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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
NOVEMBRE 2004
 

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RIFORME IN CERCA D’AUTORE
COSTRUIRE UN’EUROPA CON PIù ANIMa

Il tempo è la variabile fondamentale per giudicare il lavoro di una classe dirigente

a cura della Redazione Costozero

La possibilità di costruire il consenso su provvedimenti di ampio respiro, le occasioni perdute dall’Italia e dall’Euro-pa, la riduzione della pressione fiscale, l’azione di semplificazione amministrativa e la responsabilità etica delle aziende: questi i temi forti del Convegno dei Giovani Impren-ditori di Confindustria tenutosi a Capri l’1 e 2 ottobre scorsi sui quali si sono confrontati politici e imprenditori.

Pier Ferdinando Casini
Presidente Camera dei Deputati

 

 

Riforme e consenso. Una potenziale contraddizione o una compatibilità possibile?
Ambedue rappresentano esigenze fondamentali che devono riuscire a convergere in Parlamento. Spetta a quest'ultimo, infatti, la responsabilità finale di decidere le riforme e di farlo secondo un metodo democratico che richiede, innanzitutto, consenso e trasparenza. Il senso dei procedimenti parlamentari è rendere visibile e controllabile da parte dell'opinione pubblica non solo il contenuto delle decisioni, ma anche il modo con il quale esse sono adottate e le argomentazioni sostenute da ciascuna parte. La trasparenza è l'unica via possibile per rendere i cittadini capaci di determinare il maggiore o minore consenso alle decisioni politiche.
Quali sono le riforme strutturali già compiute dalle quali non poteva prescindere lo sviluppo del nostro Paese?
Il Governo e il Parlamento hanno compiuto uno sforzo considerevole per realizzare riforme di struttura, con risultati concreti che non possono essere ignorati. Mi riferisco alla riforma di vasta portata del mercato del lavoro, a quella del sistema dell'istruzione scolastica che ha impegnato a lungo, in un dibattito assai serrato e significativo, istituzioni e società civile; alla legge di riordino del sistema fiscale, al provvedimento di riforma del sistema previdenziale. Certo, si può affermare che per alcune di queste riforme si è arrivati tardi, si possono criticare le soluzioni individuate, ma, tuttavia, anche se con qualche difficoltà, Parlamento e Governo si sono assunti la responsabilità di scegliere e decidere, e questo non mi sembra poco. In più il confronto in Parlamento è stato ampio e di alto profilo con il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori di interessi. Il tempo delle riforme però non si è di certo concluso ma richiede ancora a tutti noi di investirvi energie ed entusiasmo.
Un suo giudizio sulla classe dirigente di oggi.
La classe dirigente, nella politica e nelle amministrazioni pubbliche come nell'impresa, è un veicolo indispensabile per salvaguardare e prorogare nel tempo l'identità di un Paese, per proiettarlo nel futuro senza perdere il riferimento alle sue radici ideali, ai fattori fondanti e unificanti che ne hanno segnato la storia e la cultura. La sua maturità si misura soprattutto sulla capacità di assumere decisioni impopolari, ma in grado di reggere alla prova del tempo e di assecondare fino in fondo il cammino del Paese verso lo sviluppo e il benessere. Il lavoro della classe dirigente, insomma, non si valuta in termini di mesi, ma di anni. Credo che, però, la qualità di una classe dirigente stia nel superare nel corso del tempo proprio il contrasto tra riforme necessarie e impopolarità. Se, infatti, alle riforme si arriva dopo una paziente opera di acquisizione delle ragioni di tutti e le finalità da raggiungere sono chiare e ben conosciute, l'interesse generale finisce per emergere in tutta la sua forza e poco conta se per conseguirlo domani, dobbiamo assoggettarci a sacrifici e rinunce nell'immediato. Dovrebbe esserci un ricambio radicale della classe dirigente del Paese, che possa corrispondere all'esigenza vitale di condurre l'Italia nei percorsi accidentati, ma ineludibili, dei mercati mondializzati, dell'innovazione e della competizione globale. Non si tratta però solo di una questione anagrafica. Un avvicendamento della classe dirigente non ha nessun senso se si esaurisce in un meccanismo di trasmissione del potere da una generazione all'altra, senza rinnovare la capacità di decidere, di assumersi responsabilità e di innovare con coraggio.

di Raffaella Venerando

Mario Monti
Ex Commissario Europeo Concorrenza

 

 

L'Europa è un'incompiuta? E quanto può dirsi "amica" per il nostro sistema economico?
Credo che abbiano fatto bene i Giovani Imprenditori a portare tanta attenzione critica all'Europa in una visione costruttiva. Vorrei però per un attimo rovesciare la prospettiva che ci viene suggerita. Il titolo del Convegno "Riforme in cerca d'autore" si concentra su provvedimenti non ancora portati a compimento, ma necessari. Poichè il problema è la realizzazione di questi, dobbiamo credo guardare un po' indietro e chiederci se qualche riforma incisiva è stata fatta e qual è stato il suo motore. Non possiamo capire il rapporto Italia-Europa se non teniamo presente che il nostro Paese ha subito una rivoluzione per così dire “indotta”. È l'Unione Europea, che il nostro Paese ha contribuito a costruire negli anni, che ha imposto all'Italia una grandissima riforma strutturale. I giovani hanno il diritto di non ricordarlo, ma vent'anni fa l'Italia divergeva dagli altri Paesi, non solo per i numeri della sua economia ma anche per la cultura politica e la visione generale. Non era affatto ritenuto pacifico che l'inflazione, o il disavanzo pubblico eccessivo, fossero un male o che un mercato gestito con una legge della concorrenza rappresentasse un bene. Queste cose non erano acquisite e 10 anni fa c'era ancora un costo del lavoro esorbitante. In più, si è verificata negli ultimi anni una ritirata della classe politica da un'occupazione impropria di spazi nella società civile e nell'economia. Chi o cosa ha permesso tutto questo? Non sono state le elezioni del ‘92 o l'operazione giudiziaria Mani Pulite, fattori importanti ma marginali da un punto di vista storico. Perché i politici hanno cominciato a ritirarsi dall'economia? Per due cose portate dall'Europa: il libero movimento dei capitali, che ha tolto il monopolio al Tesoro e costretto i politici a passare dalle parole ai fatti nel contenimento del disavanzo, e le privatizzazioni rese di fatto necessarie dall'apertura del mercato e dal controllo sugli aiuti di stato. È giusto cercare un'Europa con più anima, ma non dimentichiamo che proprio l'Europa è la migliore alleata delle nuove imprese, perché con le sue regole impedisce quegli eccessi che prima determinavano che i giovani nascessero con le spalle già cariche di una quantità di debito pubblico che pregiudicava il loro futuro economico. L'Europa ha ridato spazio alla vera politica, quella delle scelte concrete, perché le risorse di cui si dispone oggi per progettare riforme sono limitate ma "reali" e non artificialmente moltiplicabili come si faceva in passato creando consenso e illusioni e situazioni precaie per chi sarebbe venuto dopo.

di Paolo Battista

Diego Della Valle
Presidente e A.D. Tod’s

 

 

L'Europa è contaminatrice di effetti positivi e in che situazione versa il nostro Paese?
Il ruolo svolto dall'Europa è stato senza dubbio decisivo per far evolvere il nostro Paese ponendoci dei paletti che ci hanno consentito di essere più bravi a ottenere dei risultati che, forse per populismo politico, non siamo mai riusciti a portare avanti negli ultimi trent'anni. Oggi, rispetto a qualche anno fa, l'Italia industriale può dire di aver fatto un buon lavoro. La situazione è migliorata per certi aspetti, con le banche più proiettate sul mercato e attente alle esigenze delle imprese. E può ancora dare esiti positivi, a patto che si realizzino a breve quelle due-tre riforme indispensabili per far ripartire il Paese. Senz'altro, non avremo una vita facile nei prossimi anni. Lo dico da imprenditore: abbiamo un costo del lavoro tra i più alti del mondo, una grande impresa, quando ancora c'è, che non naviga in buone acque, il costo della manodopera non ci rende competitivi, abbiamo una tassazione che non attrae capitali esteri, un sistema di Pmi slegato da un piano di sviluppo internazionale legato alla ricerca. Il momento, insomma, è molto delicato e complesso. Cerchiamo, però, di non mollare. La piccola e media impresa del nostro Paese è oggi come un pugile messo all'angolo perché ha preso qualche colpo troppo forte da mercati mondiali che hanno dimostrato, in soli due anni, come si può tagliare fuori dalla concorrenza aziende consolidate da tempo sui mercati. Si pensi ad esempio al made in Italy e a quanto terreno abbiamo perso su questo campo. C'è una classe imprenditoriale che ha voglia di fare bene, un presidente di Confindu-stria che ha rimesso la palla al centro. Ho l'impressione che ci sia la voglia di fare bene tutti insieme e questa è la nuova parola d'ordine. Cose da realizzare ce ne sono: il Governo pare abbia intenzione di fare in fretta e anche l'opposizione ne sembra consapevole. Per questo si devono individuare due o tre cose, in particolare sulla ricerca, da realizzare in fretta, già a gennaio 2005. Non basta avere grandi idee, bisogna avere il tempo per metterle in pratica, altrimenti la piccola e media impresa, per dirla senza mezzi termini, ce la giochiamo.
È pensabile dare una risposta alla concorrenza dei Paesi del sud est asiatico?
Il problema della competitività è molto grave e lo sarà ancor di più se non cambiamo l'approccio con questi Paesi, se non mutiamo la prospettiva. Faccio l'esempio della mia azienda. In Cina abbiamo due negozi, secondo un piano di lavoro, arriveremo a 20, entro i prossimi due o tre anni. La Cina va affrontata ricordandosi che cosa rappresenta in realtà: un miliardo di persone che consumano e che, man mano che cresce il loro potere d'acquisto, sempre di più hanno voglia di comprare prodotti che arrivano da casa nostra. In Cina anche le piccole percentuali di mercato muovono molto denaro. È questo è sinonimo di opportunità per il nostro Paese.

di Vito Salerno

Paolo Scaroni
Amministratore Delegato Enel

 

 

Perché conviene essere etici? E qual è il percorso da compiere per raggiungere in termini concreti una eticità che venga riconosciuta dagli investitori?
Cercherò di spiegare perché alle grandi imprese, come Enel, conviene avere un comportamento etico e come l'eticità crea valore per gli azionisti. Conviene essere etici perché le aziende trasparenti - cioè quelle che si danno regole di corporate governance efficaci, comunicazioni finanziarie corrette e che hanno pratiche in linea con le migliori esperienze mondiali - sono valutate di più dal mercato. E siccome il mio mestiere è quello di offrire un ritorno totale sull'investimento finanziario sempre più elevato ai miei azionisti, è necessario che la nostra etica sia visibile sul mercato. Più il mercato è consapevole di questo sforzo, più i nostri multipli crescono. Questa è ben più di una sensazione. Ecco qualche esempio:
- nell'Investor Opinion Survey, condotto dalla Mckinsey nel 2003, emerge che gli investitori sono disponibili a pagare un premio di circa il 20% per le azioni di società ben governate in Europa (il premio cresce sino al 30% per società ben governate in America Latina e Asia).
- L'importanza che riveste per gli investitori (azionisti e creditori) la buona corporate govemance di un’azienda è dimostrata anche dal fatto che Standard and Poor's ha introdotto tra le sue valutazioni anche la "Corporate Governance Score". E il giudizio di S&P si basa
su criteri come la struttura
azionaria, le relazioni con
gli stakeholders finanziari,
la trasparenza finanziaria e di-sclosure delle informazioni, la struttura e i processi del Board.
Quale percorso è stato fatto da Enel per raggiungere in termini concreti una eticità che venga riconosciuta e premiata dal mercato?
Enel con i suoi 2,3 milioni di azionisti e una forte presenza di investitori esteri è nella realtà italiana quanto di più vicino si possa pensare ad una public company anglosassone. Per questo abbiamo avviato da tempo un percorso virtuoso di corporate governace con regole chiare e trasparenti, tipiche di una public company, e con la costruzione di processi efficaci di controllo all'interno della azienda. Enel si è dotata di un Codice Etico fin dal 2002, ha recepito il codice di autodisciplina della Borsa Italiana, ha promosso e implementato il modello organizzativo previsto dalla legge 231 sui reati societari, si è vincolata ad un dealing code tra i più stringenti della borsa italiana (premio best practice nel 2003 della Borsa Italiana). II controllo Interno è garantito dalla indipendenza dell'Audit che riporta al Presi-dente oltre che all’Audit Com-mittee e il cui responsabile della funzione può essere rimosso solo con l'accordo congiunto di Amministratore Delegato e Presidente. La trasparenza nella comunicazione finanziaria è stata riconosciuta da diversi premi. Da due anni ci siamo dedicati a un processo di corporate social responsibility che ci impegna a migliorare sempre di più nelle aree della trasparenza economica, della sostenibilità ambientale e del rapporto con la società. Questo lavoro, poi, presentato con il bilancio di sostenibilità che nel 2003 ha vinto l'Oscar di bilancio, ci ha permesso di essere ammessi negli indici FTSE4GOOD e nel Dow Jones Sustainability Index. Tutto questo credo abbia creato valore. Nell'ultimo anno il numero dei Fondi etici che hanno investito in Enel è quasi raddoppiato (da 23 di giugno '03 a 39 di aprile '04). I Fondi etici oggi rappresentano circa il 9,7% del nostro capitale flottante e il 21,2% del capitale in mano agli investitori istituzionali. Per la maggior parte si tratta di Fondi inglesi (48%) e ciò riflette anche la dinamica del nostro azionariato che sta crescendo in UK grazie agli ottimi risultati raggiunti nella trasparenza della nostra comunicazione finanziaria. Ogni anno infatti l'IR organizza oltre 100 incontri con gli investitori tra presentazioni agli analisti (2 volte l'anno in concomitanza alla pubblicazione dei dati annuali e semestrali), incontri one-to-one, vi-deoconferenze e roadshow. Tra i diversi riconoscimenti il più importante è ovviamente il Total Shareholder Return di Enel: +17,9% annuo a partire da settembre 2002.

di Vito Salerno

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