ora minaccia la serrata anche perchè c'è il rischio, concreto, di bancarotta. Si sta provando a ridisegnare il format ma, intanto, il tempo stringe e le casse piangono.
Oggi come oggi risulta impossibile, per tutte le squadre del campionato cadetto, staccare un buon numero di abbonamenti e spuntare anche un allettante contratto televisivo.
I presidenti sono ad un bivio: o si punta sul sabato e dunque si tratta con qualche piattaforma satellitare per vendere i diritti collettivi penalizzando, però, ampie fasce di tifosi, oppure si rinuncia alla tv e si ritorna a giocare di domenica.
É chiaro che tra tutti i club ci sono anche posizioni diverse. Società come Cittadella, Sassuolo, Albinoleffe, già a corto di pubblico, sarebbero ben liete di giocare al sabato, perdere qualche manciata di sostenitori, ma, in compenso, ottenere buoni proventi dalla tv. Altre come Bari, Salernitana, Vicenza, Mantova che sanno bene di poter contare su tifoserie calde e appassionate, vorrebbero far di tutto per non penalizzarle.
Di qui l'equivoco. Se davvero i club, che mirano a staccare un buon numero di tessere-abbonamento, vorranno privilegiare i propri tifosi dovranno, anche in considerazione dell'assoluta povertà dell'offerta televisiva, puntare in maniera definitiva sul ritorno del campionato alla domenica senza alcun indugio. Immaginare di poter spuntare un buon contratto televisivo e al tempo stesso fare incetta di abbonamenti è un'utopia difficile da realizzare.
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