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  Dicembre 2012

Articoli n° 4
MAGGIO 2005
 
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BANCA NAZIONALE DEL LAVORO
BILANCIO NEGATIVO NEL 2004

Vincere insieme la sfida per l'innovazione
I finanziamenti alla Ricerca

LE pmi in europa
fucina di nuovi prodotti e processi

LE pmi in europa
fucina di nuovi prodotti e processi
L’Osservatorio della Commissione Europea le elegge categoria produttiva decisiva per lo sviluppo

a cura del Servizio Research della Banca Monte dei Paschi di Siena


Nell'Unione Europea (EU-15), il 99% delle imprese sono PMI di cui la maggioranza (92%) microimprese con meno di 10 addetti. Le PMI (circa 18,7 milioni) impiegano quasi 95 milioni di unità lavorative, oltre i 2/3 dell'occupazione complessiva nelle aziende. L'elevato numero di imprese si accompagna a un notevole grado di turnover e sviluppo. Come segnala l'Osservatorio della Commissione Europea, SMEs in Europe 2003, l'evoluzione delle imprese europee nel periodo 1988-2003 evidenzia interessanti sviluppi: un aumento dell'occupazione nelle PMI, mentre le aziende più grandi hanno registrato una riduzione; un incremento del fatturato e del valore aggiunto più contenuto nelle PMI; una conseguente maggiore crescita della produttività nelle grandi imprese. L'importanza delle PMI è associata soprattutto alle caratteristiche di flessibilità, alla capacità di effettuare rapidi aggiustamenti della produzione e dei fattori produttivi. In generale, va sottolineato il ruolo propulsivo delle PMI per l'intero tessuto produttivo. Basti ricordare che le PMI servono come laboratorio per lo sviluppo di nuovi prodotti e/o processi di cui beneficeranno in seguito anche le imprese più grandi; accrescono il livello di competitività nel mercato, in termini soprattutto di sviluppo di nuove idee e di formazione di più alte professionalità; innalzano il grado di diversificazione del mercato con effetti benefici per la produttività delle imprese in generale. Riguardo al rapporto tra PMI ed evoluzione del ciclo economico, l'indagine della Commissione Europea segnala che il maggiore condizionamento allo sviluppo è stato la debolezza della domanda per consumi. Più piccola è l'azienda e più pesa tale fattore: il 37% delle micro imprese contro il 30% delle categorie delle PMI sottolinea la centralità di quest'aspetto. Uno dei dati più interessanti, evidenziato dalla Commissione Europea, è che le attività di formazione sono considerate un fattore strategico tra i più importanti per oltre metà delle PMI europee. Esse sono, tuttavia, spesso riluttanti nell'investire in "capitale umano" anche per il timore di un successivo passaggio del dipendente "formato" a un’impresa concorrente, ma, peraltro, sono consapevoli dei vantaggi che derivano all'operatività aziendale da una crescita professionale delle proprie maestranze. I dati empirici raccolti dalla Commissione Europea confermano che gli investimenti dell'impresa in formazione hanno un positivo effetto in termini di competitività e redditività. A tale proposito, in Europa, è possibile distinguere tre principali aree geografiche: le PMI appartenenti alla maggior parte dei Paesi del Nord e del Centro Europa (Norvegia, Finlandia, Svezia, Islanda, Austria e Irlanda) mostrano un maggiore impegno nelle attività di formazione, mentre quelle situate nei Paesi del Sud (Italia, Francia, Grecia, Spagna e Portogallo) evidenziano un coinvolgimento più basso. In una posizione intermedia si collocano i rimanenti Paesi europei. Vi è inoltre una correlazione positiva tra dimensione dell'impresa e sviluppo di attività di formazione. Solo il 18% delle PMI europee adotta un programma strutturato di formazione, anche se questa percentuale aumenta con il crescere della dimensione. Un altro capitolo di specifico interesse è la struttura delle PMI nei 10 nuovi Stati membri, dove la dimensione media delle imprese risulta in linea con quella dei Paesi mediterranei dell'UE. Ciò potrebbe suggerire che il ruolo delle PMI dei nuovi aderenti sarà simile, in ambito europeo, a quello svolto in Paesi come Italia e Grecia. Va sottolineato, inoltre, il gap in termini di reddito e struttura demografica tra nuovi e vecchi membri dell’UE. In particolare, emergono le potenzialità di crescita di questi Paesi come segnala l'indice di vecchiaia (rapporto fra ultrasessantacinquenni e minori di 15 anni) ben al di sotto di quello italiano. L'aumento del Pil dei 10 nuovi membri dovrebbe raggiungere, nei prossimi anni, valori doppi di quelli dell'UE 15. Riguardo ai possibili effetti sulle PMI (UE 15) dell'allargamento a Est, si segnala che i settori più interessati sono il manifatturiero e i trasporti e coinvolgerà, in primo luogo, i Paesi confinanti. In effetti, solo il 3% delle PMI europee (5% nei Paesi confinanti, cosiddetto "bordering countries" come Finlandia, Germania, Austria, Italia e Grecia) mantiene relazioni commerciali con i nuovi membri (in termini di import o export, di joint venture o stabilimenti delocalizzati in questi Paesi), anche se tale percentuale sale a circa il 10% per le imprese del manifatturiero. Fra i possibili vantaggi, vengono sottolineati l'ampliamento del mercato del lavoro e la riduzione del costo del personale. Per le PMI dei nuovi Paesi membri, vi è invece un problema di adeguamento dei propri modelli organizzativi alle più stringenti normative europee in materia di responsabilità sociale: emissioni di sostanze inquinanti, condizioni di lavoro, sicurezza dei prodotti. Il "compliance burden" risulta più impegnativo per gli operatori minori. Fra i possibili vantaggi per le imprese locali, oltre ai benefici connessi al cosiddetto "credibility effect" a seguito dell'entrata nell'UE, i ritorni positivi per le imprese di sub-fornitura e, più in generale, dell'indotto che gravita attorno alle "delocalizzazioni", destinato ad aumentare in tali Paesi. Da sottolineare anche l'accesso da parte dei 10 Paesi ai fondi relativi alle politiche comunitarie di riequilibrio territoriale. Con riferimento al finanziamento delle PMI europee, si evidenzia che, a partire dalla metà degli anni '90, il ricorso delle imprese a forme di finanziamento diretto sui mercati (obbligazionario e azionario) è risultato intenso anche nei Paesi dell'Europa continentale. Nei maggiori Paesi dell'area dell'euro, il peso dei prestiti sul totale delle passività finanziarie delle imprese era pari a circa il 32% nel 2002, contro il 16% negli Stati Uniti. Oltre all'analisi della struttura finanziaria delle PMI europee, risulta interessante evidenziare in particolare che, sul fronte della soddisfazione del rapporto con le banche, l'Osservatorio della Commissione europea segnala che circa 2/3 del campione delle PMI europee si dichiara complessivamente soddisfatto e solo il 12% insoddisfatto. Con riferimento a quest'ultima categoria e, in particolare, alle PMI di medie dimensioni le banche non offrono soluzioni adeguate ai loro bisogni in termini di prodotti e di consulenza. Per le micro imprese, costo del denaro e commissioni appaiono invece gli aspetti decisivi nel valutare il rapporto con la propria banca. Altro tema centrale per le PMI europee è l'internazionalizzazione. Fra le varie forme la più diffusa è il ricorso a fornitori esteri che interessa circa il 30% del totale contro il 18% dell'esportazione di merci. Il 6% delle PMI selezionate dall'indagine ha, invece, fatto ricorso a forme più avanzate di internazionalizzazione, quali partnership con imprese estere, apertura di stabilimenti e filiali, acquisizioni di partecipazioni. Relativamente all'importanza delle varie attività di pianificazione nei progetti di internazionalizzazione, va segnalata che la percentuale di realizzazione raggiunge l'indice più alto per quelle relative all'analisi del contesto normativo. La possibilità di entrare in nuovi mercati è, fra l'altro, una delle principali motivazioni per accrescere la cooperazione fra aziende, mettendo in comune risorse. A tal proposito, l'Osservatorio conferma la leadership dell'Italia in tema di "forme di cooperazione" tra imprese. Oltre la metà delle PMI italiane ha stretto forme di collaborazione con altre aziende contro percentuali assai minori negli altri Paesi europei. Assai scarse risultano, invece, le forme di cooperazione con partner esteri. Ciò rispecchia l'elevata concentrazione territoriale nei sistemi economici locali delle PMI italiane, che hanno sviluppato varie forme di organizzazione e collaborazione: oggi in Italia, secondo Unioncamere, si possono individuare circa 66.000 "gruppi" di imprese (responsabili per circa il 78% della produzione industriale complessiva), fra cui vanno evidenziati quelli organizzati attorno a una o più aziende leader che dettano tempi e modalità produttive per le imprese della filiera.

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