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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
NOVEMBRE 2004
 

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LA POLITICA INDUSTRIALE DELL’UE
COMPETITIVITÀ E CRITICITÀ
La Commissione propone nuove strategie per la crescita produttiva

Salvatore Vigliar
Docente di Diritto dell’Informazione e della Comunicazione - Università della Basilicata
Esperto di Politiche Comunitarie
savig@tin.it

I principi generali dell'attuale politica industriale dell'UE sono stati oggetto di una prima esaustiva definizione in una comunicazione della Commissione europea adottata nel 1990 (COM 90/556), con la quale si intendeva creare condizioni quadro che consentissero alle imprese di essere più concorrenziali e, ove necessario, compensassero i fallimenti del mercato; gli strumenti da implementare dovevano essere forniti da varie altre politiche comunitarie. Da allora il contesto politico internazionale è profondamente mutato: la Comunità europea è divenuta un'Unione composta da 25 Stati membri; la moneta unica ha consolidato il mercato interno, che si è esteso allo Spazio economico europeo (SEE); L'Uruguay Round ha notevolmente ampliato le norme del sistema del commercio mondiale. Negli ultimi dodici anni la politica adottata nel 1990 è stata rielaborata da successive comunicazioni; basti ricordare il libro bianco del 1993 su crescita, competitività e occupazione, che ha sottolineato l'importanza delle PMI, dell'infrastruttura e delle nuove tecnologie; la comunicazione del 1994 (“Una politica di competitività industriale per l'Unione europea”, COM 94/319) che poneva l'accento sui beni immateriali e sulla cooperazione industriale; la comunicazione del 1999 (”Incentivi a favore della competitività delle imprese europee a fronte della globalizzazione”, COM 98/718) che trattava della globalizzazione. Recentemente, una nuova comunicazione della Commissione ha attirato l'attenzione sul rallentamento della crescita della produttività nell'UE, anche a seguito del recente allargamento. Sviluppare il potenziale di crescita dell'UE deve restare un elemento centrale degli obiettivi della politica industriale, al fine di aumentare il potenziale di crescita e la vitalità del tessuto economico, e promuovere l'innovazione e la formazione per effetto dell'accresciuta domanda di competenze. In tale prospettiva la politica industriale svolge un ruolo fondamentale concentrandosi sulle strategie, sulla creazione di un contesto favorevole e sul sostegno a investimenti strategici per la crescita. La recente comunicazione segna l'inizio di un processo nel più ampio scenario delle priorità di Lisbona e di Göteborg. La Commissione si augura che possa dare inizio a un ampio dibattito sulle modalità per migliorare il contributo della politica industriale alla competitività dell'industria e per perfezionare l'integrazione tra i vari strumenti delle politiche UE. Di seguito, seppure in via schematica, si riportano i principali contenuti della citata comunicazione e le preoccupazioni emerse in sede di analisi dei risultati conseguiti con l'attuazione delle strategie ad oggi implementate. La tematica in esame merita un approfondimento che sarà completato nel prossimo numero di Costozero.

L'industria come fonte di ricchezza
Negli ultimi anni la struttura produttiva europea ha subito notevoli trasformazioni. La quota del settore dei servizi nella produzione dell'UE è passata dal 52% nel 1970 al 71% nel 2001, mentre nello stesso periodo la quota dell'industria manifatturiera è diminuita dal 30% al 18%. Per effetto di questa "terziarizzazione", i responsabili politici non hanno riservato sufficiente attenzione all'industria manifatturiera, sulla base della diffusa ma erronea convinzione che nell'economia basata sulla conoscenza e nelle società dell'informazione e dei servizi l'industria manifatturiera non svolga più un ruolo essenziale. Tale tendenza statistica registra gli effetti di due forze: l'aumento elevato della produttività nel settore manifatturiero rispetto ai servizi e il connesso accrescimento della ricchezza, che ha generato un aumento più che proporzionale della domanda di servizi alla famiglia o alla persona. Nel corso del tempo è anche aumentata l'interdipendenza tra il settore dei servizi e quello manifatturiero: si è sviluppata un'intera gamma di servizi associati o correlati a prodotti, che vengono svolti da società di servizi specializzate, ma dipendono dal settore manifatturiero. Le innovazioni di tale comparto hanno aperto la strada a concezioni totalmente nuove di servizi, come ad esempio le telecomunicazioni e le tecnologie dell'informazione. É dunque nel settore manufatturiero, in ultima istanza, che la maggior parte delle nuove applicazioni tecnologiche si trasforma in valore economico.

L'industria come elemento competitivo
A fronte dell'accresciuta concorrenza globale molti settori industriali europei hanno compiuto sforzi consistenti per potenziare le proprie infrastrutture produttive e adottare nuove forme di organizzazione. Mediante investimenti in beni strumentali, ricerca interna o contatti con le strutture scientifiche, i settori tessile, della trasformazione alimentare, dei mobili, dell'agricoltura e della pesca, del commercio al dettaglio, della meccanica e della chimica si sono appropriati delle conoscenze più aggiornate. Tali ambiti, definiti a media o bassa tecnologia, utilizzano attualmente nella propria produzione procedimenti innovativi a base tecnologica. Questo processo ha provocato un innalzamento delle competenze professionali che, più della quota crescente dei settori ad alta tecnologia nella produzione totale, spiega l'aumento della richiesta di forza lavoro altamente qualificata. All'orientarsi della domanda industriale verso livelli d'istruzione più elevati - che porta a una crescente dipendenza della competitività dell'industria dal livello qualitativo del capitale umano - ha corrisposto un continuo aumento della durata media della formazione della popolazione attiva dell'UE. Tuttavia, a fronte di percentuali rispettivamente dell'87% e del 90% degli Stati Uniti e Giappone, l'UE continua a essere superata dai suoi principali concorrenti. La spesa pubblica per istruzione e formazione in percentuale del PIL è diminuita costantemente dal 5,7% del 1990 al 5% del 2001. Si tratta di una tendenza contraddittoria rispetto agli obiettivi di Lisbona di "un aumento notevole degli investimenti procapite in risorse umane". Lo stesso tasso di investimenti privati in istruzione, formazione permanente e ricerca scientifica è molto più basso di quello dei nostri principali partner commerciali. D'altro canto anche l'efficienza degli investimenti in istruzione e formazione desta preoccupazioni. Nel corso degli anni novanta, anche se alcuni piccoli paesi dell'UE hanno conseguito eccezionali aumenti di produttività, il settore manifatturiero europeo ha avuto una crescita di produttività nettamente inferiore ai livelli USA . Nella seconda metà del decennio si è evidenziato un grave divario, con un tasso UE nel periodo 1996-2000 pari al 3,2%, rispetto al 5,5% degli Stati Uniti. Anche se si può discutere l'accuratezza delle misurazioni della produttività, i dati rispecchiano un'accelerazione del tasso di aumento della produttività del lavoro negli Stati Uniti, particolarmente evidente se confrontata con la situazione della seconda metà degli anni ottanta. Per l'economia UE nel suo complesso il tasso di aumento della produttività è inferiore a quello del settore manifatturiero - a causa dei risultati relativamente modesti del settore dei servizi - e rallenta in modo consistente, scendendo dalla media dell'1,9% della prima metà degli anni novanta a quella dell'1,2% nel periodo 1995-2001. Considerati complessivamente, questi dati denotano un pericoloso deterioramento del potenziale di crescita dell'UE e un rischio evidente per la competitività della sua industria. Le relazioni della Commissione sulla politica di concorrenza del 2001 e del 2002 individuavano nell'insufficiente attività innovativa e nella modesta diffusione delle TIC le principali cause di tali criticità.

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