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il trasferimento all'estero
la disposizione antielusiva
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la ratio della nuova normativa
il trasferimento all'estero
la disposizione antielusiva
La nuova normativa viola il principio della libertà di stabilimento
Francesco Grammatico
Dottore Commercialista LL.M International Taxation
fgram@yahoo.com
Prima dell'introduzione della riforma fiscale, attuata con il Decreto Legislativo n. 342 del 2003, il trasferimento della sede societaria era disciplinato dall'articolo 20bis del "vecchio TUIR" (Testo unico delle imposte sui redditi), Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/86. Tale disposizione è stata trasfusa nell'articolo 166 del "nuovo TUIR" che, nella sostanza, ne ripropone gli stessi criteri, prima previsti dall'articolo 20 bis, ampliandone però considerevolmente la portata. In linea di principio, di trasferimento della sede all'estero ha senso parlare solo se la società prosegue la propria attività nel passaggio da uno Stato ad un altro, vale a dire senza scioglimento, con conseguente liquidazione, nello Stato da cui emigra e senza costituzione ex novo in quello in cui si trasferisce. Il trasferimento di sede societaria produce, sostanzialmente, effetti nell'ordinamento giuridico in cui la società è stata costituita e in quello in cui la medesima società intende trasferirsi. Quanto all'ordinamento italiano, tale operazione rileva sotto i diversi profili giuridici che ricadono nell'ambito del diritto internazionale privato, civile e fiscale. Inoltre, il trasferimento di sede societaria nell'ambito dell'Unione Europea, così come regolamentato dal diritto italiano, impone indubbiamente di valutarne la compatibilità con il sistema giuridico comunitario. Il comma 1 del citato articolo 166 del "nuovo TUIR" dispone che il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti di seguito indicati che comporti la perdita della residenza ai fini fiscali, costituisce realizzo al valore normale dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. Inoltre, la stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Il comma 1 del citato articolo 20-bis faceva un generico riferimento ai soggetti esercenti imprese commerciali intenzionati a trasferire in altro Stato la propria residenza o la propria sede. L'articolo 166 del "nuovo TUIR" fa, invece, riferimento a categorie di soggetti specificamente individuate:
- persone fisiche, residenti e non, nel territorio dello Stato;
- società per azioni e in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, cooperative e di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
- enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali.
La caratteristica peculiare della norma precedentemente vigente era quella di prendere in considerazione solo la categoria degli imprenditori commerciali, escludendo, quindi, quella delle persone fisiche non esercenti attività di impresa. Con la nuova formulazione della disposizione antielusiva, invece, il legislatore ha inteso finalmente colmare una lacuna che si era formata in precedenza, derivante dalla mancata inclusione delle persone fisiche non esercenti attività d'impresa nella citata disposizione. Inoltre, quale ulteriore elemento innovatore, l'inclusione dei soggetti non imprenditori tende ad evitare situazioni "elusive" che la precedente formulazione non era in grado di contrastare. Il vecchio articolo 20bis non era applicabile a situazioni in cui una società semplice o di fatto possedeva un'azienda e i soci cedevano l'impresa ad altri soggetti dopo il trasferimento della loro residenza all'estero. In tal modo, i soci realizzavano una plusvalenza non soggetta a imposte in Italia in quanto l'inapplicabilità del citato articolo derivava dall'assenza di qualifica, da parte dei soci, di imprenditori commerciali. Sempre in vigenza dell'articolo 20-bis, un'altra operazione effettuata da persone fisiche non esercenti attività di impresa e che poteva dare luogo a possibili situazioni elusive, consisteva nello scambio di partecipazioni intracomunitario. A tal proposito, l'Amministrazione finanziaria, nella risoluzione n. 175/E del 2 novembre 2001 (prima dell'introduzione della riforma fiscale), aveva dato un'interpretazione della norma al fine di allargare l'ambito di applicazione della disposizione antielusiva, includendo, quindi, anche le persone fisiche non imprenditori. In tal modo, il legislatore delegato mediante le modifiche apportate nell'articolo 166 del "nuovo TUIR" ha inteso da un lato confermare, da un punto di vista normativo, la giusta interpretazione data dall'Amministrazione finanziaria e, dall'altro lato, evitare qualsiasi possibile situazione elusiva che il precedente dettato normativo non era in grado di contrastare. Ai fini fiscali, pertanto, il trasferimento della residenza o della sede sociale all'estero comporta il realizzo al "valore normale" dei componenti dell'azienda e, di conseguenza, la tassazione delle plusvalenze "virtuali" non ancora realizzate. Tale disposizione produce effetti analoghi a quelli che derivano dalla liquidazione del complesso aziendale di pertinenza dell'impresa, individuale o societaria che sia. La norma in questione ha un indubbio contenuto sanzionatorio di tali operazioni, nei confronti delle quali costituisce un formidabile deterrente. Essa, di fatto, tende a impedire, in virtù della condizione vessatoria anzidetta, che le imprese italiane trasferiscano la loro sede all'estero, senza operare alcuna distinzione fra gli Stati membri dell'Unione Europea e il resto del mondo. É del tutto evidente che una tale disposizione sia in contrasto con il principio della libertà di stabilimento sancito dal Trattato dell'Unione Europea. L'articolo 43 del Trattato dell'Unione Europea, infatti, vieta in assoluto qualsiasi tipo di restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. La violazione del principio della libertà di stabilimento, da parte del legislatore italiano, è ancora più evidente in considerazione della recente giurisprudenza della Corte di Giustizia. Quest'ultima, nella sentenza dell'11 marzo 2004, che conclude la Causa C-9/02 ECJ che ha visto Hughues de Lasteryrie du Saillant contro Ministre de l'Economie, des Finances et de l'Industrie, vieta qualsiasi tipo di restrizione della libertà di stabilimento originata dall'introduzione di un meccanismo di imposizione delle plusvalenze non ancora realizzate in caso di trasferimento del domicilio fiscale di un contribuente in altro Stato membro. Nella citata sentenza la Corte stabilisce, dunque, che l'articolo 43 del Trattato dell’Unione Europea vieta allo Stato di origine qualsiasi tipo di ostacolo allo stabilimento in altro Stato membro di uno dei suoi cittadini e tale divieto si applica anche alle disposizioni fiscali. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, se è vero che allo stato attuale del diritto comunitario la materia delle imposte dirette non rientra, in quanto tale, nella competenza della Comunità, ciò non toglie, tuttavia, che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare nel rispetto del diritto comunitario le competenze da essi conservate. Ciò detto, il contribuente desideroso di trasferire il domicilio fuori del territorio di origine, nell'ambito dell'esercizio del diritto a esso garantito dall'articolo 43 del Trattato, è soggetto ad un trattamento sfavorevole rispetto ad una persona che conserva la sua residenza nello stesso Stato membro. Tale contribuente, per il solo fatto di un trasferimento di questo tipo, diventa debitore di un'imposta su un reddito non ancora realizzato e di cui egli, quindi, non dispone, mentre se egli risiedesse nello Stato membro di origine, le plusvalenze sarebbero imponibili solo se e quando fossero effettivamente realizzate. Tale disparità di trattamento relativa all'imposizione di plusvalenze, che può avere considerevoli e gravi ripercussioni sul patrimonio del contribuente che intende trasferire il suo domicilio al di fuori del suo Paese di origine, è, quindi, di natura tale da dissuadere un contribuente dall'effettuare un trasferimento di questo tipo. Infine, secondo la Corte, l'articolo 43 del Trattato osta a che uno Stato membro introduca, a fini di prevenzione di un rischio di evasione fiscale, un meccanismo di imposizione delle plusvalenze latenti in caso di trasferimento del domicilio fiscale di un contribuente al di fuori di tale Stato. |