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  Dicembre 2012

Articoli n° 3
APRILE 2005
 
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FEDERMECCANICA
APERTURA AI MERCATI GLOBALI

IL LIMITE DIMENSIONALE DELLE AZIENDE
CRESCERE SI PuÒ

IL LIMITE DIMENSIONALE DELLE AZIENDE
CRESCERE SI Puo
A Bari la biennale della Piccola Industria ha tracciato la strada da seguire per lo sviluppo

di Raffaella Venerando & Gaia Sigismondi

Montezemolo lo ha dichiarato, con la massima convinzione, fin dall’inizio del suo mandato: «...ll Sud è la nuova frontiera del Paese e per Confindustria il Mezzogiorno rappresenta da sempre una priorità, insieme alla concorrenza, alla semplificazione burocratica per garantire maggiore competitività alle imprese, alla ricerca, all’innovazione e alle infrastrutture...». E proprio per tenere fede agli impegni presi, per la prima volta il Convegno Biennale della Piccola Industria di Confindustria, intitolato “Crescere: organizzazione, finanza, mercati per lo sviluppo delle piccole imprese”, quest’anno si è tenuto al Sud, il 18 e 19 marzo scorsi presso la Fiera del Levante di Bari. I lavori hanno preso le mosse da un’indagine sul campo, incentrata sull’analisi della crescita delle aziende, promossa dal Centro Studi Confindustria e dalle Università di Ancona e Parma. La ricerca è stata realizzata a partire da informazioni di carattere statistico e, soprattutto, da un’esplorazione diretta del fenomeno all’interno del mondo delle imprese, intervistando e raccogliendo le testimonianze di alcuni imprenditori che hanno percorso un iter di sviluppo ritenuto “esemplare”. L’analisi ha mostrato che l’espansione dimensionale è un fenomeno ancora raro nel panorama dell’imprenditoria italiana, ma esiste e bisogna fare il possibile per renderlo più frequente. Su cento imprese, infatti, soltanto trenta, in un lasso temporale lungo 15 anni, sono riuscite a oltrepassare la soglia dei cinque dipendenti, in un contesto per molti aspetti non favorevole alle iniziative economiche. Alcuni imprenditori, quindi, possono dimostrare di avercela fatta e a loro è dedicato lo studio di Confindustria che intende tracciare un percorso di sviluppo ideale che potesse rappresentare il modello da seguire, tenuto conto delle inevitabili difficoltà connaturate nel processo di crescita e degli strumenti giusti per superarle. Tutti concordi, quindi, nel ritenere che l’Italia ha realmente bisogno di riprendere la via dello sviluppo, possibile solo se le sue aziende cresceranno. A parlare in nome e in rappresentanza della Piccola Industria di Confindustria è stato il suo Presidente Sandro Salmoiraghi che, durante la prima giornata del convegno, ha aperto il suo intervento chiarendo subito quali sono i quattro punti strategici su cui oggi le piccole imprese chiedono attenzione: la compensazione del trasferimento del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare, quindi il suo reinvestimento in favore delle piccole imprese; la semplificazione delle regole; il rinnovo dei contratti rispettando l’accordo del ‘93, pena una rincorsa che porterebbe l’Italia fuori dal mercato e, infine, maggiore severità alle dogane con un’Unione Europea che applichi con più rigore, celerità e aggressività, gli interventi già a disposizione, senza per questo ricorrere ai dazi, che «...rievocano il Medioevo...». Salmoiraghi, infatti, invita la burocrazia di Bruxelles a utilizzare senza alcuna esitazione le clausole di difesa. Il Presidente Salmoiraghi ha poi precisato che «per competere sui mercati, abbiamo miniaturizzato le nostre imprese. Oggi questo modello è messo seriamente in discussione, anche perchè la vita dei prodotti si è notevolmente accorciata. Nuovi paesi, tra cui la Cina, crescono più del 5% l’anno, mentre il nostro “soffre” perchè il suo straordinario esercito di piccole e medie imprese non riesce a difendersi in un contesto coì allargato dove le difficoltà si sono moltiplicate a livello esponenziale. Ci stiamo accorgendo, infatti, che la globalizzazione ha complicato le cose, che il supereuro ha impedito qualsiasi strategia di innovazione e di crescita, compromettendo i margini, senza i quali nessun investimento è possibile. E senza investimenti non si va da nessuna parte. Ciononostante, il nostro sistema Paese continua a far nascere, soprattutto al Sud, nuove realtà imprenditoriali. Questo è un indiscutibile positivo sintomo di vitalità. Crescere, però, talvolta equivale a perdere in redditività. Per arginare questo effetto negativo, abbiamo bisogno del sostegno di politiche economiche adeguate. Dobbiamo riposizionarci sulle cose che sappiamo fare, senza per questo tralasciare l’innovazione. Attualmente, abbiamo perso l’effetto trainante delle grandi imprese manifatturiere, per cui è necessario che le PMI si mostrino dinamiche dando vita a nuovi prodotti e tecnologie, ad azioni di marketing strutturato, a innovazioni di processo. A tale scopo, i centri dove la ricerca trova la sua massima espressione devono raccordarsi maggiormente con il mondo imprenditoriale. Oggi, per competere, non è più sufficiente avere un buon prodotto; bisogna saperlo proporre sui mercati lontani. Dobbiamo crescere non solo di numero, ma anche di taglia, uscendo dai gagli della logica del 51%. Controllare un’impresa che non riesce più a reggere la sfida del mercato non solo non è un valore sociale, ma non è neanche un valore economico. Rimbocchiamoci le maniche, ritorniamo a mettere in moto quella spinta che ha contraddistinto il successo delle nostre imprese negli anni passati, ritorniamo a investire, perchè questo è davvero il momento giusto. è tempo di puntare sulla nostra presenza all’estero, di credere e dare il via a fusioni, concentrazioni, acquisizioni». Per quanto attiene, poi, alla competitività, la Piccola Industria ha formulato delle proposte da realizzare, a integrazione dei provvedimenti già adottati: «...semplificare le procedure di trasformazione societaria; estendere il credito di imposta al 50% a tutti i costi delle concentrazioni; introdurre incentivi addizionali per attività di ricerca, formazione e promozione all’estero; prevedere incentivi per investimenti che generano nuova occupazione; completare la riforma in materia fallimentare; potenziare i fondi centrali di garanzia per gli investimenti in ICT; rendere disponibili i trasferimenti alle regioni per sostenere gli investimenti delle oltre 60 mila piccole imprese industriali e artigiane...». «...Crescere dipende da noi, - così ha proseguito il Presidente della Piccola - dalla nostra passione nel fare impresa. Lo dobbiamo a noi stessi e al nostro paese...». Sandro Salmoirghi ha, poi, concluso il suo intervento citando John F. Kennedy: «...Non basta interrogarsi su ciò che il Paese può fare per noi, dobbiamo anche chiederci che cosa noi possiamo fare per il Paese...». Nel ricco parterre dei relatori, Confindustria ha voluto che fosse presente anche Jean-Claude Trichet, Presidente della Banca Centrale Europea. Invitato a raggiungere il palco per discutere della situazione economica in cui versa il nostro Paese, Trichet ha esordito dicendo che «...grazie all’euro, l’economia europea si è rafforzata e difesa dai contraccolpi giunti dall’esterno, soprattutto all’indomani degli attentati terroristici dell’11 settembre che senza la moneta unica avrebbero provocato turbolenze monetarie ben peggiori in Europa e nelle economie dell’area dell’euro, anche considerato che l’Italia ha avuto esperienza di numerosi episodi di ampi tassi di cambio e volatilità dei tassi di interesse tra il ‘70 e la metà degli anni ‘90...». Ha, poi, aggiunto: «...Faremo il possibile per assicurare ai cittadini dell’Unione Europea una politica di stabilità dei prezzi, così come stabilito dalla Costituzione. La stabilità dei prezzi, infatti, riduce il costo del credito sia per le imprese che per le famiglie, condizione indispensabile per la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro, anche se questa non è l’unico requisito per assicurare lo sviluppo. Negli ultimi dieci anni, la crescita del pil reale dell’area euro è stata del 2,1%, contro il 3,4% di quella Usa. Il vero problema italiano è rappresentato da una rigidità di tipo “strutturale”: negli ultimi sei anni il costo del lavoro unitario in Italia è cresciuto del 15,6%, rispetto al costo medio europeo pari al 3,1%. La rigidità del mercato del lavoro e della corporate governance, il basso livello di ricerca e la mancanza di innovazione nelle PMI, continuano a essere una caratteristica dominante del sistema industriale italiano e ciò frappone ostacoli alla creazione di aziende e, quindi, di rimando all’integrazione e alla crescita. Solo agendo su questi ostacoli, rimuovendoli definitivamente, le nostre economie miglioreranno, perchè di fronte all’accelerazione della globalizzazione solo le economie flessibili possono trarre dei vantaggi...». Un vero elogio alla stabilità quello espresso dal Presidente della BCE, condivisibile a parere dei molti presenti in sala, purchè la stabilità non diventi un vincolo per l’economia. All’indomani di queste dichiarazioni, il Vice Presidente per il Mezzogiorno Confindustria Ettore Artioli, ha sottolineato, nel corso della tavola rotonda che lo ha visto protagonista insieme a Claudio Carnevale Presidente Acotel, a Corrado Passera Amministratore Delegato Banca Intesa, a Maria Perdicchi Managing Director Standard & Poor’s Italia e a Giovanni Tamburi Presidente della Tamburi e Associati, la sua approvazione per la bocciatura dell’Irap da parte dell’avvocato della Corte di Giustizia Europea: «...Da tempo sostenevamo la necessità di approfondire la questione fiscale che grava sulle imprese, a partire dall’Irap. Oggi, finalmente, siamo obbligati a farlo. Ci troviamo di fronte a una grande opportunità e siamo convinti che il Governo saprà compiere scelte che portino a una maggiore equità, scelte coraggiose che conducano a una riduzione della pressione fiscale sulle imprese per liberare risorse per nuovi investimenti...». Artioli ha, poi, affrontato il tema “banche-imprese”, ritenendo che questa relazione può solo migliorare: «...Gli strumenti per crescere ci sono in Italia, ciò che manca è la capacità adeguata di utilizzo. Mondo del credito e sistema imprenditoriale devono rendersi conto ciascuno delle esigenze dell’altro e, insieme, giungere a una comune soluzione, senza inutili e dispersivi ostruzionismi. Il nanismo italiano può essere superato solo se ci mettiamo uno sopra l’altro, creando dei giganti...». Ad Artioli, e a quanti hanno lamentato la mancanza di un adeguato sostegno alle imprese italiane da parte delle banche, così ha risposto Corrado Passera, A.D. Banca Intesa: «...Se esistono aziende che hanno un progetto innovativo che per noi risulta di difficile valutazione, la stima va rimessa ai centri di competenza universitaria. Se il giudizio di questi ultimi sarà positivo, la banca sarà disponibile al finanziamento. Crediamo che questo sia un esperimento valido e vantaggioso per ambo le parti, anche perchè non dimentichiamo che siamo in un Paese dove la normativa penalizza chi aiuta le aziende in difficoltà, visto che la riforma della legge fallimentare non è stata ancora ultimata, ma prenderci il rischio per le imprese rimane il nostro mestiere. Devono essere le norme a favorire le aziende, mentre alle banche spetta fare solo la propria parte...». E, riferendosi all’incalzare incessante dei paesi dell’Est, ha affermato: «...I grandi mercati dell’Est non sono solo minacce ma enormi mercati di consumo e noi come banche ci saremo accompagnando la crescita delle imprese italiane in paesi così diversi, per organizzazione, dal nostro...». Sulle tematiche “Crescita, Mercato Interno, Internazionalizzazione” si sono successivamente confrontati, nel corso di un’altra Tavola Rotonda, Roberto Colaninno Presidente Piaggio & C., Diego Mosna Presidente Diatec Group, Fabrizio Onida Ordinario di Economia Internazionale alla Bocconi e Andrea Pininfarina Vice Presidente per il Centro Studi Confindustria. Nello specifico il Presidente Colaninno, senza parlare di declino del Paese ma di opportunità da cogliere, ha dichiarato: «...Negli ultimi 5 anni la globalizzazione e la tendenza della legislazione sono andate a favore del libero mercato, di una visione della competizione senza barriere. Siamo di fronte a un trend che nessuno può fermare: o lo capiamo o, comunque, saremo costretti a capirlo. E pagheremo un prezzo più alto...». Il Presidente Piaggio ritiene che il Governo non si stia muovendo nella direzione giusta. «...Se ciascuno di noi è convinto di questo cambiamento - sostiene - non ha bisogno che il Governo sia di stimolo. Il Governo deve essere una sintesi del cambiamento che vogliono i cittadini e deve essere in grado di organizzare, legiferare, gestire. Se vogliamo lo sviluppo attraverso la competizione, è ovvio che il Governo è obbligato a fare una politica in questa direzione. Ma non credo che in questo momento la stia facendo...». Cosa manca, allora, alla politica dell’Esecutivo per guidare questo cambiamento? «...Dovrebbe assicurare tranquillità e sicurezza, - ha proseguito Colaninno - dovrebbe essere un forte coordinatore che abbia la capacità di lanciare, supportare, individuare le aspettative e intervenire nelle debolezze che il sistema può presentare in un processo simile...». Colaninno pone l’accento anche sul riequilibrio delle condizioni economiche tra l’Italia e i competitors stranieri: «...Bisogna contribuire a migliorare la qualità della vita in quei paesi in modo tale che i loro costi, oggi molto più bassi dei nostri, vadano verso un equilibrio...». Insomma, la strada giusta non è quella seguita in passato dagli imprenditori che hanno delocalizzato per poter usufruire di manodopera a costi inferiori. Occorre percorrere questo sviluppo dell’economia mondiale, altrimenti rischiamo di perdere il treno della competitività, come Colaninno ritiene che il nostro Paese stia già facendo. Ci piace chiudere questo report sulla due giorni tenutasi a Bari con le parole del Presidente Montezemolo, perchè siano da stimolo per tutti gli imprenditori del Sud a continuare, con rinnovato impegno ed entusiasmo, a fare bene: «...La piccola impresa costituisce nel Sud d’Italia un pezzo delle nostre istituzioni. Per questa ragione, vogliamo rappresentare le giuste istanze di un Sud moderno, che non piange, che vuole crescere dal punto di vista imprenditoriale, che non chiede protezioni, ma condizioni e opportunità uguali a quelle del resto del Paese. Quel pezzo che contribuisce a costruire la società civile. Fare piccola impresa è duro in tutti i paesi. Farlo in Italia è forse anche più difficile. Ma farlo nel Mezzogiorno è spesso un atto di eroismo...».

 

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