LA POLITICA INDUSTRIALE DELL’UE
COMPETITIVITÀ E CRITICITÀ
La Commissione propone nuove strategie
per la crescita produttiva
Salvatore Vigliar
Docente di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione - Università della Basilicata
Esperto di Politiche Comunitarie
savig@tin.it
I principi generali dell'attuale politica industriale
dell'UE sono stati oggetto di una prima esaustiva definizione
in una comunicazione della Commissione europea adottata nel
1990 (COM 90/556), con la quale si intendeva creare condizioni
quadro che consentissero alle imprese di essere più concorrenziali
e, ove necessario, compensassero i fallimenti del mercato;
gli strumenti da implementare dovevano essere forniti da varie
altre politiche comunitarie. Da allora il contesto politico
internazionale è profondamente mutato: la Comunità europea è divenuta
un'Unione composta da 25 Stati membri; la moneta unica ha consolidato
il mercato interno, che si è esteso allo Spazio economico
europeo (SEE); L'Uruguay Round ha notevolmente ampliato le
norme del sistema del commercio mondiale. Negli ultimi dodici
anni la politica adottata nel 1990 è stata rielaborata
da successive comunicazioni; basti ricordare il libro bianco
del 1993 su crescita, competitività e occupazione, che
ha sottolineato l'importanza delle PMI, dell'infrastruttura
e delle nuove tecnologie; la comunicazione del 1994 (“Una
politica di competitività industriale per l'Unione europea”,
COM 94/319) che poneva l'accento sui beni immateriali e sulla
cooperazione industriale; la comunicazione del 1999 (”Incentivi
a favore della competitività delle imprese europee a
fronte della globalizzazione”, COM 98/718) che trattava
della globalizzazione. Recentemente, una nuova comunicazione
della Commissione ha attirato l'attenzione sul rallentamento
della crescita della produttività nell'UE, anche a seguito
del recente allargamento. Sviluppare il potenziale di crescita
dell'UE deve restare un elemento centrale degli obiettivi della
politica industriale, al fine di aumentare il potenziale di
crescita e la vitalità del tessuto economico, e promuovere
l'innovazione e la formazione per effetto dell'accresciuta
domanda di competenze. In tale prospettiva la politica industriale
svolge un ruolo fondamentale concentrandosi sulle strategie,
sulla creazione di un contesto favorevole e sul sostegno a
investimenti strategici per la crescita. La recente comunicazione
segna l'inizio di un processo nel più ampio scenario
delle priorità di Lisbona e di Göteborg. La Commissione
si augura che possa dare inizio a un ampio dibattito sulle
modalità per migliorare il contributo della politica
industriale alla competitività dell'industria e per
perfezionare l'integrazione tra i vari strumenti delle politiche
UE. Di seguito, seppure in via schematica, si riportano i principali
contenuti della citata comunicazione e le preoccupazioni emerse
in sede di analisi dei risultati conseguiti con l'attuazione
delle strategie ad oggi implementate. La tematica in esame
merita un approfondimento che sarà completato nel prossimo
numero di Costozero.
L'industria come fonte di ricchezza
Negli ultimi anni la struttura produttiva europea ha subito
notevoli trasformazioni. La quota del settore dei servizi nella
produzione dell'UE è passata dal 52% nel 1970 al 71%
nel 2001, mentre nello stesso periodo la quota dell'industria
manifatturiera è diminuita dal 30% al 18%. Per effetto
di questa "terziarizzazione", i responsabili politici
non hanno riservato sufficiente attenzione all'industria manifatturiera,
sulla base della diffusa ma erronea convinzione che nell'economia
basata sulla conoscenza e nelle società dell'informazione
e dei servizi l'industria manifatturiera non svolga più un
ruolo essenziale. Tale tendenza statistica registra gli effetti
di due forze: l'aumento elevato della produttività nel
settore manifatturiero rispetto ai servizi e il connesso accrescimento
della ricchezza, che ha generato un aumento più che
proporzionale della domanda di servizi alla famiglia o alla
persona. Nel corso del tempo è anche aumentata l'interdipendenza
tra il settore dei servizi e quello manifatturiero: si è sviluppata
un'intera gamma di servizi associati o correlati a prodotti,
che vengono svolti da società di servizi specializzate,
ma dipendono dal settore manifatturiero. Le innovazioni di
tale comparto hanno aperto la strada a concezioni totalmente
nuove di servizi, come ad esempio le telecomunicazioni e le
tecnologie dell'informazione. É dunque nel settore manufatturiero,
in ultima istanza, che la maggior parte delle nuove applicazioni
tecnologiche si trasforma in valore economico.
L'industria come elemento competitivo
A fronte dell'accresciuta concorrenza globale molti settori
industriali europei hanno compiuto sforzi consistenti per potenziare
le proprie infrastrutture produttive e adottare nuove forme
di organizzazione. Mediante investimenti in beni strumentali,
ricerca interna o contatti con le strutture scientifiche, i
settori tessile, della trasformazione alimentare, dei mobili,
dell'agricoltura e della pesca, del commercio al dettaglio,
della meccanica e della chimica si sono appropriati delle conoscenze
più aggiornate. Tali ambiti, definiti a media o bassa
tecnologia, utilizzano attualmente nella propria produzione
procedimenti innovativi a base tecnologica. Questo processo
ha provocato un innalzamento delle competenze professionali
che, più della quota crescente dei settori ad alta tecnologia
nella produzione totale, spiega l'aumento della richiesta di
forza lavoro altamente qualificata. All'orientarsi della domanda
industriale verso livelli d'istruzione più elevati -
che porta a una crescente dipendenza della competitività dell'industria
dal livello qualitativo del capitale umano - ha corrisposto
un continuo aumento della durata media della formazione della
popolazione attiva dell'UE. Tuttavia, a fronte di percentuali
rispettivamente dell'87% e del 90% degli Stati Uniti e Giappone,
l'UE continua a essere superata dai suoi principali concorrenti.
La spesa pubblica per istruzione e formazione in percentuale
del PIL è diminuita costantemente dal 5,7% del 1990
al 5% del 2001. Si tratta di una tendenza contraddittoria rispetto
agli obiettivi di Lisbona di "un aumento notevole degli
investimenti procapite in risorse umane". Lo stesso tasso
di investimenti privati in istruzione, formazione permanente
e ricerca scientifica è molto più basso di quello
dei nostri principali partner commerciali. D'altro canto anche
l'efficienza degli investimenti in istruzione e formazione
desta preoccupazioni. Nel corso degli anni novanta, anche se
alcuni piccoli paesi dell'UE hanno conseguito eccezionali aumenti
di produttività, il settore manifatturiero europeo ha
avuto una crescita di produttività nettamente inferiore
ai livelli USA . Nella seconda metà del decennio si è evidenziato
un grave divario, con un tasso UE nel periodo 1996-2000 pari
al 3,2%, rispetto al 5,5% degli Stati Uniti. Anche se si può discutere
l'accuratezza delle misurazioni della produttività,
i dati rispecchiano un'accelerazione del tasso di aumento della
produttività del lavoro negli Stati Uniti, particolarmente
evidente se confrontata con la situazione della seconda metà degli
anni ottanta. Per l'economia UE nel suo complesso il tasso
di aumento della produttività è inferiore a quello
del settore manifatturiero - a causa dei risultati relativamente
modesti del settore dei servizi - e rallenta in modo consistente,
scendendo dalla media dell'1,9% della prima metà degli
anni novanta a quella dell'1,2% nel periodo 1995-2001. Considerati
complessivamente, questi dati denotano un pericoloso deterioramento
del potenziale di crescita dell'UE e un rischio evidente per
la competitività della sua industria. Le relazioni della
Commissione sulla politica di concorrenza del 2001 e del 2002
individuavano nell'insufficiente attività innovativa
e nella modesta diffusione delle TIC le principali cause di
tali criticità.
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