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  Dicembre 2012

Articoli n° 4
MAGGIO 2005
 
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DIRITTO DI CONTROLLO DEI SOCI NELLE SRL
REVOCA DELL'AMMINISTRATORE

Apprendistato e competenza regionale
le conseguenze dell'inerzia

IL CREDITO PER LE AZIENDE
ASSEVERAZIONE NEL PROJECT FINANCING

IL CREDITO PER LE AZIENDE
ASSEVERAZIONE NEL PROJECT FINANCING
Il ruolo degli istituti bancari

Luigi D’Angiolella
Avvocato Amministrativista studio
dangiolella@tin.it

 

Una recente pronuncia del T.A.R. Campania (Prima Sezione, n. 9571/2004) dà lo spunto per intervenire su di un importante tema, che può interessare molti imprenditori. Com'è noto ai lettori di questa rubrica, avendo più volte trattato l'argomento, l'istituto del project financing prende sempre più piede e, seppure con qualche difficoltà, sta diventando il migliore strumento di collaborazione pubblico-privato. L'idea di far prima costruire e poi gestire al privato l'opera pubblica, perché ne recuperi il costo per poi cederla all'ente pubblico alla fine del periodo di gestione, si è rivelata senz'altro vincente anche per la scarsità di risorse che oggi il pubblico può mettere in campo. Bisogna anche dire, però, che sino a oggi le convenzioni che hanno avuto più successo sono state quelle per opere, per così dire, più facilmente gestibili, come i parcheggi, mentre in altri casi l'esperienza ha dimostrato che il rapporto con il pubblico è più farraginoso per non sempre risolvibili implicazioni tra gestione, utenti e ricavo per il promotore. Elemento importante, anzi decisivo, che la legge impone al promotore privato di un project financing, è quello di dotarsi di un piano finanziario asseverato da un istituto bancario che testimoni la bontà dell'iniziativa, specie sotto il profilo della concretezza della gestione. Come chiunque può intendere, se un privato vuol promuovere la gestione di un'opera pubblica per ritornare dell'investimento, deve dare conto alla Pubblica Amministrazione che la sua proposta è seria e attendibile, anche perché la gestione può riguardare tempi lunghissimi, fino a sessant'anni. Se il programma proposto parte ma poi non funziona, si rischia di avere né l'opera né il servizio che la gestione seria avrebbe potuto offrire. É evidente che l'asseverazione dell'istituto di credito assume un carattere pregnante. Proprio questo il tema - e più in generale, i rapporti tra impresa e banca nel project financing - della interessante pronuncia richiamata all'inizio del presente articolo. Il caso concreto, affrontato dal Giudice napoletano, riguardava l'impugnativa di una concessione, atto finale della procedura di project financing, ove il ricorrente, tra le altre cose, censurava che l'asseverazione del piano finanziario era stata a cura di un istituto bancario "socio" della società che presentava il piano, e inoltre questo piano finanziario era basato solo su dati forniti dall'impresa, senza autonoma verifica. La sentenza si è, quindi, occupata, da un lato, della carenza in capo alla banca asseverante dei requisiti di «indipendenza e separatezza di giudizio per essere essa azionista rilevante di una società controllante l'impresa concorrente»; dall'altro, dell'insufficienza della asseverazione resa, in quanto la banca si era basata esclusivamente su dati e documenti forniti dall'impresa e non sottoposti dall'istituto di credito a verifiche di congruità e veridicità. Il T.A.R., su entrambe le questioni, ha "salvato" il progetto ritenendo che per l'asseverazione non è necessaria la posizione di terzietà della banca, e che la verifica di congruità, e, soprattutto, di veridicità dell'asseverazione, non è elemento pregnante. In effetti, per entrambe le questioni la motivazione del T.A.R. merita approfondimento e qualche sommessa critica, non tanto sulla bontà delle soluzioni giuridiche - che, a dire il vero, sono ancorate al dato normativo e di alto profilo - quanto sulle conseguenze sul piano pratico e, più in generale, sul piano delle responsabilità che l'istituto di credito è giusto che si assuma. Il problema della "non terzietà" di una banca rispetto al piano finanziario da essa asseverato, non credo possa essere risolto, come si legge nella sentenza in commento, semplicemente evidenziando che la legge non vieta tale interessenza e che l'asseverazione non impegna la stazione appaltante. Né il problema dell'interessenza azionaria della banca - come dice il Giudice napoletano in motivazione - può riguardare solo il presunto «divieto di compartecipazione azionaria o di altra forma di collegamento tra il promotore e la banca». Se ciò è vero sul piano della stretta lettura della norma, va anche detto che, al contrario, avrebbero dovuto preoccupare gli orientamenti restrittivi del Consiglio di Stato in tema di appalti pubblici tra più imprese candidate. In realtà, il problema maggiore è quello della serietà e attendibilità dell'asseverazione, che la sentenza affronta, come detto sopra, in maniera brillante sotto il profilo giuridico ma senza convincere sino in fondo sugli effetti pratici di tale scelta, anche per una carenza della legge su questo punto. E infatti, a mio avviso, bisogna che venga definito con precisione il ruolo svolto dall'istituto di credito e di tale compito deve essere investito il Legislatore. Se questo è un mero consulente dell'offerente che rilascia dichiarazioni più complesse, ma sostanzialmente analoghe a quelle rilasciate in qualsiasi altra gara sull'affidabilità di credito dell'impresa, il problema non si porrebbe. Se invece l'asseverazione, come credo, deve acquisire un valore di attestazione e/o di certazione, allora i risultati cui si deve giungere, non possono che essere diversi sia in ordine all'indipendenza, sia, e soprattutto, in ordine ai contenuti dell'asseverazione. Per ciò che riguarda l'indipendenza e la terzietà della banca, è evidente che solo chi è libero da condizionamenti può rilasciare una seria asseverazione. Per ciò che riguarda la portata dell'asseverazione - tema sul quale, in maniera critica, già si è mossa l'Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, che ha coinvolto l'ABI e la Banca d'Italia - va detto che essa risulterebbe non attendibile, se non approfondita nell'effettività dei dati a seguito delle verifiche effettuate dalla banca, e certo non sulla base delle mere dichiarazioni del privato. Mi sembra difficile, infatti, considerare la banca come un mero consulente della impresa (promotore nel project financing) e non dare, invece, il giusto peso all'asseverazione bancaria. Credo sia necessario un chiarimento, quindi, che permetta, da un lato, che la banca non entri in affari ove è coinvolto un proprio socio, o nei confronti del quale non è terza, e nel contempo, ove sono in gioco interessi pubblici, si crei un vincolo che obblighi la banca ad avere esatta e piena coscienza di ciò che assevera, anche perché è l'unico elemento del procedimento che dà assicurazione alla Pubblica Amministrazione di aver "fiducia" nel proprio interlocutore, che sarà il gestore dell'opera pubblica e che, quindi, toccherà da vicino la vita quotidiana dei cittadini. Se l'imprenditore assume il rischio d'impresa, e la Pubblica Amministrazione fa la sua parte facilitando i processi decisionali, non capisco perché la banca, che assevera l'operazione, non debba offrire le dovute garanzie e assumersi le proprie responsabilità. Si deve ritenere, ripeto, che la soluzione di questa problematica spetta soprattutto al Legislatore, e il T.A.R. Campania non ha potuto che basarsi sull'attuale normativa sul project financing. Eppure, una svolta servirebbe in questo senso: forse avremmo meno banche pronte ad asseverare i business plans - le imprese sanno com'è difficile impegnare un istituto di credito oltre lo stretto necessario - ma avremmo, credo, affari più solidi e risorse pubbliche meglio tutelate. Si potrebbe evitare che, nel caso di mal riuscita dell'iniziativa, vi sia una fuga dalle responsabilità, atteggiamento in cui molto spesso le banche si distinguono, come l'esperienza insegna.

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