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  Dicembre 2012

Articoli n° 02
MARZO 2009
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Contro il racket chiama
il numero verde 8000.71147

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Contro il racket chiama
il numero verde 8000.71147

L’associazione degli industriali di Caserta attiva un punto telefonico di ascolto dove,
nel più assoluto rispetto dell’anonimato, gli imprenditori possono denunciare estorsori e usurai


Andrea Funari
Consigliere responsabile Comitato tecnico Sicurezza
Confindustria Caserta


Un numero verde per denunciare il racket del pizzo o dell’usura, o anche più semplicemente per raccontare la propria esperienza di imprenditore vessato dalla malavita più o meno organizzata. è l’iniziativa di Confindustria Caserta, l’ultima messa in campo dalla maggiore associazione datoriale di Terra di Lavoro, in materia di lotta alla criminalità e di contributo per l’affermazione della cultura della legalità.
Dopo i convegni (il più importante a ottobre scorso, con la partecipazione della presidente Marcegaglia e dei segretari nazionali dei sindacati), dopo le prese di posizione forti (fuori dal sistema associativo gli imprenditori che non denunciano), dopo la solidarietà (Confindustria Caserta si costituirà parte civile nei processi che vedono gli imprenditori associati vittime dei clan), arriva un nuovo segnale d’impegno nella lotta contro il crimine.
Uno strumento tangibile, reale, concreto - un punto di ascolto telefonico, appunto - per contribuire a far emergere il triste fenomeno dell’usura o del racket. Uno strumento attraverso il quale, in assoluta sicurezza e nel più totale rispetto dell’anonimato, gli imprenditori che per cattiva sorte sono finiti nel mirino della criminalità, possono raccontare la propria esperienza. «Il numero verde - 8000.71147 - sarà attivo già dai prossimi giorni - precisa il direttore di Confindustria Caserta, Lucio Lombardi - ed è stato predisposto in maniera tale da evitare sia il numero identificativo della telefonata e sia il riconoscimento vocale del chiamante. Nella sostanza si tratta di un box voice che registra il contenuto della telefonata che successivamente sarà portata all’attenzione sia delle forze di polizia che della magistratura».
Il numero verde, insomma, può essere immaginato come una sorta di confessionale, cui rivolgersi magari anche soltanto per cominciare a parlare della propria disavventura, o semplicemente per alleggerire un po’ il peso dell’enorme responsabilità e paura (soprattutto quella di evitare di coinvolgere le persone più vicine, i propri familiari e collaboratori) che spesso grava sulle sole spalle di quanti subiscono la vessazione da parte dei criminali, o magari anche per cominciare a reagire e a non subire supinamente la violenza.
«L’iniziativa può essere intesa come un primo passo, certamente non risolutivo, forse neanche qualificabile come vera e propria denuncia da parte dell’imprenditore», aggiunge il direttore Lombardi. «E però abbiamo buoni motivi per ritenere che, anche soltanto il racconto delle modalità con cui gli emissari del racket si muovono, l’indicazione di una circostanza, anche soltanto l’area di azione dei criminali, possono risultare preziosi agli inquirenti e alle forze di polizia».
L’attivazione del numero verde antiracket, si diceva, si inserisce nella scia del nuovo clima che in provincia di Caserta da qualche mese comincia a respirarsi su questo spinoso fronte. Sono ormai già diversi gli imprenditori che hanno denunciato la propria situazione, alcuni lo hanno fatto anche in maniera pubblica, esponendosi nei convegni e sui giornali. Testimonianze forti, che spesso hanno aiutato anche a individuare responsabilità non meno gravi da parte dei cosiddetti colletti bianchi, quasi sempre del mondo bancario, che fanno direttamente o indirettamente da sponda ai criminali, come è emerso recentemente nel corso di un vertice, presso la sede della Prefettura di Caserta, con il sottosegretario Alfredo Mantovano sui temi, appunto, dell’accesso al credito da parte degli operatori economici a rischio usura. Vertice cui, tra gli altri, ha partecipato anche il consigliere responsabile del Comitato tecnico Sicurezza in seno a Confindustria Caserta, Andrea Funari, che ha così commentato: «Il momento positivo e di grande coraggio che stiamo vivendo, con un numero sempre crescente di imprenditori decisi a non abbassare la testa davanti alle richieste estorsive di camorristi né a cedere ai ricatti degli usurai, non deve assolutamente essere vanificato dall’eventuale corto circuito che istituti bancari poco sensibili possono generare con comportamenti non sempre corretti. Men che mai può essere vanificato, paradossalmente, dalla magistratura - ha aggiunto Funari - che, magari in nome di un rispetto rigorosamente cieco della legge, avvia procedure di esecuzione dei pignoramenti dei beni degli imprenditori su azione, appunto, di banche troppo avide e di funzionari disonesti».
Il responsabile del Comitato Sicurezza ha anche ricordato che Confindustria Caserta ha dato la sua disponibilità a trovare, nella prossima riunione del tavolo provinciale con l’Abi, le soluzioni ritenute più idonee a affrontare i non pochi problemi che in materia di accesso al credito gli imprenditori quotidianamente incontrano.
«E però - ha concluso Funari - è necessario che in questa battaglia di recupero della dignità civile da parte di tutti i cittadini, prima ancora che di legalità e sicurezza, ciascuno faccia la propria parte. É importante per tutti che il ciclo positivo attivato da imprenditori coraggiosi e che comincia a osservarsi sul territorio non venga assolutamente interrotto, ma anzi alimentato da sempre nuovi comportamenti virtuosi. Comportamenti, è appena il caso di ricordare, che si alimentano della solidarietà, della vicinanza, della protezione che saremo in grado - tutti insieme: istituzioni, forze dell’ordine, associazioni e società civile - di assicurare alle vittime del racket».

É la criminalità il maggiore ostacolo allo sviluppo

Quanto fattura (si fa per dire) la malavita? A questa domanda hanno provato a dare una risposta sia gli studiosi che la magistratura. Secondo uno studio non recentissimo, per dire, dell’economista Vittorio Daniele il fatturato dei clan si aggira nell’impressionante cifra di centomila milioni l’anno. Si tratta di risorse ingenti, per lo più estorte alle attività economiche lecite, e in ogni caso sottratte alla contabilità dello Stato.
La Campania, dopo la Calabria, è la regione che fa registrare il più alto tasso tra estorsioni e popolazione residente. Non solo. Secondo il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso «la criminalità determina un mancato fatturato per le imprese pari al 2,7% del pil del Mezzogiorno». E nella cifra non si tiene conto il dato del cosiddetto “costo della paura”. Si calcola, infatti, che nella sicurezza sia investito annualmente il 3,3% dei costi dell’impresa. Ogni anno «per polizia privata, videocamere ed altri sistemi di sicurezza, si spendono 4,3 miliardi di euro: il 3,1% del valore aggiunto del Mezzogiorno».
Cifre che da sole dovrebbero indurre ad affrontare il problema con urgenza e assoluta priorità. Tanto più se si tiene conto che la criminalità tiene lontano dal Sud quei capitali esteri che pure sono ritenuti unanimemente indispensabili per ridare slancio al sistema economico del Sud. É appena il caso di ricordare, infatti, che il Mezzogiorno attrae solo l’1% degli scarsi investimenti esteri in entrata in Italia (nel 2003 complessivamente 2,9%, contro il 20,9% del Benelux, l’8,4% della Francia, il 4,6% dell’Irlanda) mentre le regioni del nord-ovest hanno attratto il 57%.
Non va meglio su scala geografica locale. Nella graduatoria dell’influenza degli investimenti esteri sul pil regionale tra gli ultimissimi posti c’è la Campania con lo 0,16% contro il 3,2% della Lombardia (peggio stanno soltanto Puglia con lo 0,06% e Basilicata con lo 0,04%).
La scarsa attrattività del territorio è negativamente influenzata anche da altri fattori quali la scarsa efficienza amministrativa degli enti locali e la mal funzionante macchina giudiziaria. Ma è innanzi tutto la criminalità a costituire il maggiore ostacolo per lo sviluppo. Bisogna ammetterlo con coraggio e agire di conseguenza. Sottovalutare il fenomeno o, peggio, annoverarlo con malcelata rassegnazione tra i mali con i quali bisogna necessariamente convivere, significa non soltanto non avere il senso dello Stato, ma neanche della realtà.




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