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  Dicembre 2012

Articoli n° 8
ottobre 2005
 
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A cura dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno - Area Comunicazione

L'EVOLUZIONE DEI DISTRETTI INDUSTRIALI
LE NUOVE PROSPETTIVE DEI POLI PRODUTTIVI
Necessarie più collaborazioni di ricerca anche a livello internazionale

Francesco Saverio Coppola
Direttore dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
segreteria@srmezzogiorno.it

 

ll dibattito sui poli di innovazione, avviatosi con il Consiglio di Bruxelles del 22 marzo 2005, riporta alla ribalta il tema dei "Distretti", la loro definizione e il loro ruolo nell'ambito dello sviluppo economico e produttivo anche alla luce della normativa di Lisbona. L'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che ha di recente pubblicato un'ampia ricerca sulle prospettive dell'industria "Agroalimentare" edita da Guida Editori, ne sta ora predisponendo un’altra più specifica sul tema della competitività dei "Poli Produttivi" in un'ottica non limitata alle sole realtà distrettuali classiche.

Il quadro normativo
Intorno agli anni ‘90, la tematica del distretto si diffonde a livello internazionale incrociandosi con quelle similari della Flexible Specialization (Priore e Sabel, Hirst e Zeitlin 1984-1991), del Milieu Innovateur (Aydalot) e dell'analisi per cluster (Porter 1991). Gli anni '90 segnano anche i primi riconoscimenti normativi; il primo riconoscimento giuridico italiano del distretto industriale si ha con la legge 317/1991. In base all'art. 36, comma 1, il distretto è definito come «un'area territoriale caratterizzata da elevata concentrazione di piccole imprese caratterizzate da una particolare specializzazione produttiva, dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione residente». L'intervento del 1991 affida alle Regioni il compito di individuare i distretti sulla base delle specifiche che sono state poi fornite dal Decreto del Ministero dell'Industria dell'aprile 1993. In tale decreto viene adottata una metodologia puramente quantitativa - fondata sui dati Istat - in merito al grado di specializzazione locale della forza lavoro e della struttura industriale. In questa fase, il legislatore concede alle Regioni l'opportunità di intervenire sul territorio finanziando dei consorzi tramite i Contratti di Programma. Il primo documento economico che riconosce esplicitamente i distretti industriali è la Delibera CIPE del 21/3/97 in base alla quale i distretti possono farsi promotori per i contratti di programma. Un successivo intervento legislativo orientato al finanziamento dei distretti industriali si ha con la 266/97 (legge Bersani). Un ulteriore intervento in materia è rappresentato poi dalla legge 140/99 che mira a semplificare i criteri di individuazione dei distretti. In particolare, questa sostituisce la precedente definizione dei "Sistemi Locali di Lavoro" con i "Sistemi Produttivi Locali". Le caratteristiche del distretto non sono più legate alla piccola impresa e alla manifattura, ma viene evidenziato il ruolo che, all'interno del distretto, svolgono le aziende non industriali e le medie imprese. Per quanto concerne il ruolo di queste ultime all'interno dei distretti, occorre evidenziare l'esistenza di reti "sommerse" di piccole-medie imprese, anche integrate verticalmente e orizzontalmente (secondo una logica di filiera produttiva), spesso non documentabili, afferenti a unici rami "familiari". Tali reti definiscono, di fatto, delle realtà produttive di più ampia dimensione in grado di generare una maggiore competitività del tessuto imprenditoriale che, però, presentano una modesta forza nelle fasi di contrattazione con istituzioni e aziende finanziarie. A seguito della legge 140/99, le Regioni hanno definito i criteri comuni per l'individuazione dei Distretti e dei sistemi produttivi locali. Al 1° settembre 2004 le Regioni che hanno individuato i distretti sono 12 di cui 8 risiedono nel Centro-Nord (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Marche e Lazio) e 4 nel Sud (Abruzzo, Campania, Basilicata e Sardegna). Nel tempo, quindi il processo legislativo ha portato a una progressiva delega alle Regioni della gestione di interventi di politica industriale dei distretti. Il quadro legislativo, si è esclusivamente focalizzato, negli anni passati, sui criteri di identificazione geografica dei distretti stessi. Tali criteri risultano incentrati su dati statistici di insediamento e specializzazione produttiva della piccola e media impresa, mancando qualsiasi riferimento normativo al ruolo della filiera produttiva integrata e alla valorizzazione delle specifiche competenze sul territorio. Tale delega conferisce alle Regioni il potere di "regolamentare" i distretti e conseguentemente, attraverso le politiche di incentivazione, attribuisce alle stesse gli strumenti per la determinazione degli obiettivi di intervento economico. Soprattutto nella prima fase di azione, però, non vi è stata sufficiente chiarezza di indirizzo in merito alla modalità di gestione operativa dei distretti. La mancanza di un effettivo modello di governance - cui si è talvolta accompagnata l'assenza di strategia - è stata solo occasionalmente compensata da attività intraprese a livello di singole Regioni. Il coordinamento di interessi tra le aziende è stato demandato al "Comitato di Distretto". Estendendo il concetto di "diritto delle minoranze", potremmo dire che il potere delle minoranze che operano all'interno del distretto non è stato disciplinato e, di fatto, le numerose piccole aziende sono scarsamente rappresentate all'interno dei distretti. La normativa ha però attribuito ai "consorzi di impresa" - eventualmente presenti all'interno del distretto - facoltà di accedere ai finanziamenti concessi dal "Comitato di Distretto", ne consegue, quindi un'implicita indicazione sulla tipologia di forma associativa adottabile, ma non un esplicito intervento normativo.

Alcune iniziative innovative
Alcune regioni italiane stanno tentando di realizzare nel distretto economie di "network" di impresa sulla spinta di quanto avviene nelle zone del mondo più innovative e competitive (quali ad es. il distretto tecnologico di Yamacraw in Georgia, Sophia-Antinopolis nel Sud della Francia, e Cambridge in Inghilterra). É il caso del Friuli Venezia Giulia che, con la legge 108 del 16 febbraio 2005, sostituisce ai "Comitati di Distretto" le "Agenzie per lo sviluppo dei distretti industriali" dotate di personalità giuridica con la funzione di "motore reale" della politica di distretto. Tra le esperienze pilota va inoltre ricordata la scelta della Lombardia di affiancare, al distretto tradizionale, il Meta-distretto e quella dell'Emilia Romagna di non definire in maniera "geograficamente vincolante i distretti". Si tratta però di sporadiche iniziative locali che non rientrano in una logica più generale di programmazione che, se validamente posta in essere, avrebbe potuto fornire un significativo impulso ai poli produttivi italiani. Tali innovazioni di policy rappresentano, quindi, delle esperienze isolate. Inoltre le politiche di incentivazione sinora adottate (quali ad es. la l. 488/92) - sebbene abbiano previsto punteggi speciali per le imprese operanti nel distretto - non hanno però fornito impulso alla creazione di sinergie e di promozione dell'attività di ricerca e sviluppo.

Conclusioni
Sicuramente i distretti hanno rappresentato e rappresentano una potenzialità del territorio ma, ad oggi, la dimensione media delle attività industriali è ancora fortemente sbilanciata a favore della piccola e piccolissima impresa, mentre scarso ruolo è stato riservato alle medie-imprese pilota. Ciò è tanto più vero nei settori tradizionali che caratterizzano le produzioni meridionali. Occorre inoltre rendere più evidente che, soprattutto nel Mezzogiorno, la struttura aziendale delle imprese è ben più complessa di quanto si pensi e che le aziende operano spesso a rete integrata "sommersa". I nuovi scenari economici modificano gli equilibri interni al distretto, e le strategie di policy delle medie grandi imprese puntano, non supportate all'interno del Paese, a delocalizzare. Tale fenomeno assume nel caso dell'esistenza di reti sommerse un rilievo ancora più preoccupante perché la media impresa trova satelliti, non nel territorio di origine, ma "all'estero". Le politiche regionali - benchè attraverso l'impiego di vari strumenti quali PIT e POR siano intervenuti sulla materia - dovrebbero maggiormente puntare a generare un processo di coesione interna e prevedere azioni per incentivare gli agenti coinvolti a instaurare collaborazioni di ricerca a livello non solo intra-distrettuale, ma anche internazionale.

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