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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIO 2011
 
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di Raffaella Venerando

DAVERI: «2011, crescita lieve ma la RIPRESA resta a due velocitÀ»

L'export è ripartito dopo la crisi ma il Pil langue perché la domanda interna stenta ad aumentare. Per di più, il lieve incremento registrato se ne va all'estero senza creare occupazione in Italia


Gli sforzi della politica economica dovrebbero dunque andare a sostenere la domanda interna senza devastare i conti pubblici. A questo per esempio non serve la riforma fiscale complessiva che sembra ritornare ancora una volta nell'agenda politica: per benissimo che vada, potrà essere a regime nel 2013 e quindi non serve ad aiutare oggi l'economia



Francesco Daveri docente di Politica Economica Università di Parma


Professor Daveri, il problema numero uno del nostro Paese
resta la mancata crescita come testimoniato pure dalle ultime rilevazioni Istat che per i primi tre mesi di quest'anno fanno registrare un modesto incremento del Pil pari allo +0.1 per cento. Ma per quali ragioni stentiamo ad uscire da questa situazione di drammatico stallo?

Nel primo trimestre 2011 la domanda interna (la somma di consumi, investimenti e spesa pubblica, pari a circa 400 miliardi di euro) è cresciuta dello 0.3 per cento rispetto al trimestre precedente, mentre la domanda estera di prodotti italiani (l'export, pari a 112 miliardi) cresceva dell'1.4 per cento rispetto al trimestre precedente. Se l'aumento complessivo di domanda fosse stato soddisfatto da produzione delle aziende operanti nei confini italiani, avremmo avuto un incremento del Pil di 0.5 per cento: +0.5, non un dato "tedesco" ma nemmeno il minuscolo e striminzito +0.1 di crescita del Prodotto interno lordo registrato dall'Istat.

Che cosa è successo dunque?
É successo che l'incremento di domanda è stato soddisfatto solo in misura molto parziale con produzione interna (appunto il +0.1 di crescita del Prodotto interno lordo).
Questo perché a intercettare il desiderio delle famiglie, della Pubblica Amministrazione e delle imprese italiane di spendere un po' più che nel trimestre precedente sono state soprattutto le imprese estere: l'import nel periodo è infatti aumentato dello 0.7 per cento.
E sono dati a prezzi costanti, cioè al netto dell'aumento del prezzo del petrolio: le importazioni in valore sono infatti aumentate ben di più, del 5.2 per cento, a causa dell'incremento dei prezzi del 4.5 per cento e, appunto, dell'aumento dei volumi importati dello 0.7 per cento.
Insomma, il quadro è quello ormai noto dall'inizio del 2010: una ripresa a due velocità che si traduce in calma piatta o quasi per l'economia nel suo complesso; l'export è ripartito dopo la crisi ma il Pil langue perché la domanda interna non cresce molto e il poco di crescita che si vede se ne va all'estero e non si ferma a creare occupazione in Italia.
Questi trend sono particolarmente evidenti nel Mezzogiorno dove la ripresa delle esportazioni è stata meno robusta e anche la domanda interna ha una dinamica flebile.

La domanda si sposta all'estero, quindi, con le conseguenze che ha ricordato. Ma non è possibile e in che modo ricondurla entro i confini nazionali?
La domanda "va all'estero" in tanti modi. Si importa e si esporta di più a parità di produzione complessiva perché il mondo è sempre più globale: grazie alla tecnologia i costi di trasporto e di comunicazione sono sempre più bassi e quindi rispetto al passato gli scambi internazionali sono sempre più importanti.
Così i consumatori comprano i beni al prezzo più basso e le imprese vendono dove i loro prodotti sono meglio valorizzati e apprezzati. L'invasione cinese dei nostri mercati e l'esportazione della Dolce Vita come il Centro Studi Confindustria chiama il successo del Made in Italy sono figli dello stesso padre, il Mondo Globale.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole. Ma per l'Italia c'è di più: la ripresa 2010‑11 ha fatto ripartire le importazioni rispetto al periodo di crisi molto più rapidamente di quanto fosse avvenuto con la ripresa 2006‑07 rispetto alla stagnazione 2005.

Come va letta allora la ripartenza delle importazioni per la nostra economia?

Il dato positivo fatto registrare dalle importazioni equivale anche a un sintomo delle difficoltà dei terzisti, delle piccole imprese senza un marchio, che non fanno ricerca e usano poco le nuove tecnologie.
Rappresentano, in poche parole, il back office delle grandi imprese, loro sì in competizione sui mercati di tutto il mondo.
Se però le grandi imprese delocalizzano la produzione e non portano con sé i fornitori italiani e se le grandi imprese estere non portano i loro impianti di produzione all'interno dei confini italiani o li chiudono (come avvenuto nei mesi scorsi), i conti delle grandi imprese italiane ed estere migliorano, le borse brindano agli accresciuti dividendi, ma i dati sull'occupazione e sulla produzione interna soffrono.
E così abbiamo cifre ancora troppo deludenti per il mercato del lavoro e per la produzione industriale, con la disoccupazione ancora a 8.1 per cento nell'aprile 2011, di due punti sopra al minimo pre‑crisi di 5.9 per cento.
Lo stesso per la produzione industriale, in crescita, ma che rimane pur sempre di 17 punti percentuali inferiore al dato registrato nel punto di massimo pre‑crisi, quello dell'aprile 2008. E significativamente da ualche mese a mancare il decollo è proprio soprattutto la produzione industriale di beni di consumo non durevole che, nell'aprile 2011, mostra un modesto +0.2 per cento rispetto all'aprile 2010, mentre il resto delle voci dei prodotti industriali mostra incrementi di 6 punti percentuali. È quindi lo scontrino medio delle famiglie che vanno a fare la spesa al supermercato a rimanere troppo basso, non le vendite di prodotti hightech.

La politica economica quali strade dovrebbe intraprendere per far sì che il Paese venga fuori da quella che lei ha definito in un suo scritto per La Voce.info «calma piatta»?
I dati dicono che la calma piatta dell'economia italiana nei primi mesi 2011 è il riassunto di situazioni molto diverse, di chi langue sul mercato interno e di chi sta sfondando sui mercati lontani.
Questi pochi dati danno però indicazioni precise sulla politica economica possibile per i prossimi mesi. Le aziende che riescono ad esportare spesso presenti con investimenti esteri nei mercati di sbocco potrebbero certamente avere più aiuto dalla politica, ma nel complesso stanno in piedi con le loro gambe. Gli sforzi della politica economica dovrebbero dunque andare a sostenere la domanda interna senza devastare i conti pubblici.
A questo per esempio non serve la riforma fiscale complessiva che sembra ritornare ancora una volta nell'agenda politica: per benissimo che vada, potrà essere a regime nel 2013 e quindi non serve ad aiutare oggi l'economia.
Nel frattempo per ridare fiato ai terzisti e ai consumi, non ci sono alternative alla ripresa delle liberalizzazioni quelle non bocciate dal referendum: commercio, avvocati, notai, tassisti, carburanti, banche e assicurazioni e a un piano anti‑burocrazia per sfoltire la giungla di adempimenti e procedure con cui fanno i conti le imprese, oltre a specifici interventi fiscali e legislativi sul mercato del lavoro che ridiano fiducia ai consumatori‑lavoratori. Un primo passo non l'unico sono gli sgravi fiscali a chi assume lavoratori a tempo indeterminato nel Sud.

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