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durata e validitÀ dei patti parasociali
la ratio della nuova normativa
DURATA E VALIDITÀ DEI PATTI PARASOCIALI
LA RATIO DELLA NUOVA NORMATIVA
L’idoneità sussiste se gli accordi sono contenuti in archi temporali delimitati
Francesco Pezone
Avvocato fpezone@luiss.it
Con la dizione "patti parasociali", come ormai noto, si intendono quegli accordi di natura contrattuale intercorrenti tra possessori (proprietari, creditori con pegno su azioni, usufruttuari) di titoli azionari e deputati all'esercizio in maniera concertata dei diritti amministrativi connessi al titolo stesso. Superato l'iniziale scetticismo dottrinario e giurisprudenziale relativo alla liceità dei patti in questione (in proposito si ricordi la tipizzazione dei contratti parasociali operata dal legislatore con il D.Lgs. 58/98), motivato principalmente con la preoccupazione che simili accordi avrebbero provocato in pratica una delegittimazione delle decisioni assembleari, ci si è posto il problema di regolamentare una prassi che, nel frattempo, aveva raggiunto una diffusione significativa in larga scala. Le problematiche più stringenti erano indubbiamente quelle volte a garantire una tutela sia esterna che interna. La prima coinvolgeva gli aspetti legati alla conoscibilità e trasparenza degli accordi intercorsi tra soci in grado di influenzare il governo delle società, la seconda, invece, riguardava il contenimento temporale dell'impegno contrattuale dei "parasoci", atteso che la maggior parte dei sindacati stipulati era a tempo indeterminato. In un primo momento si era ritenuto, alla luce del disfavore legislativo per le obbligazioni a tempo indeterminato, che i patti stipulati sine die, fossero nulli, non realizzando un interesse meritevole di tutela e implicando una limitazione alle possibilità del socio di liberarsi delle proprie quote, trasferendole a terzi (Cassazione Civile sentenza n. 9975 del 1995). Si ammetteva, dunque, la validità dei patti parasociali, purché gli stessi fossero contenuti in archi temporali ragionevoli e delimitati o, quanto meno, prevedessero la facoltà di recesso per il socio. La giurisprudenza, pertanto, in ciò anticipando il legislatore, era orientata nel decretare l'invalidità nel patto parasociale stipulato a tempo indeterminato, senza la contemporanea previsione del diritto di recesso. In particolare, nella sentenza 9975/95 la Suprema Corte aveva negato che il collegamento negoziale esistente tra contratto di società e contratto parasociale consentisse di riferire a quest'ultimo il termine di durata previsto per la società. Successiva dottrina, invece, si era mostrata di diverso avviso, ritenendo che la sentenza fosse troppo rigorosa nelle sue conclusioni (cfr. P. Jaeger), ben potendo riconoscersi ai soci aderenti al patto il diritto di recesso ad nutum proprio in ragione della durata a tempo indeterminato ((cfr. tra gli altri R. Costi; P. Jaeger). Proprio in considerazione della dottrina sopra richiamata (per i riferimenti bibliografici si veda G.F. Campobasso (a cura di), Commentario al Testo Unico della Finanza, Torino, 2000), il nostro legislatore, in occasione dell'emanazione della disciplina di settore di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998 (Testo Unico della Finanza o T.U.F.) sull'intermediazione finanziaria, ha disciplinato la durata e la pubblicità dei patti parasociali nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati, dando per acquisita la liceità dei patti parasociali. L'articolo 123 del T.U.F., infatti, stabilisce una durata massima di tre anni per i patti aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle S.p.A. quotate in borsa, con automatica riduzione, in tali limiti, di eventuali termini stipulati per una durata superiore. La disposizione si applica a tutti i patti parasociali indicati nell'articolo 122 del T.U.F., commi 1 e 5, e fra questi distingue tra patti stipulati a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. I primi non possono in nessuna eventualità superare la durata di tre anni: la maggior durata è ex lege ridotta a tre anni. Essi possono comunque essere rinnovati alla scadenza. I patti a tempo indeterminato sono, a loro volta, assolutamente consentiti, ma al socio che vi ha aderito è in ogni modo concesso il diritto di recesso previo preavviso di sei mesi, purché pubblicizzato secondo le forme previste dall'articolo 122 del T.U.F.. Inoltre l'esercizio del diritto di recesso è sempre possibile, senza preavviso, in caso di offerta pubblica di acquisto o di scambio (sul punto, cfr. P. Jaeger - P. Marchetti, in Giur. Comm., 1997, I, pagine 636; per un più ampio approfondimento in merito, cfr. S. Siani, L'applicabilità della disciplina dell'OPA, Offerta Pubblica di Acquisto, obbligatoria con riferimento all'ingresso di nuovi soci in un patto parasociale, in www.magistra.it, dal quale sono tratti alcuni stralci del precedente articolo contenuto nel numero 8 di Costozero di ottobre 2004, e utilizzato come introduzione all'argomento in oggetto). Nella stessa direzione si è mosso anche il legislatore in sede di riforma del diritto societario. Il D.Lgs. n. 6 del 2003 o "Riforma delle Società", che ha introdotto nel codice civile gli articoli 2341bis e 2341ter, si è posto sostanzialmente in continuità rispetto alle norme a suo tempo introdotte dal T.U.F.. L'articolo 2341bis del codice civile (applicabile esclusivamente alle società non quotate) non fornisce una definizione di patti parasociali ma ne individua alcune categorie in relazione al fine che con gli stessi si intende raggiungere, che consiste nella stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società. La norma individua i sindacati di voto (comma 1, lettera a) e i sindacati di blocco (comma 1, lettera b), nonché tutti i patti aventi ad oggetto o per effetto "l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante" sulla società oggetto del patto (comma 1, lettera c). Tali accordi non possono avere durata superiore a cinque anni (in caso di durata più ampia il termine è ridotto a cinque anni ex lege), ma sono rinnovabili alla scadenza. Possono, inoltre, essere stipulati anche a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun contraente può recedere con un preavviso di sei mesi (cfr. G.F. Campobasso, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, 2003, pag. 101 e ss.). Infine, il legislatore, a differenza di quanto ha previsto per le società quotate, per evitare un utilizzo improprio della nuova normativa, ha stabilito che tali limiti di durata non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo. La ratio di questa esclusione risiede nel fatto che questo tipo di accordi non incide su alcun diritto dei soci. È da sottolineare che tale ultima fattispecie presenta delle criticità di carattere pratico: riteniamo, infatti, che non sia consigliabile stipulare un accordo parasociale a tempo indeterminato, pur anche con riferimento a ipotesi di patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo. Nel caso in cui, infatti, venisse a mancare il requisito della strumentalità e/o quello del possesso dell'intera partecipazione da parte degli aderenti al patto, il contratto presterebbe il fianco al diritto di recesso. Meglio, quindi, un termine di durata molto ampio (dieci o venti anni) che, nel caso in cui venissero a mancare uno o entrambi i requisiti sopra menzionati, produrrebbe come unico effetto la riduzione ex lege a cinque anni della durata del patto. Nel prossimo numero concluderemo la rassegna sui patti parasociali, trattando la questione relativa agli obblighi di pubblicità cui gli stessi sono sottoposti. |