LA NUOVA STRATEGIA DI PREVENZIONE
I FONDAMENTI SOCIO CULTURALI
Il processo giusto per garantire
l'equilibrio tollerabile tra sviluppo e sicurezza
Giuseppe
Mulè
Dirigente Tecnologo - Direttore Dipartimento ISPESL di Brescia
ispesl-bs@ispesl.191.it
Spesso nel linguaggio corrente e, ahimè, quasi sempre
nei provvedimenti di attuazione di tutte le direttive comunitarie
di settore, dalla direttiva Severo alla 626, alla PED, ecc.,
i termini pericolo e rischio vengono utilizzati quasi come
sinonimi. Ancora più spesso il vocabolo sicurezza
viene adoperato in contesti nei quali il termine corretto
da usare sarebbe "livello tollerabile di rischio".
Questa relativa nonchalance con cui si usano i termini sopra
riportati testimonia la difficoltà con cui l'Italia
metabolizza la grossa epocale discontinuità in termini
culturali, economici, sociali, etici, politici rappresentata
dalla differenza concettuale, e in senso stretto, tra pericolo
e rischio. In un scenario in cui molti fattori hanno assunto
dimensione globale, i due vocaboli indicano in tutto il mondo
industrializzato il cambio di strategia rispetto al tema
della salvaguardia della vita e della salute della persona
nei luoghi di lavoro. Con strategia di prevenzione si indica
il processo con cui si intende perseguire l'obiettivo di
realizzare un sistema capace di stimolare e utilizzare le
proprie risorse, trasformandole in opportunità di
sviluppo e, nel contempo, di controllare i pericoli che da
quelle realizzazioni possono derivare. Strategia introdotta,
legittimata e ormai cristallizzata dalle direttive comunitarie,
dai relativi decreti di attuazione, e, infine, dalle norme
internazionali. Tale strategia poggia su due idee chiave
interdipendenti e complementari oggettivamente universalmente
accettate. La prima, di carattere socio economico, secondo
la quale la crescita economica e civile di un sistema, la
stessa sua stabilità politica, sono legate al suo
sviluppo tecnologico e alla capacità di modernizzazione
del suo tessuto di ricerca e industriale. Idea che trae origine
e legittimazione culturale da molti studi tra i quali meritano
essere citati:
- quelli condotti da Robert M. Solow, un professore di economia
del MIT che ha ricevuto il premio Nobel per gli studi volti
a ricercare i fattori che determinano lo sviluppo economico
di un sistema, che individua, nell'avanzamento tecnologico,
il suo fattore trainante.
- quelli compiuti da Kenneth Bollen e Robert Jackman sui
sistemi democratici meglio funzionanti che dimostrano che
lo sviluppo economico di un sistema ha conseguenze significative
sulla democrazia politica anche quando si prendono in considerazione
fattori non economici. Corollario conseguente è che
lo sviluppo tecnologico, i trasferimenti e le realizzazioni
industriali sono il fattore primo dello sviluppo economico
ed elemento insostituibile di progresso industriale economico
civile e sociale. Il progresso tecnologico e industriale è,
quindi, irrinunciabile.
La seconda idea chiave è la centralità dell'uomo,
la sua sacralità, il non eludibile, non alienabile
suo diritto-dovere, almeno per tutta la cultura occidentale,
alla vita e alla salvaguardia della salute. La protezione
della salute delle persone, la prevenzione degli infortuni,
la salvaguardia della vita e dell'ambiente è quindi
valore irrinunciabile per tutte le culture, e per quella
occidentale in particolare. Su queste due idee portanti si
fonda la conclusione che lo sviluppo industriale, fattore
primo di crescita economica, deve essere reso possibile,
stimolato e favorito, perché foriero di avanzamento
economico, civile e sociale, ma, anche controllato in modo
da risultare compatibile con il rispetto per la persona umana,
con l'esigenza di salvaguardare la sua vita, la sua salute,
l’integrità, il benessere psico-fisico.
Queste due esigenze, che nel passato si sono poste spesso
come elemento di contrapposizione, hanno registrato nell'ultimo
ventennio un continuo processo di compenetrazione. L'equilibrio
tra esigenze di sviluppo e salvaguardia della incolumità delle
persone deve derivare allora non più da una dialettica
tra soggetti antagonisti (la sicurezza non è ostativa
al processo industriale) ma da una affermazione della ricerca
di condizioni accettabili e tollerabili di sicurezza come
principio e cultura che contribuisce allo sviluppo in modo
cogenerativo con i processi di modernizzazione.
In questa fase storica del mondo nella quale il sistema di
produzione è rimasto senza sistemi alternativi dialetticamente
contrapposti, il ruolo della cultura della sicurezza (e del
rispetto dell'ambiente) diventa quello di porsi come principio
dialettico capace di avviare un processo di modernizzazione
continuo, nel solco della tradizione e del sistema occidentale.
Questo vuol dire, in buona sostanza, che, se gli sviluppi
e i progressi tecnici e le relative realizzazioni introducono
elementi di pericolo, essi non devono per questo solo fatto
essere banditi. Quei pericoli vanno studiati, messi in rapporto
ai possibili incidenti e ai danni che ne possono derivare,
e, se possibile eliminati, o, in caso contrario, se i vantaggi
derivanti da quelle realizzazioni sono ritenuti irrinunciabili,
occorrerà stimare i rischi rappresentati da quei danni
ipotizzati e dalla probabilità che questi possano
determinarsi e ridurre quei rischi a livelli tollerabili.
Il problema da risolvere allora non è quello di determinare
condizioni di assenza di pericolo e di sicurezza assoluta
e astratta in una società industrializzata, ma quello
di individuare condizioni di rischio tollerabile a fronte
di vantaggi stimabili. In Europa e in Italia tutto il sistema
politico e produttivo ha incorporato questo principio, o
se si vuole questa moderna strategia di prevenzione. Il sistema
politico lo ha fatto in molti modi e con una serie di provvedimenti
il più rappresentativo dei quali penso possa essere
la decisione dei capi di governo della Comunità Europea
che hanno stabilito, a Lisbona, l'obiettivo di fare di questa
Europa, entro questo decennio, l'economia più competitiva
e dinamica del mondo attraverso lo sviluppo tecnologico in
un contesto di coesione sociale. Le associazioni imprenditoriali
hanno sezioni sempre più numerose qualificate e organizzate
che si occupano esclusivamente di sicurezza e ambiente. I
movimenti e le associazioni sindacali hanno maturato una
presenza di pressione argomentata, competente, consapevole.
Le conoscenze sono migliorate, i fenomeni si precisano, le
legislazioni diventano sempre più chiare, definite,
esplicite e dettagliate; i poli tradizionali della ricerca
scientifica hanno iniziato e incrementano sempre di più i
lavori su ricerche indirizzate a fornire basi e strumenti
scientifici alle esigenze di sicurezze; le società di
ingegneria e le imprese incorporano prevenzione e sicurezza
nelle tecnologie di processo e di produzione di macchine
e impianti, le tecniche e i sistemi per la gestione della
sicurezza sui luoghi di lavoro cominciano ad essere compresi
e attuati. Questa crescita di cultura della sicurezza ha
dunque prodotto significative variazioni in molti campi.
In altre situazioni, però, non si sono ancora determinati
i necessari aggiornamenti e aggiustamenti. Alcuni dei ritardi
che si registrano in Italia sono forse frutto della frattura
che spesso si registra nel nostro sistema nel quale le grandi
e nobili aspirazioni sono tradotte in intuizioni illuminate,
in provvedimenti legislativi generosi che, però, altrettanto
spesso sono mediocremente realizzati. Anche in Italia si
sono verificati quei processi di incorporazione prima evidenziati
ma, sul piano pratico, in vari casi il miglioramento che
ne dovrebbe conseguire è ancora in parte da registrare.
In alcuni punti nodali del sistema che deve garantire l'equilibrio
tollerabile tra sviluppo e sicurezza, in questi anni non
si sono avuti tutti i grandi decisivi avanzamenti che ci
si aspettava e molto resta ancora da fare.
Chi scrive pensa che occorra intervenire almeno su questi
punti: la mancanza di chiarezza negli obiettivi quadro; i
contenuti e gli strumenti della nuova strategia; l'introduzione
di procedure e tecniche corrette di studio per l'individuazione
dei pericoli, la valutazione dei rischi, la gestione del
rischio residuo; la determinazione del significato proprio
del concetto di responsabilità almeno in questo ambito;
la formazione; la gestione efficace delle informazioni; un
rendimento insufficiente della dialettica interna al sistema;
la mancanza di chiarezza sulle funzioni di controllo; il
rendimento istituzionale insufficiente della Pubblica Amministrazione
nelle sue diverse articolazioni.
Dare un contributo decisivo alla soluzione di questi problemi
costituisce l'obiettivo specifico dell'I.S.P.E.S.L. che nella
salvaguardia della vita e della integrità delle persone
nei posti di lavoro ha il suo principale compito istituzionale
e la ragion d'essere. Obiettivo che persegue con determinata
volontà di aggiornamento in tutte le sue attività,
dalla ricerca alla redazione di guide, dall'informazione
alla formazione, dall'assistenza alle imprese, ai controlli
di adeguatezza degli impianti e dei luoghi di lavoro, attività questa
che non può non essere svolta che da organismi pubblici.
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