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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
ottobre 2005
 
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LA NUOVA STRATEGIA DI PREVENZIONE
I FONDAMENTI SOCIO CULTURALI
Il processo giusto per garantire l'equilibrio tollerabile tra sviluppo e sicurezza

Giuseppe Mulè
Dirigente Tecnologo - Direttore Dipartimento ISPESL di Brescia
ispesl-bs@ispesl.191.it


Spesso nel linguaggio corrente e, ahimè, quasi sempre nei provvedimenti di attuazione di tutte le direttive comunitarie di settore, dalla direttiva Severo alla 626, alla PED, ecc., i termini pericolo e rischio vengono utilizzati quasi come sinonimi. Ancora più spesso il vocabolo sicurezza viene adoperato in contesti nei quali il termine corretto da usare sarebbe "livello tollerabile di rischio". Questa relativa nonchalance con cui si usano i termini sopra riportati testimonia la difficoltà con cui l'Italia metabolizza la grossa epocale discontinuità in termini culturali, economici, sociali, etici, politici rappresentata dalla differenza concettuale, e in senso stretto, tra pericolo e rischio. In un scenario in cui molti fattori hanno assunto dimensione globale, i due vocaboli indicano in tutto il mondo industrializzato il cambio di strategia rispetto al tema della salvaguardia della vita e della salute della persona nei luoghi di lavoro. Con strategia di prevenzione si indica il processo con cui si intende perseguire l'obiettivo di realizzare un sistema capace di stimolare e utilizzare le proprie risorse, trasformandole in opportunità di sviluppo e, nel contempo, di controllare i pericoli che da quelle realizzazioni possono derivare. Strategia introdotta, legittimata e ormai cristallizzata dalle direttive comunitarie, dai relativi decreti di attuazione, e, infine, dalle norme internazionali. Tale strategia poggia su due idee chiave interdipendenti e complementari oggettivamente universalmente accettate. La prima, di carattere socio economico, secondo la quale la crescita economica e civile di un sistema, la stessa sua stabilità politica, sono legate al suo sviluppo tecnologico e alla capacità di modernizzazione del suo tessuto di ricerca e industriale. Idea che trae origine e legittimazione culturale da molti studi tra i quali meritano essere citati:
- quelli condotti da Robert M. Solow, un professore di economia del MIT che ha ricevuto il premio Nobel per gli studi volti a ricercare i fattori che determinano lo sviluppo economico di un sistema, che individua, nell'avanzamento tecnologico, il suo fattore trainante.
- quelli compiuti da Kenneth Bollen e Robert Jackman sui sistemi democratici meglio funzionanti che dimostrano che lo sviluppo economico di un sistema ha conseguenze significative sulla democrazia politica anche quando si prendono in considerazione fattori non economici. Corollario conseguente è che lo sviluppo tecnologico, i trasferimenti e le realizzazioni industriali sono il fattore primo dello sviluppo economico ed elemento insostituibile di progresso industriale economico civile e sociale. Il progresso tecnologico e industriale è, quindi, irrinunciabile.
La seconda idea chiave è la centralità dell'uomo, la sua sacralità, il non eludibile, non alienabile suo diritto-dovere, almeno per tutta la cultura occidentale, alla vita e alla salvaguardia della salute. La protezione della salute delle persone, la prevenzione degli infortuni, la salvaguardia della vita e dell'ambiente è quindi valore irrinunciabile per tutte le culture, e per quella occidentale in particolare. Su queste due idee portanti si fonda la conclusione che lo sviluppo industriale, fattore primo di crescita economica, deve essere reso possibile, stimolato e favorito, perché foriero di avanzamento economico, civile e sociale, ma, anche controllato in modo da risultare compatibile con il rispetto per la persona umana, con l'esigenza di salvaguardare la sua vita, la sua salute, l’integrità, il benessere psico-fisico.
Queste due esigenze, che nel passato si sono poste spesso come elemento di contrapposizione, hanno registrato nell'ultimo ventennio un continuo processo di compenetrazione. L'equilibrio tra esigenze di sviluppo e salvaguardia della incolumità delle persone deve derivare allora non più da una dialettica tra soggetti antagonisti (la sicurezza non è ostativa al processo industriale) ma da una affermazione della ricerca di condizioni accettabili e tollerabili di sicurezza come principio e cultura che contribuisce allo sviluppo in modo cogenerativo con i processi di modernizzazione.
In questa fase storica del mondo nella quale il sistema di produzione è rimasto senza sistemi alternativi dialetticamente contrapposti, il ruolo della cultura della sicurezza (e del rispetto dell'ambiente) diventa quello di porsi come principio dialettico capace di avviare un processo di modernizzazione continuo, nel solco della tradizione e del sistema occidentale. Questo vuol dire, in buona sostanza, che, se gli sviluppi e i progressi tecnici e le relative realizzazioni introducono elementi di pericolo, essi non devono per questo solo fatto essere banditi. Quei pericoli vanno studiati, messi in rapporto ai possibili incidenti e ai danni che ne possono derivare, e, se possibile eliminati, o, in caso contrario, se i vantaggi derivanti da quelle realizzazioni sono ritenuti irrinunciabili, occorrerà stimare i rischi rappresentati da quei danni ipotizzati e dalla probabilità che questi possano determinarsi e ridurre quei rischi a livelli tollerabili. Il problema da risolvere allora non è quello di determinare condizioni di assenza di pericolo e di sicurezza assoluta e astratta in una società industrializzata, ma quello di individuare condizioni di rischio tollerabile a fronte di vantaggi stimabili. In Europa e in Italia tutto il sistema politico e produttivo ha incorporato questo principio, o se si vuole questa moderna strategia di prevenzione. Il sistema politico lo ha fatto in molti modi e con una serie di provvedimenti il più rappresentativo dei quali penso possa essere la decisione dei capi di governo della Comunità Europea che hanno stabilito, a Lisbona, l'obiettivo di fare di questa Europa, entro questo decennio, l'economia più competitiva e dinamica del mondo attraverso lo sviluppo tecnologico in un contesto di coesione sociale. Le associazioni imprenditoriali hanno sezioni sempre più numerose qualificate e organizzate che si occupano esclusivamente di sicurezza e ambiente. I movimenti e le associazioni sindacali hanno maturato una presenza di pressione argomentata, competente, consapevole. Le conoscenze sono migliorate, i fenomeni si precisano, le legislazioni diventano sempre più chiare, definite, esplicite e dettagliate; i poli tradizionali della ricerca scientifica hanno iniziato e incrementano sempre di più i lavori su ricerche indirizzate a fornire basi e strumenti scientifici alle esigenze di sicurezze; le società di ingegneria e le imprese incorporano prevenzione e sicurezza nelle tecnologie di processo e di produzione di macchine e impianti, le tecniche e i sistemi per la gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro cominciano ad essere compresi e attuati. Questa crescita di cultura della sicurezza ha dunque prodotto significative variazioni in molti campi. In altre situazioni, però, non si sono ancora determinati i necessari aggiornamenti e aggiustamenti. Alcuni dei ritardi che si registrano in Italia sono forse frutto della frattura che spesso si registra nel nostro sistema nel quale le grandi e nobili aspirazioni sono tradotte in intuizioni illuminate, in provvedimenti legislativi generosi che, però, altrettanto spesso sono mediocremente realizzati. Anche in Italia si sono verificati quei processi di incorporazione prima evidenziati ma, sul piano pratico, in vari casi il miglioramento che ne dovrebbe conseguire è ancora in parte da registrare.
In alcuni punti nodali del sistema che deve garantire l'equilibrio tollerabile tra sviluppo e sicurezza, in questi anni non si sono avuti tutti i grandi decisivi avanzamenti che ci si aspettava e molto resta ancora da fare.
Chi scrive pensa che occorra intervenire almeno su questi punti: la mancanza di chiarezza negli obiettivi quadro; i contenuti e gli strumenti della nuova strategia; l'introduzione di procedure e tecniche corrette di studio per l'individuazione dei pericoli, la valutazione dei rischi, la gestione del rischio residuo; la determinazione del significato proprio del concetto di responsabilità almeno in questo ambito; la formazione; la gestione efficace delle informazioni; un rendimento insufficiente della dialettica interna al sistema; la mancanza di chiarezza sulle funzioni di controllo; il rendimento istituzionale insufficiente della Pubblica Amministrazione nelle sue diverse articolazioni.
Dare un contributo decisivo alla soluzione di questi problemi costituisce l'obiettivo specifico dell'I.S.P.E.S.L. che nella salvaguardia della vita e della integrità delle persone nei posti di lavoro ha il suo principale compito istituzionale e la ragion d'essere. Obiettivo che persegue con determinata volontà di aggiornamento in tutte le sue attività, dalla ricerca alla redazione di guide, dall'informazione alla formazione, dall'assistenza alle imprese, ai controlli di adeguatezza degli impianti e dei luoghi di lavoro, attività questa che non può non essere svolta che da organismi pubblici.

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