La nuova revocatoria fallimentare
Riforma inevitabile di un istituto obsoleto
Il distacco del lavoratore
quando occorre il consenso
UNA MODERNA
VISIONE Dell’APPALTO
IL “GLOBAL SERVICE”
Il distacco del lavoratore
quando occorre il consenso
La Giurisprudenza si è evoluta
sancendo la necessaria temporaneità
Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
Il distacco è regolamentato dall’art. 30 del D.Lgs. 276/03.
Prima delle sua entrata in vigore l’unica norma in materia era l’art.
8, comma 3, L. 236/93 secondo cui «gli accordi sindacali, al fine di evitare
le riduzioni di personale, possono regolare il comando o il distacco di uno o
più lavoratori dall’impresa ad altra per una durata temporanea».
Gli ostacoli all’utilizzo dello strumento del “distacco” derivavano
dal principio in base al quale «qualunque impresa che abbia intrinseche
esigenze di determinato personale o di soggetti qualificati deve instaurare con
essi un regolare, diretto, rapporto di lavoro (con inserimento a libro paga)
e transitare, attraverso il servizio pubblico del collocamento». Dottrina
e giurisprudenza erano giunte a legittimare il ricorso al “distacco” ove
la fattispecie non incorreva nel divieto di appalto di manodopera. In caso di
distacco illegittimo, infatti, si realizzava la fattispecie interpositoria vietata
dall’art. 1 L.1369/1960, implicante l’immediata costituzione del
rapporto in capo al reale fruitore della prestazione del dipendente pseudo distaccato,
e gli altri effetti di carattere penale. Requisito imprescindibile per la legittimità del
distacco era il fatto che la conseguente assegnazione tendesse a realizzare «un
interesse istituzionale proprio dell’ente o azienda distaccante» (vedi
Cass. 12.08.1992 n. 9517), non già a soddisfare un’esigenza specifica
dell’azienda in cui il dipendente viene destinato (cosiddetta distaccataria).
A tale stregua si riteneva legittima la dissociazione tra titolare del rapporto
di lavoro e degli obblighi retributivi (distaccante) e beneficiario della prestazione
del dipendente (distaccatario), quando, ad esempio, il distaccato dispiegava
nella diversa sede un’attività di controllo gestionale o contabile
per conto e nell’interesse dell’azienda (o capo gruppo) cui apparteneva,
ovvero realizzava un’esperienza formativa utile per il miglior disimpegno
della sua attività, una volta reinserito nella propria società,
ovvero svolgesse nell’azienda cessionaria un’attività finalizzata
all’uniformità delle procedure di Gruppo, secondo esigenze delle
Holding di cui era in organico. Da ultimo secondo Cass. 594/00, «l’invio
di propri dipendenti, fin dall’assunzione a tempo indeterminato, da parte
di una cooperativa configura un comando o distacco lecito e non contravviene
al divieto di interposizione posto dall’art.1, l. n.1369/60, se in capo
al distaccante esiste e persiste un interesse di natura anche non economica,
ma solidaristica». Requisito di legittimità del distacco era «la
sussistenza, all’inizio e la persistenza per tutta la durata del comando
della necessità di soddisfare particolari esigenze dell’ente o azienda
distaccante e quindi la persistenza dell’interesse a tale distacco elementi
questi, per loro natura, necessariamente temporanei» (Cass. Sez. Un. N.
1751/1989). Si riteneva, quindi, che altro requisito del «distacco» fosse
la temporaneità. La dissociazione tra titolarità del rapporto ed
esecuzione della prestazione in azienda diversa e a favore di soggetto distinto
da colui che ha assunto il prestatore di lavoro doveva essere secondo la Giurisprudenza
temporanea, seppure non necessariamente predeterminata ma direttamente determinabile
(o derivante) dalla durata dell’interesse della società cedente.
Si trattava di una nozione relativa tant’è che la giurisprudenza
ha osservato che «la fattispecie del comando o distacco del lavoratore
non è necessariamente caratterizzata dalla brevità, o comunque
dalla temporaneità dell’applicazione del dipendente presso il terzo,
potendo questa durare, indipendentemente dalla sua minore o maggiore lunghezza,
finché permanga l’interesse del datore di lavoro distaccante a mantenere
la situazione di distacco, e conseguentemente anche fino alla cessazione del
rapporto di lavoro, ove l’interesse predetto si sia realmente protratto
sino a tale data». Altre decisioni però presupponevano una nozione
di “temporaneità” più rigorosa, altrimenti non risulterebbe
spiegabile la ragione che ha spinto il datore di lavoro originario all’assunzione
e alla detenzione della titolarità del rapporto (così Cass. 6/01/1984,
n. 63; Cass. 13/05/1981, n.3150). Sulla necessità del consenso da parte
del lavoratore è riscontrabile una evoluzione della Giurisprudenza. A
un primo orientamento che richiedeva la necessità del consenso al distacco
da parte del lavoratore (Cass. Sez. Un., 15/2/1979, n. 982) ne sono seguiti altri
che hanno limitato la necessità del consenso all’ipotesi in cui
il rifiuto al distacco fosse giustificato da nuove modalità di esecuzione
della prestazione, ovvero da un interesse giuridicamente apprezzabile del lavoratore
(Cass. 4/9/1980, n.1189), sino a giungere all’orientamento più recente
che riteneva irrilevante il profilo del consenso poiché il lavoratore
deve eseguire la prestazione in osservanza al dovere di obbedienza sancito dall’art.
2104 c.c., (Cass. 11/5/1998, n.5102; Cass. 7/11/2000, n.14458). L’art.
30 del D.Lgs. 276/2003 ha sostanzialmente recepito i principi giurisprudenziali
appena enunciati con qualche aggiustamento. Tale norma, infatti, ha sancito che è necessario
un interesse del datore di lavoro distaccante e ha posto altresì il principio
della necessaria temporaneità del distacco. Essa ha previsto due regole
a tutela del lavoratore subordinato stabilendo, innanzitutto, che occorre il
consenso del lavoratore interessato quando il distacco comporti un mutamento
di mansioni e che, quando il provvedimento in questione comporti un cambiamento
del luogo di lavoro superiore a 50 Km, deve essere motivato da ragioni tecniche
organizzative, produttive o sostitutive. In pratica, per il distacco implicante
spostamenti geografici di una certa consistenza sono richieste le stesse motivazioni
previste per il trasferimento del lavoratore con l’aggiunta della ragione «sostitutiva».
La norma citata codifica la regola della responsabilità del datore di
lavoro distaccante per ciò che riguarda il trattamento economico e normativo
a favore del lavoratore. Il distaccante risponderà dell’obbligo
contributivo da determinare in relazione all’inquadramento previdenziale
dello stesso, mentre per quanto riguarda l’assicurazione infortunio sul
lavoro i premi dovrebbero essere calcolati in base alla tariffa applicata dal
distaccatario. Delicato è il profilo relativo a eventuali infortuni: è da
ritenere che permanga la responsabilità del datore di lavoro distaccante
perché il distaccatario potrebbe essere assimilato al soggetto incaricato
della direzione e sorveglianza del lavoro. La nuova regolamentazione non sembra
tale da pregiudicare l’ammissibilità di un rimborso degli oneri
economici a carico del distaccante da parte del distaccatario così come
ritenuto dalla precedente giurisprudenza. La nuova normativa, infine, codifica
espressamente il principio secondo il quale la violazione delle condizioni di
legittimità del distacco comporta la costituzione del rapporto di lavoro
in capo al distaccatario, previa un’apposita iniziativa giudiziaria da
parte del lavoratore.
|