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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIO 2011
 
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Imprese e riforma FISCALE

ZANETTI: «Meglio molte aliquote per una progressivitÀ corretta»

VILLANI: «L'Irap va abolita perchÈ pregiudica le assunzioni e gli investimenti delle imprese»

ZANETTI: «Meglio molte aliquote per una progressivitÀ corretta»


Il taglio dei costi della politica in termini assoluti è insuff iciente a garantire da solo qualsivoglia risultato decisivo, ma è la premessa indispensabile senza la quale una classe politica oggettivamente assai poco autorevole non può certo mettersi a tassare rendite o chiedere incisivi tagli di spesa ad altri capitoli del bilancio dello Stato


Enrico Zanetti Dip.to di Economia e Direzione Aziendale - Università Ca'Foscari (Ve)

Dottor Zanetti, il fisco pesa non poco sulla capacità competitiva delle imprese. In che modo tale pressione potrebbe essere ridotta in tempi brevi, ancor prima che si realizzi la tanto attesa riforma fiscale?
Scegliendo di destinare gli incassi derivanti dalla lotta all'evasione alla riduzione del prelievo fiscale, anziché alla copertura del deficit, come sistematicamente avviene ogni volta, Governo dopo Governo. Da sola, sarebbe comunque una misura insufficiente a consentire riduzioni davvero significative.
Per questo è indispensabile la riforma.

Ma ad oggi i margini per ridurre le tasse esistono o no?
In senso assoluto no, per almeno una decina d'anni, temo.
A meno che naturalmente, il Paese non riprenda a crescere per lo meno come negli anni Novanta. Possiamo però attuare una riforma fiscale che riequilibri la tassazione sui redditi di produzione e lavoro delle imprese e delle persone con la assai meno elevata tassazione che insiste sulle cose. A patto però di avere ben chiaro che non esistono solo le cose consumate, ma anche quelle possedute. Perché sgravare i redditi per gravare in pari misura i consumi sarebbe come fare il gioco delle tre carte. In un momento in cui la crescita del Paese è in frenata e vuoi rilanciarla, cosa è più importante? Il futuro o il passato?
La possibilità che anche un domani vi sia capacità di risparmio o la difesa a oltranza di ciò che è già stato risparmiato? E quando le corte si saranno esaurite senza che il Paese sia ripartito, che si fa?

Quali sarebbero le aliquote su cui intervenire e di quanto occorre tagliare per far in modo che le tasse a pagarle siano tutti in modo equo?

Se parliamo della curva dell'IRPEF è fuori di dubbio che i redditi più penalizzati in Italia siano quelli che si collocano all'interno della forbice tra i 30.000 e i 60.000 euro. A 30.000 euro l'IRPEF italiana è al 23,71%, quella francese al 11,72% e quella tedesca al 11,17%. A 60.000 euro l'IRPEF italiana è al 32,12%, quella francese al 20,86% e quella tedesca al 16,62%. I famosi discorsi sul cuneo fiscale e sulla classe media che in Italia va sempre più scomparendo nascono da qui. La curvatura IRPEF francese potrebbe essere sicuramente un buon modello, anche per i redditi più bassi, ma, se si vuole davvero farlo, bisogna avere il coraggio di tassare di più, purtroppo, le rendite finanziarie e soprattutto le rendite immobiliari. Il contrario di quanto recentemente fatto con la cedolare secca sugli immobili.

Spesa pubblica improduttiva: ha una cesoia e il potere di operare tagli.
Da dove comincia?
Comincerei senz'altro da dove sta cominciando il Ministro Giulio Tremonti: il taglio dei costi della politica. In termini assoluti è insufficiente a garantire da solo qualsivoglia risultato decisivo, ma è la premessa indispensabile senza la quale una classe politica oggettivamente assai poco autorevole non può certo mettersi a tassare rendite o chiedere incisivi tagli di spesa ad altri capitoli del bilancio dello Stato. Il valore dell'esempio è tutto, quando ci si deve mettere l'elmetto e scendere in trincea.

Alcuni economisti hanno proposto una sorta di privatizzazione del debito per recuperare risorse. Condividerebbe tale scelta?
Se intendiamo una patrimoniale "lacrime e sangue" da investire interamente nella riduzione del debito pubblico, vincolando poi i risparmi sugli interessi passivi ad abbattimento delle imposte sui redditi di produzione e lavoro, la giudico una proposta condivisibile in termini di modello teorico. Sul piano pratico, però, escludo che oggi possano esservi i presupposti per farlo. Prima di arrivare a questo bisognerebbe assistere come minimo a misure altrettanto drastiche e drammatiche sul fronte della spesa e del pubblico impiego, con licenziamenti e deportazioni di massa da uffici sovraffollati ad altri sotto organico. Perché il rigore e i sacrifici, non dimentichiamolo, vanno applicati con equilibrio in due direzioni e non a senso unico contro il cittadino contribuente e proprietario privato. Se vedremo tutto questo, vorrà dire che non saremo stati capaci di evitare di finire là dove la Grecia è oggi molto vicina ad arrivare, pur non essendoci ancora.

Quella delle agevolazioni fiscali è una vera giungla. Quali misure salva e quali invece cancella?

Sicuramente eliminerei al massimo le deduzioni IRPEF a favore di aliquote di imposta più basse e più articolate nella loro progressione. Da questo punto di vista, trovo assurdo fissarsi con l'idea delle tre aliquote: meglio molte aliquote che assicurino una progressività corretta che pochissime deduzioni che fanno perdere la bussola al contribuente. Allo stesso modo, procederei sul fronte delle attività produttive.

Per contrastare l'evasione fiscale, invece, quali sono le sue idee?
Nell'ambito del tavolo di lavoro sull'economia sommersa, cui ho partecipato in qualità di delegato del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, ho presentato un decalogo di proposte elaborate al nostro interno e ufficializzate poi dal presidente Claudio Siciliotti in occasione della nostra Assemblea nazionale dello scorso 25 maggio. Tra queste, citerei quelle sul potenziamento della giustizia tributaria, fondamentali per consentire di non fare passi indietro sulla riscossione, senza però lasciare il cittadino e le imprese in balia dell'Agenzia delle entrate e di Equitalia, istituzioni degnissime di questo Paese, ma certamente non super partes nel rapporto fisco‑contribuente. Importante sarebbe anche elevare a norma di rango costituzionale lo statuto del contribuente e sottrarre alla disponibilità della maggioranza politica di turno la possibilità di varare condoni fiscali, perché ormai, dopo tanti anni di utilizzo improprio, c'è una sistematica aspettativa che distrugge la fedeltà fiscale. Per quanto riguarda il redditometro, crediamo molto nello strumento e siamo stati tra i primi a rilanciarne le opportunità di utilizzo, ma al momento constatiamo che c'è davvero poca chiarezza, per non dire nessuna, nel modo in cui sta venendo costruito, per cui sospendiamo il giudizio in attesa di vedere se i nostri timori, già più volte espressi, si riveleranno fondati.

Ma cosa accade in materia di fisco negli altri Paesi? Esistono esempi virtuosi e semplici da seguire?
La semplicità assoluta non esiste in sistemi fiscali che si propongono, doverosamente, di tassare il cittadino non "un tanto al chilo", ma sulla base della sua effettiva capacità contributiva. È vero però che noi siamo messi particolarmente male, sia quanto a farraginosità, sia quanto a iniquità. Nella distribuzione del carico fiscale tra redditi, rendite, consumi e patrimoni, così come nel rapporto tra fisco e contribuente dobbiamo cercare di avvicinarci a Paesi come Francia e Germania. Per fare la prima cosa serve una riforma fiscale a 360 gradi. Per fare la seconda occorre anche un onesto esame di coscienza da parte della nostra amministrazione finanziaria, sempre prodiga nel chiedere al cittadino e alle imprese di comunicare dati di ogni tipo. Credo che pochi sappiano che, nonostante il nostro Paese venga da molti indicato come uno di quelli con il maggior tasso di evasione fiscale, sia al contempo indiscutibilmente riconosciuto come quello la cui anagrafe tributaria è la più ricca di dati a completa disposizione dell'amministrazione finanziaria. Mi pare evidente che c'è qualcosa che non va. Secondo

Mario Draghi «per incentivare il ricorso al capitale di rischio, andrebbe ridotto il carico fiscale sulla parte dei profitti ascrivibile alla remunerazione del capitale proprio» . Una mossa da rilanciare?
Senza alcun dubbio. Per contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione delle imprese siamo passati dalla "piccola carota" della Dual Income Tax al "grande bastone" della indeducibilità degli interessi passivi. Fondamentale cambiare rotta.

Più in generale, come giudica il lavoro preparatorio del ministro Tremonti sulla riforma fiscale?
È stato molto interessante e i tavoli sono stati condotti molto bene. Devo però dire che la scelta di far partecipare le parti sociali a tavoli tecnici che avevano essenzialmente la finalità di raccogliere dati messi a disposizione da Ministeri e istituzioni, per successive decisioni di natura politica e strategica sulla riforma, che sarebbero state prese però ad altro livello senza la prosecuzione della loro partecipazione, ha ampiamente dimostrato la scarsa volontà di Tremonti di aprirsi ad un dialogo vero sul fisco che verrà. Magari al suo posto avremmo fatto anche noi altrettanto, per carità, ma è un fatto che la lettura non possa essere che questa.



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