L'AFRICA DOPO GLENEAGLES
AZIONI PER LA RINASCITA DEL CONTINENTE
Pace, sicurezza e buon governo,
le precondizioni per lo sviluppo
Alberto
Michelini
Rappresentante Personale del Presidente del Consiglio per l'Africa
alberto.michelini@tin.it
L'Africa ce la farà, nonostante il G8 e nonostante noi stessi»,
dice sorridendo uno degli otto Capi di Stato e di Governo del Continente
nel salutarmi al termine dell'incontro con i colleghi dell'Occidente
alla fine della mattina dell'8 luglio. Il Vertice di Gleneagles,
in Scozia, presieduto da Tony Blair e funestato dagli attentati di
Londra, è dedicato
all'Africa e ai cambiamenti ambientali. L'affermazione apparentemente
paradossale del leader africano è sintomo delle difficoltà e
nello stesso tempo delle speranze in una rinascita dell'Africa. Il
Primo Ministro britannico ha voluto che il suo G8 riuscisse a imprimere
una svolta nella soluzione dei problemi che affliggono il Continente.
A tale scopo ha anche istituito nel 2004 una Commissione da lui presieduta
che ha prodotto un Rapporto presentato a Gleneagles assieme al secondo
Rapporto di Implementazione che noi APR (African Personal Representatives)
abbiamo preparato sul Piano di Azione. Con il Summit in Scozia è la
quinta volta che l'Africa è al
tavolo del G8. A Genova, nel 2001, quattro Capi di Stato africani
avevano chiesto ai Grandi, a nome del Continente, di essere aiutati
a fare da sé.
La risposta era stata un Piano di Azione e il Fondo Globale per la
salute contro l'Aids, la Malaria e la Tubercolosi. A Kananaskis,
nel G8 a presidenza canadese del 2002, con la partecipazione dei
cinque Capi di Stato e di Governo dello Steering Committee della
Nepad (New Partnership for African Development), viene solennemente
approvato il Piano predisposto dai Rappresentanti Personali. A Evian,
con la presidenza francese, viene presentato il primo Rapporto di
Attuazione del Piano. Al Vertice a presidenza americana di Sea Island,
l'anno successivo, partecipano sette leader africani. Blair punta
su Gleneagles per il rilancio e ottiene dai suoi colleghi l'impegno
per 25 miliardi di dollari all'anno per l'Africa dal 2010 e la cancellazione
del debito multilaterale. Quanto all'aiuto pubblico (ODA) si tratta
della decisione già presa
dai Paesi sviluppati a Monterrey nel 2002. Quanto al debito, le decisione
deve essere resa operativa dai tre Istituti finanziari multilaterali:
Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Banca Africana di
Sviluppo. Al di là dei
due importanti obiettivi, peraltro scontati, e al di là del volenteroso
impegno di Bono e di Bob Geldof, gli interrogativi sono altri e sono
emersi dal dibattito, vivace e amichevole, tra gli otto Grandi più Barroso
e Wolfowitz e i leader africani: Bouteflika, Kufour, Mbeki, Mkapa,
Obasanjo, Wade, Zenawi, più il
Presidente dell'Unione Africana, Konarè. L'Aiuto Pubblico basta
da solo a imprimere un autentico sviluppo all'Africa? Evidentemente
no, come ha dimostrato la storia degli ultimi 40 anni. É necessario
mettere in condizione il Continente di inserirsi nel circolo del
commercio mondiale. É stato calcolato che soltanto un aumento dell'1%
della partecipazione dell'Africa al commercio globale produrrebbe
un reddito annuale sette volte maggiore di quanto oggi riceva in
aiuti. Buona parte della discussione è ruotata attorno al tema del
Commercio, che va al cuore della attuale crisi africana, con continui
riferimenti al Doha Round di Hong Kong di dicembre, dove tutti sperano
che vengano ridimensionati i sussidi che Europa e Stati Uniti elargiscono
all'agricoltura e al cotone, e vengano ridotti i dazi. Misure che
potrebbero fruttare ai Paesi in via di sviluppo un reddito annuale
aggiuntivo di 300 miliardi di dollari! Al Primo Ministro di Addis
Abeba, Meles Zenawi, che parlava di eliminazione delle barriere tra
Africa e Occidente, Bush opponeva, in qualche modo giustamente, l'eliminazione
delle barriere interafricane. A fronte delle preoccupazioni del G8
sull'uso degli aiuti, Wade, come l'anno precedente a Sea Island,
diceva: «Tenetevi
i soldi ma dateci le imprese per le infrastrutture».
E i più hanno insistito sull'investimento privato come chiave dello
sviluppo. Il fatto è che da cinque anni si continua a girare attorno
al vero problema - quello di mettere in grado l'Africa di beneficiare
di un libero ed equo commercio - senza affrontarne concretamente
gli aspetti cruciali. Prendiamo l'esempio del cotone, avanzato nel
Summit americano del 2004 dal Presidente ugandese, Museveni. «A causa
dei sussidi, diceva Museveni, il nostro cotone vale poco o niente.
Dobbiamo invece lavorarlo nei nostri Paesi produttori: trarne il
filo, poi il tessuto e quindi il confezionato. Così varrà dieci
volte di più.
Insomma, si tratta di creare valore aggiunto sul posto». Museveni
aveva ragione. Ma in più è necessario prevedere l'accesso
ai nostri mercati dei loro prodotti. Bisogna dare formazione professionale
ai giovani africani, dare stabilità al settore bancario e a quello
dei servizi con un quadro di regole certo per gli investimenti, rafforzare
il sistema giudiziario contro la criminalità e la corruzione, creare
un'adeguata rete di trasporti. Per non parlare della pace e della
sicurezza e del buon governo, tutte precondizioni per lo sviluppo.
Di tutto questo sono ben consapevoli quei leader africani impegnati
ad attuare la NEPAD, il processo politico da loro deciso, occasione
storica per l'Africa che sta andando avanti nonostante le inevitabili
difficoltà e
il silenzio dei media, interessati più alle
disgrazie che ai progressi del Continente. E i progressi ci sono:
negli ultimi cinque anni più dei due terzi dei Paesi dell'Africa
sub-sahariana ha tenuto elezioni democratiche. Sono imminenti quelle
in Paesi "difficili" come
la Liberia, la Repubblica democratica del Congo e l'Angola. L'inflazione è a
un quinto rispetto a dieci anni fa, mentre la crescita in 16 Paesi
africani è oltre
il 4%. Ventiquattro Paesi hanno firmato un accordo per la "verifica
tra pari" sui progressi raggiunti. La promozione del buon governo,
della pace, della sicurezza e dello sviluppo economico è la priorità dell'Unione
Africana, della NEPAD e di una nuova classe dirigente africana. Si
tratta di coordinare meglio gli aiuti dei donatori, ha detto il Presidente
della World Bank, Wolfowitz, mentre il Presidente uscente della Tanzania,
Mkapa, ha risposto che solo il 20% degli aiuti arriva ai beneficiari.
C'è dunque
un problema nel campo dell'aiuto allo sviluppo, ci sono responsabilità di
chi dona e di chi riceve, ma la vera soluzione passa attraverso la
formazione dei giovani africani e lo sviluppo del settore privato,
con l'esigenza di coinvolgere la società africana e di far crescere
una coscienza civica e il senso di appartenenza di un'intera generazione
del Continente. E un processo già in corso.
Per questo il Leader africano poteva commentare che l'Africa ce la
farà, nonostante tutto.
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