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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2005
 
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BASILEA 2
UN APPROCCIO “CULTURALE”

IL DIRITTO ALLE FERIE
NUOVA REGOLAMENTAZIONE

ANCORA SOCIETÀ MISTE
UN MODELLO IN possibile EVOLUZIONE

ANCORA SOCIETÀ MISTE
UN MODELLO IN possibile EVOLUZIONE
Quando il pubblico diventa imprenditore

Luigi D'Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it

 

In questa rubrica ci siamo già occupati delle cosiddette società "miste", e cioè di quella forma sempre più diffusa di esercizio dei servizi spettanti agli enti locali. Come è noto ai più, a partire dalla L. 142/90 e via via sino al Testo Unico degli Enti Locali (D.Lgs. 267/00) il Legislatore ha spinto e, col tempo, razionalizzato, tale forma di intervento degli Enti Locali. Di fatto, è nata una categoria di nuovi soggetti, che operano sul territorio, e indubbiamente sono stati molteplici i vantaggi per la collettività: tranne poche eccezioni, i servizi si sono accelerati e migliorati e addirittura talvolta v'è stato un guadagno per l'ente pubblico propositore. Abbiamo società miste pubblico-privato nel settore dell'energia, come la distribuzione del gas, della nettezza urbana, per la gestione degli impianti sportivi, elettrici, cimiteriali, per le gestioni idriche e fognarie, per la gestione dei porti in alcuni Comuni costieri. Si può dire che il modello proposto abbia avuto, quindi, un certo successo e anzi che le occasioni imprenditoriali siano aumentate, con non poche imprese che si sono proposte per interessanti partnership con il pubblico. Questa commistione di poteri pubblici e forze private, l'applicazione di norme del diritto civile e societario, dovrà, però, prima o poi far riflettere su alcune conseguenze che essa comporta, quale, ad esempio, l'eventuale insolvenza delle società e dei relativi riflessi sul bilancio pubblico, questione delicatissima che deve preoccupare sin d'ora i giuristi e, quindi, il Legislatore. Così come è interessante riflettere su quale sia il reale campo operativo di tali soggetti, specie quando essi, consolidatisi sul territorio dell'ente locale che li ha promossi, decidono di operare "extra moenia", e cioè fuori delle mura della comunità ove sono nati. Si pone cioè il problema degli eventuali limiti alla società mista quale soggetto imprenditoriale tout court, che opera in regime di concorrenza con altri soggetti, specie nel delicato settore degli appalti pubblici. L'occasione di una riflessione l'ha offerta la Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5843 del 7.9.2004 che ha affrontato il problema della possibilità, da parte delle società miste - soggetti a loro volta aggiudicatori di servizi - costituite ai sensi degli artt. 113, 113-bis e 116 del Testo unico di cui al D.Lgs. 267/00, di svolgere attività economico-imprenditoriali al di fuori del servizio per la cui gestione sono state costituite. Il Supremo Consesso Amministrativo ha affermato che l'attuale normativa non preclude agli enti aggiudicatori e, segnatamente, alle società miste costituite dagli enti locali, di operare sul mercato in veste di esecutori di lavori pubblici per conto di stazioni appaltanti terze.
In realtà, tale questione, e cioè la possibilità, per le società miste costituite da enti locali, di svolgere attività imprenditoriali cosiddette extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli enti locali che hanno dato vita alle società miste), era già stata risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza, sia pure con paletti e limitazioni tendenti a mantenere il ruolo delle società a prevalente partecipazione pubblica, essenzialmente longa manus della Pubblica Amministrazione. La richiamata pronuncia rende, però, più flebile la distinzione tra impresa "privata" e "mista" nel libero mercato degli appalti pubblici, perché l'unico limite individuato dal Supremo Consesso è in negativo, facendo perno sul principio secondo cui la partecipazione a procedure di gara extra moenia «…non deve pregiudicare il servizio reso alla collettività da parte dell'ente locale che possiede il controllo della società...». É stato precisato, così, che la partecipazione a gare di altri enti deve ammettersi nei limiti della compatibilità con il vincolo funzionale che lega la società mista alla collettività di riferimento e che quest'ultimo deve essere dimensionato di volta in volta, valutandone gli effetti nel senso che occorre verificare, caso per caso, con specifiche indagini e studi, se l'impegno extraterritoriale eventualmente distolga, e in che misura e rilevanza, risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità per la suddetta collettività di riferimento.
Solo a tali condizioni, afferma il Consiglio di Stato, si può soddisfare la duplice esigenza che, da un lato, le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in un pregiudizio e aumento di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe, e che, dall'altro, la società mista, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza costituzione di una posizione di privilegio derivante dalla possibilità di usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionali sugli aiuti pubblici alle imprese, di una dote economico-finanziaria costituita da denaro pubblico e, dunque, in definitiva, a carico della collettività. Questa soluzione rappresenta il tentativo di risolvere la conflittualità tra i limiti dell'azione pubblica in quanto tale e l'autonomia delle forme privatistiche di intervento nell'economia. D'altra parte, la conclusione cui è giunto il Consiglio di Stato nella sentenza in commento, tende ad avvalorare le scelte, consacrate a livello normativo, di prevedere per la gestione dei servizi pubblici locali la forma societaria, la cui attività non può, né deve risultare vincolata da limiti di carattere territoriale affinchè non vengano interposti vincoli di natura spaziale allo strumento operativo messo a disposizione dell'ente. La sentenza risulta apprezzabile per lo sforzo ed è in linea, peraltro, con la tendenza legislativa cui si è fatto cenno, sempre più nel senso di equiparare l'azione amministrativa ai modelli del diritto privato. Non risolve, però, tutte le questioni sul tappeto. Bisogna chiedersi, ad esempio, quale sia l'incidenza sui normali rapporti concorrenziali di tale linea interpretativa. Ad esempio, si è proprio così sicuri che la qualificazione di una società mista (fatturato, esperienze precedenti, rapporti bancari, eccetera) sia stata ottenuta con i medesimi strumenti e con le stesse difficoltà di un soggetto privato? Non credo proprio, visto che l'impresa dell'ente locale ha avuto un avviamento privilegiato, dovuto al rapporto con l'ente locale di cui è la costola operativa, e ha ottenuto quasi sempre l'affidamento del servizio a trattativa privata.
Mi pare abbastanza evidente che una cosa è l'esperienza dell'impresa che va battagliando per vincere gare in regime di assoluta concorrenza, e che così facendo cresce, si qualifica, fa esperienza e s'impone sul mercato aumentando il fatturato, un'altra cosa è l'esperienza della società mista, che svolge un servizio quasi in esclusiva, ove il soggetto privato gode dei privilegi del proprio partner pubblico, utilizzando poi tali requisiti nelle gare cui partecipa "extra moenia".
É evidentemente ancora una questione irrisolta, che la sentenza commentata in questa sede non pare risolva. La questione non è di poco conto, perché parallelamente alla diffusione delle società miste, cresce anche una concorrenza non sempre leale nel libero mercato degli appalti pubblici.

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