SRL O SPA?
AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA
ISPEZIONI
IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA
MA ALLORA
SERVE VINCERE AL T.A.R.?
UN PICCOLO AIUTO ALLE IMPRESE
SRL O SPA?
AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA
Le difficoltà di una scelta
sulla base della riforma societaria
Gennaro Stellato
Avvocato civilista
studiostellato@tiscalinet.it
Appena conclusi i lavori della Commissione Vietti quando cominciavano
a circolare le prime bozze della riforma del diritto societario,
l'attenzione di esperti e commentatori si era immediatamente focalizzata
sulle nette differenziazioni, rispetto al passato, fra srl e spa.
In particolare ci si chiedeva in quale percentuale si sarebbe attestata
la scelta di modificare la struttura societaria verso l'uno o l'altro
modello. Tanto in considerazione degli elementi, particolarmente rilevanti
a prima vista, che potevano giustificare la scelta. I primi commenti sembravano
univocamente portati a prevedere un robusto esodo dalle spa alle
srl con una sorta di trasformazione di massa, quasi un esodo biblico. In
tal senso appariva orientata anche la classe notarile che sembrava condividere
questo orientamento nelle comunicazione ai propri associati. La predetta
conclusione nasceva essenzialmente dalla considerazione sulle enormi semplificazioni
apportate alla disciplina delle srl, alla rilevante libertà statutaria
e alle potenzialità che
meglio sembravano rispecchiare la realtà delle piccole imprese nel
nostro Paese. Ciò appariva evidente dall'analisi dei principi generali
posti a base della riforma miranti essenzialmente ad incentivare
lo strumento societario attraverso una migrazione verso lo stesso
di ditte individuali e dei tipi personalistici. In tal senso si ampliava
l'autonomia societaria, si procedeva a un adeguamento a tappe forzate verso
le nuove esigenze dell'economia e del mercato, soprattutto disciplinando
in modo autonomo le srl e le spa. In particolare la possibilità concessa
alle srl di scegliere fra modelli organizzativi con ampia libertà sembrava
far propendere la bilancia nei confronti di tale tipologia societaria.
Con il passare del tempo, invece, attraverso una lettura attenta
della riforma in tutti i suoi aspetti, nell'ottica dell'adeguamento degli
statuti, si è verificato
il fenomeno opposto e cioè un robusto passaggio dalle srl alle spa
con un sostanziale capovolgimento delle previsioni. Spiegare le ragioni
di tale movimento sembra oggi prematuro soprattutto in considerazione
dell'incidenza sulla predetta scelta di considerazioni soggettive
legate alla situazione societaria o personale. Sembra, invece, importante
evidenziare in questa sede gli elementi di differenza fra le tipologie
societarie al fine di dare agli imprenditori ulteriori strumenti di riflessioni
nell'ottica di un'eventuale scelta. In primis vanno sottolineate le affinità e
le differenze fra i due modelli. Senza soffermarsi sugli aspetti
più eclatanti
che non necessitano di approfondimento, ad esempio il capitale sociale
minimo, va rilevato come anche nella spa sia stato inserito l'unico
socio con responsabilità limitata, come vi sia la possibilità di
differenziare le tipologie di azioni e previste tre forme di amministrazione
e controllo, il mantenimento della bipartizione fra assemblea ordinaria
e straordinaria, una certa complessiva sostanziale rigidità. Di
converso la srl appare più agile, meno soggetta a formalità e,
quindi, più adatta a realtà familiari o in cui il ceto sociale
sia compatto e coinvolto direttamente nell'amministrazione e gestione
dell'impresa. Tutte le altre differenze fra i due modelli anche per
quanto attiene al recesso, sposavano la tesi di una srl elastica a fronte
di un modello di spa ancora rigido, sia pure con strumenti più ampi
e flessibili per l'amministrazione. Tale elencazione, ovviamente esemplificativa
e non esaustiva, si è però alla fine "dequalificata" rispetto
ad alcune problematiche che un approfondimento attento hanno dimostrato
avere maggiore incidenza sulla vita delle società. Qualche commentatore
ha parlato di "pillole avvelenate" nascoste nelle pieghe della
riforma la cui valutazione ha indotto molti operatori ad optare per
la spa anche in considerazione delle facilitazioni stabilite per
tale processo. L'indice è stato puntato in particolare sull'art.
2476 c.c. che al comma 2 recita testualmente «i soci che non partecipano
all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie
sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche attraverso
professionisti di propria fiducia, i libri sociali e i documenti relativi
all'amministrazione».
Il comma 3 «l'azione di responsabilità è promossa da
ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di
gravi irregolarità nella gestione della società che sia adottato
un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi».
Il comma 7 infine «sono altresì solidalmente responsabili
con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che
hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti
dannosi per la società, i soci o i terzi». Risulta evidente
che il contenuto di tali principi, che hanno carattere imperativo e non
sono derogabili, abbia la stessa pericolosità di una bomba ad orologeria
in considerazione appunto della circostanza relativa al diretto coinvolgimento
dei soci nella gestione e soprattutto in presenza di elementi di rottura
della coesione, sia attuale sia in prospettiva soprattutto tenendo conto
del fatto che per motivi naturali (trasferimento mortis causa o cessione
di partecipazione) la compagine potrebbe cambiare facilmente. In sostanza
il rischio è individuabile
nella circostanza che i soci non coinvolti direttamente nella gestione
possano subire conseguenze negative per il solo fatto di aver approvato
un bilancio. Tale problematica si contrappone alla disciplina della
spa in cui risulta evidente una netta differenziazione tra la figura
dell'amministratore e del socio nel senso che al singolo socio resta una
limitata capacità di
incidere sulla gestione. Le predette considerazioni in linea generale
servono esclusivamente, sia pure in modo settoriale, a dare un'idea
delle differenze da valutare in ordine alla scelta sulla tipologia societaria
da adottare. Certamente esse non esauriscono la problematica ma sono
espressione delle potenziali difficoltà in cui può trovarsi
la compagine sociale e gli amministratori. Le scelte, ovviamente, vanno
fatte sempre in considerazione della realtà specifica dell'azienda,
delle sue peculiarità e,
soprattutto della compattezza del ceto sociale. Tali valutazioni
vanno, altresì, verificate anche nell'ottica di un istituto, quello
del recesso, che sembra in questa fase iniziale di adeguamento degli
statuti, aver trovato molto seguito. Se a tutto ciò si aggiunge
poi l'incertezza sulla determinazione del valore delle partecipazioni che
solo la prossima giurisprudenza potrà sciogliere, si comprende bene
come il tutto abbia una rilevante importanza. Indubbiamente certe scelte
possono essere rimandate ad un momento in cui la valutazione degli elementi
prima indicati potrà essere fatta in modo meno emotivo, sulla base
di esperienze acquisite e di modelli di comportamento più certi.
Quel che appare sicuro è che ormai la srl sembra conforme a un modello
di gestione estremamente vicino a forme prevedenti un coinvolgimento
totale di tutti i soci, mentre la spa sembra più adattabile e vicina
a strutture e compagini sociali più variegate e facilmente modificabili
in cui il collegamento fra gli amministratori e i soci sia sostanzialmente
più labile,
freddo, meno coinvolgente e, quindi, nell'ottica di una oggettiva
prevalenza del capitale sulle persone. La scelta è subordinata a
tale filosofia e in questa direzione sembra propendere il movimento
generale.
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