BASILEA 2
UN APPROCCIO “CULTURALE”
IL DIRITTO ALLE FERIE
NUOVA REGOLAMENTAZIONE
ANCORA SOCIETÀ MISTE
UN MODELLO IN possibile EVOLUZIONE
ANCORA SOCIETÀ MISTE
UN MODELLO IN possibile EVOLUZIONE
Quando il pubblico diventa imprenditore
Luigi D'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it
In questa rubrica ci siamo già occupati delle cosiddette
società "miste", e cioè di quella forma sempre
più diffusa di esercizio dei servizi spettanti agli enti locali.
Come è noto ai più, a partire dalla L. 142/90 e via via sino
al Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/00) il Legislatore ha
spinto e, col tempo, razionalizzato, tale forma di intervento degli
Enti Locali. Di fatto, è nata una categoria di nuovi soggetti, che
operano sul territorio, e indubbiamente sono stati molteplici i vantaggi
per la collettività:
tranne poche eccezioni, i servizi si sono accelerati e migliorati
e addirittura talvolta v'è stato un guadagno per l'ente pubblico
propositore. Abbiamo società miste pubblico-privato nel settore
dell'energia, come la distribuzione del gas, della nettezza urbana,
per la gestione degli impianti sportivi, elettrici, cimiteriali, per le
gestioni idriche e fognarie, per la gestione dei porti in alcuni Comuni
costieri. Si può dire
che il modello proposto abbia avuto, quindi, un certo successo e
anzi che le occasioni imprenditoriali siano aumentate, con non poche
imprese che si sono proposte per interessanti partnership con il pubblico.
Questa commistione di poteri pubblici e forze private, l'applicazione di
norme del diritto civile e societario, dovrà, però, prima
o poi far riflettere su alcune conseguenze che essa comporta, quale, ad
esempio, l'eventuale insolvenza delle società e dei relativi riflessi
sul bilancio pubblico, questione delicatissima che deve preoccupare sin
d'ora i giuristi e, quindi, il Legislatore. Così come è interessante
riflettere su quale sia il reale campo operativo di tali soggetti,
specie quando essi, consolidatisi sul territorio dell'ente locale che li
ha promossi, decidono di operare "extra
moenia", e cioè fuori delle mura della comunità ove
sono nati. Si pone cioè il problema degli eventuali limiti alla
società mista quale soggetto imprenditoriale tout court, che opera
in regime di concorrenza con altri soggetti, specie nel delicato
settore degli appalti pubblici. L'occasione di una riflessione l'ha
offerta la Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5843
del 7.9.2004 che ha affrontato il problema della possibilità, da
parte delle società miste - soggetti a loro volta aggiudicatori
di servizi - costituite ai sensi degli artt. 113, 113-bis e 116 del Testo
unico di cui al D.Lgs. 267/00, di svolgere attività economico-imprenditoriali
al di fuori del servizio per la cui gestione sono state costituite.
Il Supremo Consesso Amministrativo ha affermato che l'attuale normativa
non preclude agli enti aggiudicatori e, segnatamente, alle società miste
costituite dagli enti locali, di operare sul mercato in veste di
esecutori di lavori pubblici per conto di stazioni appaltanti terze.
In realtà, tale questione, e cioè la possibilità,
per le società miste costituite da enti locali, di svolgere attività imprenditoriali
cosiddette extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti
pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli
enti locali che hanno dato vita alle società miste), era già stata
risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza, sia pure con paletti
e limitazioni tendenti a mantenere il ruolo delle società a prevalente
partecipazione pubblica, essenzialmente longa manus della Pubblica Amministrazione.
La richiamata pronuncia rende, però, più flebile la distinzione
tra impresa "privata" e "mista" nel libero mercato
degli appalti pubblici, perché l'unico limite individuato dal Supremo
Consesso è in negativo, facendo perno sul principio secondo cui
la partecipazione a procedure di gara extra moenia «…non deve
pregiudicare il servizio reso alla collettività da parte dell'ente
locale che possiede il controllo della società...». É stato
precisato, così, che la partecipazione a gare di altri enti deve
ammettersi nei limiti della compatibilità con il vincolo funzionale
che lega la società mista alla collettività di riferimento
e che quest'ultimo deve essere dimensionato di volta in volta, valutandone
gli effetti nel senso che occorre verificare, caso per caso, con specifiche
indagini e studi, se l'impegno extraterritoriale eventualmente distolga,
e in che misura e rilevanza, risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni
di utilità per la suddetta collettività di riferimento.
Solo a tali condizioni, afferma il Consiglio di Stato, si può soddisfare
la duplice esigenza che, da un lato, le attività extraterritoriali
della società mista non si traducano in un pregiudizio e aumento
di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi
di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe, e che, dall'altro, la
società mista, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni
di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati,
senza costituzione di una posizione di privilegio derivante dalla possibilità di
usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionali sugli aiuti
pubblici alle imprese, di una dote economico-finanziaria costituita da
denaro pubblico e, dunque, in definitiva, a carico della collettività.
Questa soluzione rappresenta il tentativo di risolvere la conflittualità tra
i limiti dell'azione pubblica in quanto tale e l'autonomia delle forme
privatistiche di intervento nell'economia. D'altra parte, la conclusione
cui è giunto il Consiglio di Stato nella sentenza in commento, tende
ad avvalorare le scelte, consacrate a livello normativo, di prevedere per
la gestione dei servizi pubblici locali la forma societaria, la cui attività non
può, né deve risultare vincolata da limiti di carattere territoriale
affinchè non vengano interposti vincoli di natura spaziale allo
strumento operativo messo a disposizione dell'ente. La sentenza risulta
apprezzabile per lo sforzo ed è in linea, peraltro, con la tendenza
legislativa cui si è fatto cenno, sempre più nel senso di
equiparare l'azione amministrativa ai modelli del diritto privato. Non
risolve, però, tutte le questioni sul tappeto. Bisogna chiedersi,
ad esempio, quale sia l'incidenza sui normali rapporti concorrenziali di
tale linea interpretativa. Ad esempio, si è proprio così sicuri
che la qualificazione di una società mista (fatturato, esperienze
precedenti, rapporti bancari, eccetera) sia stata ottenuta con i medesimi
strumenti e con le stesse difficoltà di un soggetto privato? Non
credo proprio, visto che l'impresa dell'ente locale ha avuto un avviamento
privilegiato, dovuto al rapporto con l'ente locale di cui è la costola
operativa, e ha ottenuto quasi sempre l'affidamento del servizio a trattativa
privata.
Mi pare abbastanza evidente che una cosa è l'esperienza dell'impresa
che va battagliando per vincere gare in regime di assoluta concorrenza,
e che così facendo cresce, si qualifica, fa esperienza e s'impone
sul mercato aumentando il fatturato, un'altra cosa è l'esperienza
della società mista, che svolge un servizio quasi in esclusiva,
ove il soggetto privato gode dei privilegi del proprio partner pubblico,
utilizzando poi tali requisiti nelle gare cui partecipa "extra moenia".
É evidentemente ancora una questione irrisolta, che la sentenza
commentata in questa sede non pare risolva. La questione non è di
poco conto, perché parallelamente alla diffusione delle società miste,
cresce anche una concorrenza non sempre leale nel libero mercato degli
appalti pubblici.
|