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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
ottobre 2005
 
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La nuova revocatoria fallimentare
Riforma inevitabile di un istituto obsoleto

Il distacco del lavoratore
quando occorre il consenso

UNA MODERNA VISIONE Dell’APPALTO
IL “GLOBAL SERVICE”

Il distacco del lavoratore
quando occorre il consenso
La Giurisprudenza si è evoluta sancendo la necessaria temporaneità

Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno

avvocato.ioelelorenzo@tin.it

Il distacco è regolamentato dall’art. 30 del D.Lgs. 276/03. Prima delle sua entrata in vigore l’unica norma in materia era l’art. 8, comma 3, L. 236/93 secondo cui «gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall’impresa ad altra per una durata temporanea». Gli ostacoli all’utilizzo dello strumento del “distacco” derivavano dal principio in base al quale «qualunque impresa che abbia intrinseche esigenze di determinato personale o di soggetti qualificati deve instaurare con essi un regolare, diretto, rapporto di lavoro (con inserimento a libro paga) e transitare, attraverso il servizio pubblico del collocamento». Dottrina e giurisprudenza erano giunte a legittimare il ricorso al “distacco” ove la fattispecie non incorreva nel divieto di appalto di manodopera. In caso di distacco illegittimo, infatti, si realizzava la fattispecie interpositoria vietata dall’art. 1 L.1369/1960, implicante l’immediata costituzione del rapporto in capo al reale fruitore della prestazione del dipendente pseudo distaccato, e gli altri effetti di carattere penale. Requisito imprescindibile per la legittimità del distacco era il fatto che la conseguente assegnazione tendesse a realizzare «un interesse istituzionale proprio dell’ente o azienda distaccante» (vedi Cass. 12.08.1992 n. 9517), non già a soddisfare un’esigenza specifica dell’azienda in cui il dipendente viene destinato (cosiddetta distaccataria). A tale stregua si riteneva legittima la dissociazione tra titolare del rapporto di lavoro e degli obblighi retributivi (distaccante) e beneficiario della prestazione del dipendente (distaccatario), quando, ad esempio, il distaccato dispiegava nella diversa sede un’attività di controllo gestionale o contabile per conto e nell’interesse dell’azienda (o capo gruppo) cui apparteneva, ovvero realizzava un’esperienza formativa utile per il miglior disimpegno della sua attività, una volta reinserito nella propria società, ovvero svolgesse nell’azienda cessionaria un’attività finalizzata all’uniformità delle procedure di Gruppo, secondo esigenze delle Holding di cui era in organico. Da ultimo secondo Cass. 594/00, «l’invio di propri dipendenti, fin dall’assunzione a tempo indeterminato, da parte di una cooperativa configura un comando o distacco lecito e non contravviene al divieto di interposizione posto dall’art.1, l. n.1369/60, se in capo al distaccante esiste e persiste un interesse di natura anche non economica, ma solidaristica». Requisito di legittimità del distacco era «la sussistenza, all’inizio e la persistenza per tutta la durata del comando della necessità di soddisfare particolari esigenze dell’ente o azienda distaccante e quindi la persistenza dell’interesse a tale distacco elementi questi, per loro natura, necessariamente temporanei» (Cass. Sez. Un. N. 1751/1989). Si riteneva, quindi, che altro requisito del «distacco» fosse la temporaneità. La dissociazione tra titolarità del rapporto ed esecuzione della prestazione in azienda diversa e a favore di soggetto distinto da colui che ha assunto il prestatore di lavoro doveva essere secondo la Giurisprudenza temporanea, seppure non necessariamente predeterminata ma direttamente determinabile (o derivante) dalla durata dell’interesse della società cedente. Si trattava di una nozione relativa tant’è che la giurisprudenza ha osservato che «la fattispecie del comando o distacco del lavoratore non è necessariamente caratterizzata dalla brevità, o comunque dalla temporaneità dell’applicazione del dipendente presso il terzo, potendo questa durare, indipendentemente dalla sua minore o maggiore lunghezza, finché permanga l’interesse del datore di lavoro distaccante a mantenere la situazione di distacco, e conseguentemente anche fino alla cessazione del rapporto di lavoro, ove l’interesse predetto si sia realmente protratto sino a tale data». Altre decisioni però presupponevano una nozione di “temporaneità” più rigorosa, altrimenti non risulterebbe spiegabile la ragione che ha spinto il datore di lavoro originario all’assunzione e alla detenzione della titolarità del rapporto (così Cass. 6/01/1984, n. 63; Cass. 13/05/1981, n.3150). Sulla necessità del consenso da parte del lavoratore è riscontrabile una evoluzione della Giurisprudenza. A un primo orientamento che richiedeva la necessità del consenso al distacco da parte del lavoratore (Cass. Sez. Un., 15/2/1979, n. 982) ne sono seguiti altri che hanno limitato la necessità del consenso all’ipotesi in cui il rifiuto al distacco fosse giustificato da nuove modalità di esecuzione della prestazione, ovvero da un interesse giuridicamente apprezzabile del lavoratore (Cass. 4/9/1980, n.1189), sino a giungere all’orientamento più recente che riteneva irrilevante il profilo del consenso poiché il lavoratore deve eseguire la prestazione in osservanza al dovere di obbedienza sancito dall’art. 2104 c.c., (Cass. 11/5/1998, n.5102; Cass. 7/11/2000, n.14458). L’art. 30 del D.Lgs. 276/2003 ha sostanzialmente recepito i principi giurisprudenziali appena enunciati con qualche aggiustamento. Tale norma, infatti, ha sancito che è necessario un interesse del datore di lavoro distaccante e ha posto altresì il principio della necessaria temporaneità del distacco. Essa ha previsto due regole a tutela del lavoratore subordinato stabilendo, innanzitutto, che occorre il consenso del lavoratore interessato quando il distacco comporti un mutamento di mansioni e che, quando il provvedimento in questione comporti un cambiamento del luogo di lavoro superiore a 50 Km, deve essere motivato da ragioni tecniche organizzative, produttive o sostitutive. In pratica, per il distacco implicante spostamenti geografici di una certa consistenza sono richieste le stesse motivazioni previste per il trasferimento del lavoratore con l’aggiunta della ragione «sostitutiva». La norma citata codifica la regola della responsabilità del datore di lavoro distaccante per ciò che riguarda il trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. Il distaccante risponderà dell’obbligo contributivo da determinare in relazione all’inquadramento previdenziale dello stesso, mentre per quanto riguarda l’assicurazione infortunio sul lavoro i premi dovrebbero essere calcolati in base alla tariffa applicata dal distaccatario. Delicato è il profilo relativo a eventuali infortuni: è da ritenere che permanga la responsabilità del datore di lavoro distaccante perché il distaccatario potrebbe essere assimilato al soggetto incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro. La nuova regolamentazione non sembra tale da pregiudicare l’ammissibilità di un rimborso degli oneri economici a carico del distaccante da parte del distaccatario così come ritenuto dalla precedente giurisprudenza. La nuova normativa, infine, codifica espressamente il principio secondo il quale la violazione delle condizioni di legittimità del distacco comporta la costituzione del rapporto di lavoro in capo al distaccatario, previa un’apposita iniziativa giudiziaria da parte del lavoratore.

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