A
cura dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno - Area Comunicazione
L'EVOLUZIONE DEI DISTRETTI INDUSTRIALI
LE NUOVE PROSPETTIVE DEI POLI PRODUTTIVI
Necessarie più collaborazioni
di ricerca anche a livello internazionale
Francesco Saverio Coppola
Direttore dell'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
segreteria@srmezzogiorno.it
ll dibattito sui poli di innovazione, avviatosi
con il Consiglio di Bruxelles del 22 marzo 2005, riporta alla ribalta il
tema dei "Distretti", la loro definizione e il loro ruolo nell'ambito
dello sviluppo economico e produttivo anche alla luce della normativa di
Lisbona. L'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che ha di
recente pubblicato un'ampia ricerca sulle prospettive dell'industria "Agroalimentare" edita
da Guida Editori, ne sta ora predisponendo un’altra più specifica
sul tema della competitività dei "Poli Produttivi" in
un'ottica non limitata alle sole realtà distrettuali classiche.
Il quadro normativo
Intorno agli anni ‘90, la tematica del distretto si diffonde a livello
internazionale incrociandosi con quelle similari della Flexible Specialization
(Priore e Sabel, Hirst e Zeitlin 1984-1991), del Milieu Innovateur (Aydalot)
e dell'analisi per cluster (Porter 1991). Gli anni '90 segnano anche i
primi riconoscimenti normativi; il primo riconoscimento giuridico italiano
del distretto industriale si ha con la legge 317/1991. In base all'art.
36, comma 1, il distretto è definito come «un'area territoriale
caratterizzata da elevata concentrazione di piccole imprese caratterizzate
da una particolare specializzazione produttiva, dove esiste un particolare
rapporto tra presenza di imprese e popolazione residente». L'intervento
del 1991 affida alle Regioni il compito di individuare i distretti sulla
base delle specifiche che sono state poi fornite dal Decreto del Ministero
dell'Industria dell'aprile 1993. In tale decreto viene adottata una metodologia
puramente quantitativa - fondata sui dati Istat - in merito al grado di
specializzazione locale della forza lavoro e della struttura industriale.
In questa fase, il legislatore concede alle Regioni l'opportunità di
intervenire sul territorio finanziando dei consorzi tramite i Contratti
di Programma. Il primo documento economico che riconosce esplicitamente
i distretti industriali è la Delibera CIPE del 21/3/97 in base alla
quale i distretti possono farsi promotori per i contratti di programma.
Un successivo intervento legislativo orientato al finanziamento dei distretti
industriali si ha con la 266/97 (legge Bersani). Un ulteriore intervento
in materia è rappresentato poi dalla legge 140/99 che mira a semplificare
i criteri di individuazione dei distretti. In particolare, questa sostituisce
la precedente definizione dei "Sistemi Locali di Lavoro" con
i "Sistemi Produttivi Locali". Le caratteristiche del distretto
non sono più legate alla piccola impresa e alla manifattura, ma
viene evidenziato il ruolo che, all'interno del distretto, svolgono le
aziende non industriali e le medie imprese. Per quanto concerne il ruolo
di queste ultime all'interno dei distretti, occorre evidenziare l'esistenza
di reti "sommerse" di piccole-medie imprese, anche integrate
verticalmente e orizzontalmente (secondo una logica di filiera produttiva),
spesso non documentabili, afferenti a unici rami "familiari".
Tali reti definiscono, di fatto, delle realtà produttive di più ampia
dimensione in grado di generare una maggiore competitività del tessuto
imprenditoriale che, però, presentano una modesta forza nelle fasi
di contrattazione con istituzioni e aziende finanziarie. A seguito della
legge 140/99, le Regioni hanno definito i criteri comuni per l'individuazione
dei Distretti e dei sistemi produttivi locali. Al 1° settembre 2004
le Regioni che hanno individuato i distretti sono 12 di cui 8 risiedono
nel Centro-Nord (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana,
Marche e Lazio) e 4 nel Sud (Abruzzo, Campania, Basilicata e Sardegna).
Nel tempo, quindi il processo legislativo ha portato a una progressiva
delega alle Regioni della gestione di interventi di politica industriale
dei distretti. Il quadro legislativo, si è esclusivamente focalizzato,
negli anni passati, sui criteri di identificazione geografica dei distretti
stessi. Tali criteri risultano incentrati su dati statistici di insediamento
e specializzazione produttiva della piccola e media impresa, mancando qualsiasi
riferimento normativo al ruolo della filiera produttiva integrata e alla
valorizzazione delle specifiche competenze sul territorio. Tale delega
conferisce alle Regioni il potere di "regolamentare" i distretti
e conseguentemente, attraverso le politiche di incentivazione, attribuisce
alle stesse gli strumenti per la determinazione degli obiettivi di intervento
economico. Soprattutto nella prima fase di azione, però, non vi è stata
sufficiente chiarezza di indirizzo in merito alla modalità di gestione
operativa dei distretti. La mancanza di un effettivo modello di governance
- cui si è talvolta accompagnata l'assenza di strategia - è stata
solo occasionalmente compensata da attività intraprese a livello
di singole Regioni. Il coordinamento di interessi tra le aziende è stato
demandato al "Comitato di Distretto". Estendendo il concetto
di "diritto delle minoranze", potremmo dire che il potere delle
minoranze che operano all'interno del distretto non è stato disciplinato
e, di fatto, le numerose piccole aziende sono scarsamente rappresentate
all'interno dei distretti. La normativa ha però attribuito ai "consorzi
di impresa" - eventualmente presenti all'interno del distretto - facoltà di
accedere ai finanziamenti concessi dal "Comitato di Distretto",
ne consegue, quindi un'implicita indicazione sulla tipologia di forma associativa
adottabile, ma non un esplicito intervento normativo.
Alcune iniziative innovative
Alcune regioni italiane stanno tentando di realizzare nel distretto
economie di "network" di impresa sulla spinta di quanto avviene
nelle zone del mondo più innovative e competitive (quali ad es.
il distretto tecnologico di Yamacraw in Georgia, Sophia-Antinopolis nel
Sud della Francia, e Cambridge in Inghilterra). É il caso del Friuli
Venezia Giulia che, con la legge 108 del 16 febbraio 2005, sostituisce
ai "Comitati di Distretto" le "Agenzie per lo sviluppo dei
distretti industriali" dotate di personalità giuridica con
la funzione di "motore reale" della politica di distretto. Tra
le esperienze pilota va inoltre ricordata la scelta della Lombardia di
affiancare, al distretto tradizionale, il Meta-distretto e quella dell'Emilia
Romagna di non definire in maniera "geograficamente vincolante i distretti".
Si tratta però di sporadiche iniziative locali che non rientrano
in una logica più generale di programmazione che, se validamente
posta in essere, avrebbe potuto fornire un significativo impulso ai poli
produttivi italiani. Tali innovazioni di policy rappresentano, quindi,
delle esperienze isolate. Inoltre le politiche di incentivazione sinora
adottate (quali ad es. la l. 488/92) - sebbene abbiano previsto punteggi
speciali per le imprese operanti nel distretto - non hanno però fornito
impulso alla creazione di sinergie e di promozione dell'attività di
ricerca e sviluppo.
Conclusioni
Sicuramente i distretti hanno rappresentato e rappresentano una potenzialità del
territorio ma, ad oggi, la dimensione media delle attività industriali è ancora
fortemente sbilanciata a favore della piccola e piccolissima impresa, mentre
scarso ruolo è stato riservato alle medie-imprese pilota. Ciò è tanto
più vero nei settori tradizionali che caratterizzano le produzioni
meridionali. Occorre inoltre rendere più evidente che, soprattutto
nel Mezzogiorno, la struttura aziendale delle imprese è ben più complessa
di quanto si pensi e che le aziende operano spesso a rete integrata "sommersa".
I nuovi scenari economici modificano gli equilibri interni al distretto,
e le strategie di policy delle medie grandi imprese puntano, non supportate
all'interno del Paese, a delocalizzare. Tale fenomeno assume nel caso dell'esistenza
di reti sommerse un rilievo ancora più preoccupante perché la
media impresa trova satelliti, non nel territorio di origine, ma "all'estero".
Le politiche regionali - benchè attraverso l'impiego di vari strumenti
quali PIT e POR siano intervenuti sulla materia - dovrebbero maggiormente
puntare a generare un processo di coesione interna e prevedere azioni per
incentivare gli agenti coinvolti a instaurare collaborazioni di ricerca
a livello non solo intra-distrettuale, ma anche internazionale.
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