A cura della
Redazione Costozero
L’editoriale
del Corriere del Mezzogiorno di domenica 18 settembre 2005
CONSOCIATIVISMO ACRITICO DEGLI INDUSTRIALI
SE L’IMPRENDITORE S’INCHINA AL POTERE
di PAOLO MACRY
Ieri, chiedendo al presidente degli industriali napoletani Giovanni Lettieri
più fermezza con i poteri pubblici, Marco Demarco concludeva: «Non
ha fatto così anche Montezemolo con Berlusconi?». Domanda
maliziosa, visto che il direttore del Corriere del Mezzogiorno sa
bene perché Montezemolo stia facendo la guerra al governo e perché,
invece, Lettieri preferisca invitare i capi di Regione, Provincia
e Comune ad una kermesse. Il primo, vedendo Berlusconi con le valigie
in mano, traghetta la sua associazione verso i lidi del centrosinistra.
Il secondo, consapevole che la maggioranza al potere in Campania è inossidabile,
edulcora ogni critica ai leader locali. Le associazioni degli imprenditori
sono tradizionalmente vicine a chi gestisce la cosa pubblica. Alle
volte, tuttavia, questa cosiddetta vocazione governativa assume aspetti
che dovrebbero preoccupare l’opinione pubblica e la stessa massa
degli iscritti a Confindustria. Essere governativi in una fase positiva
dell’economia
e in un sistema che abbia buone performance è sensato, perché significa
rendersi disponibili alla cogestione dello sviluppo. E sensato, malgrado
l’evidente
interferenza nei processi politici in corso, appare anche l’appoggio
preventivo ad un governo prodiano da parte del leader di Viale dell’Astronomia.
Convinto che le cose vanno male e che qualcosa bisogna pur inventarsi,
sebbene in compagnia di Diliberto, Pecoraro e Bertinotti. Quel che
sembra singolare, piuttosto, è l’appoggio acritico degli imprenditori
napoletani ad amministrazioni, le quali danno chiari segni di impotenza
di fronte alla grave crisi economica del territorio.
Nelle Assise di Palazzo Partanna, poco è stato detto sui tempi e
sui modi di una rigorosa programmazione territoriale. Né sulle garanzie
che le future politiche di sviluppo della Regione siano più incisive
e più imparziali del passato. Tanto meno a qualcuno è venuto
in mente di snocciolare il rosario delle cose non fatte, delle cose fatte
male, delle risorse allocate secondo discutibilissimi criteri. Ciò che
sarebbe stato necessario non per amor di rissa ma perché non si
supera una crisi se non se ne analizzano i motivi. Al contrario, le Assise
hanno assunto la liturgia di un nuovo patto consociativo tra politica e
impresa. Il quale, mancando ogni critica alle inefficienze dell’ultimo
decennio, rischia di essere da parte degli imprenditori, una dichiarazione
di pura acquiescenza, se non di omertà. Quel che, al momento, emerge
dall’iniziativa mediatica dell’Unione Industriali non è una
scaletta di riforme economiche, capaci di regalare all’intera popolazione
della Campania gli agognati “beni pubblici” (servizi, legalità,
ambiente ecc,). Ma neppure è una strategia puramente imprenditoriale
per gli investimenti, la competitività e il profitto, la quale,
alla lunga, finirebbe per giovare a tutti. Con ogni evidenza, il generico
concerto di buone volontà di Palazzo Partanna indica come si punti
piuttosto su un’opzione certamente non nuova per il Mezzogiorno e
per Confindustria: l’intermediazione politica. Il che significa,
in poche parole, che l’impresa chiede favori alla politica (e intanto
s’inchina). Sotto questa luce, le Assise rischiano di essere una
modesta operazione di lobbying, neppure destinata a giovare alla generalità degli
industriali ma ad alcuni soltanto: l’intermediazione politica, per
sua natura, finisce per beneficiare i pochi a danno di tutti gli altri.
Resta da capire perché mai migliaia di imprenditori campani aderiscano
ad un percorso estremamente fragile anche sul piano dell’autodifesa
corporativa, accontentandosi che (nel migliore dei casi) qualche briciola
di quell’intermediazione politica finisca nel piatto dei peones.
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