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  Dicembre 2012

Articoli n° 4
MAGGIO 2005
 
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LA COMPETITIVITÀ A PIÙ DIMENSIONI
TUTELARE GLI INTERESSI NAZIONALI

I NUOVI TREND DELL'INDUSTRIA ALIMENTARE
MADE IN ITALY VUOL DIRE FIDUCIA

I NUOVI TREND DELL'INDUSTRIA ALIMENTARE
MADE IN ITALY VUOL DIRE FIDUCIA
Valorizzare i prodotti tipici e i cibi bio per essere naturalmente inimitabili

di Vito Salerno & Gaia Sigismondi

Luigi Rossi di Montelera
Presidente Federalimentare

Proseguiamo il nostro ciclo di interviste con i rappresentanti delle principali Fede-razioni di Categoria, concentrando l’attenzione, in questo numero del magazine, sulle tematiche legate all’industria alimentare italiana. Luigi Rossi di Montelera, Presidente di Federalimentate, ne descrive la condizione attuale, delineando i possibili scenari.

Il 2004 è stato un anno difficile per l'economia del Paese. In che modo l'industria alimentare italiana ha affrontato la congiuntura economica?
L'industria alimentare italiana, con un fatturato complessivo di 105 miliardi di euro, si è confermata anche per il 2004 il secondo settore manifatturiero del Paese dopo quello metalmeccanico, nonostante la sfavorevole congiuntura nazionale e internazionale. Ma è stato un anno difficile anche per il nostro settore. Abbiamo assistito, per esempio, a un incremento della produzione del tutto marginale (+0,5%), che diventa un -0,2% nel confronto a parità di giornate lavorative. Un dato negativo che la produzione alimentare non registrava dal 1984 e che rappresenta un indicatore allarmante della congiuntura del Paese, essendo legato alla contrazione di consumi tradizionalmente rigidi, come quelli alimentari (-2%). Infine, mentre i prezzi alla produzione del settore hanno segnato a fine 2004 un calo dell'1,1% al netto dell'inflazione, i prezzi al consumo hanno registrato in parallelo un aumento del +1,2%, altro segnale che dimostra il forte raffreddamento in atto nel settore in questo particolare momento economico. Ma a fronte di questi dati congiunturali, vanno sottolineati due aspetti strutturali che, se non corretti, rischiano di impedire un effettivo rilancio del settore: la polverizzazione produttiva e una visione spesso troppo settoriale della filiera.


Cominciamo dalla piccola dimensione d'impresa, un tratto caratteristico dell'industria alimentare italiana, soprattutto al Sud. Come può essere affrontato?
L'eccessiva frammentarietà dell’ industria alimentare, il cui tessuto è costituito da circa 7.000 aziende per 264.000 dipendenti - con una percentuale di piccole e medie imprese del 90% - è un limite che deve essere superato puntando innanzitutto all'incremento della dimensione aziendale, anche attraverso forme consortili che non sacrifichino la proprietà familiare, ma creino così i presupposti materiali per un effettivo sviluppo di ricerca, innovazione e promozione dei marchi. Solo in questo modo le nostre imprese potranno sfondare sui mercati esteri in modo proporzionale alla grandissima immagine di cui gode nel mondo il "food and drink" italiano. L'industria alimentare italiana, che ha proprio nell'export le sue maggiori potenzialità, ha esportato nel 2004 il 15% del proprio fatturato: un dato interessante rispetto all'anno precedente (+5,8%), ma ancora inadeguato rispetto alle nostre potenzialità se confrontato con il 18% della media comunitaria e il 22% del "food and drink" francese. Ma oggi, accanto alla dimensione d'impresa, per affrontare adeguatamente le sfide che il mercato globalizzato pone è fondamentale, innanzitutto, superare le diffidenze e i contrasti tra i vari attori della filiera.

In che modo i rapporti di filiera incidono sulla competitività del settore?
Lo sviluppo della competitività del comparto agroalimentare richiede l'impegno congiunto di tutte le componenti della filiera, tra loro strettamente connesse e interdipendenti. Un legame importante, dimostrato, per esempio, dal fatto che l'industria alimentare italiana da sola trasforma ben il 70% delle materie prime nazionali. Ma troppo spesso all'interno della filiera sono emerse visioni settoriali, che hanno alimentato negli anni passati l'illusione di poter "scaricare" sugli altri segmenti costi e inefficienze. In realtà solo una visione strategico-unitaria di tutta la filiera può permettere uno sviluppo significativo. Basti pensare a come la mancanza di proiezione "esportativa" della grande distribuzione italiana penalizzi fortemente l'intero settore. L'assenza di una "spinta" oltre frontiera della GDO nazionale frena enormemente i nostri prodotti, rispetto a quelli della stessa concorrenza comunitaria, che si può appoggiare a forti presidi della propria distribuzione anche sui nuovi, grandi mercati in espansione. Un paradosso, se si pensa che le principali potenzialità del Made in Italy agroalimentare risiedono proprio nelle sue proiezioni esportative.

Abbiamo parlato di Made in Italy alimentare. Cosa ne determina il successo nel mondo?
Il Made in Italy si è affermato nella storia del nostro Paese grazie alla straordinaria capacità dei nostri imprenditori di selezionare e miscelare sa-pientemente materie prime, nazionali ed estere, lavorandole secondo ricette e tecnologie originali (che hanno fatto tesoro delle ricchissime tradizioni locali radicate nel territorio della nostra comunità nazionale) e garantendole con l'affidabilità del proprio marchio. Ciò è rappresentato sia dai prodotti la cui competitività deriva dalla capacità di affermazione dei marchi, dalla qualità dei prodotti e dal legame con la storia e l'immagine dell'Italia, sia dai prodotti cosiddetti tipici, a denominazione di origine, ove si fondono qualità, tradizione, legame con la storia e il territorio, che rappresentano quasi il 10% dell'intera produzione industriale. L'industria alimentare è, inoltre, impegnata in attività di ricerca e innovazione, che garantiscono agli italiani - consumatori sempre più consapevoli - di avere alimenti che coniugano gusto, rapporto qualità/prezzo ed elevati standard nutrizionali, in piena sicurezza. La tutela del Made in Italy alimentare è uno degli aspetti strategici per restituire competitività al settore. Ma per avviare sui mercati internazionali iniziative di promozione del Made in Italy agroalimentare è necessario il coordinamento dei tanti soggetti, istituzionali e non, che oggi operano nel mondo con iniziative che troppo spesso non sono in grado di determinare quella massa critica necessaria per imporsi in un mercato sempre più aperto e competitivo. Un'azione di promozione efficace non può, naturalmente, essere disgiunta da una decisa azione di tutela della nostra produzione, sia sul piano regolativo nelle sedi istituzionali internazionali, sia nella lotta alla contraffazione.

Quello della contraffazione è uno dei grossi problemi del Made in Italy del Paese. In che misura viene colpito anche il settore agroalimentare?
Nel settore alimentare la contraffazione si sviluppa su due fronti diversi: da una parte attraverso la falsificazione illegale delle denominazioni protette e dei marchi aziendali, dall'altra attraverso le imitazioni, che riportano in etichetta riferimenti ingannevoli al nostro Paese, a sue specifiche aree geografiche o a nomi e simboli riconducibili a prodotti italiani, il cosiddetto "Italian sounding". Nel 2004, secondo Federalimentare (v. grafico), il mercato della contraffazione illegale del cibo e del vino italiani ha toccato nel mondo i 2,6 miliardi di euro. Mentre il mercato più genericamente imitativo ha raggiunto i 52,6 miliardi di euro. Aggiungo che, se si ipotizza una crescita del mercato dell'agropirateria di almeno il 20% annuo, tra soli tre anni questi valori lieviteranno a 5,4 miliardi di euro per le contraffazioni illegali, e a ben 110 miliardi di euro per i prodotti imitativi. É una quota pari all'intera produzione nazionale, tale da mettere in seria difficoltà un settore che già ora soffre pesantemente questa concorrenza sleale sui principali mercati esteri.

Come si inserisce l'evento fieristico di Cibus Med organizzato in questi giorni a Bari, da Federalimentare e da Fiere di Parma, nelle strategie di promozione dei prodotti alimentari italiani?
L'appuntamento di CIBUS - nelle sue diverse declinazioni, il CIBUS di Parma o il CIBUS MED di Bari - è una tappa fondamentale per la valorizzazione e la promozione del Made in Italy alimentare. L'agroali-mentare italiano è, infatti, ancora lontano dal realizzare compiutamente le sue formidabili potenzialità, nonostante la ricchezza di offerta, l'alta qualità dei prodotti e la forza di immagine sul mercato globale. In questo contesto, l'appuntamento di CIBUS MED può giocare una parte importante, dando nuovi impulsi all'interscambio e alla collaborazione in campo agroalimentare con l'area mediterranea. Proprio il Mediterraneo ha rappresentato negli ultimi dieci anni l'area più dinamica insieme all'Europa centro-orientale, in termini di export e di investimenti italiani. Diversi sono i fattori che inducono il nostro Paese a guardare sempre più verso i Paesi del Mediterraneo: la crescita di questi mercati; l'integrazione di quest'area con l'Unione europea fissata dal Processo di Barcellona, che prevede la creazione, entro il 2010, di un unico grande e libero mercato del Mediterraneo; la stabilizzazione macro-economica perseguita da alcuni Governi di quest'area; la liberalizzazione progressiva degli scambi e l'avvio di politiche di attrazione degli investimenti esteri. In questo contesto l'industria alimentare italiana intende lanciare la propria sfida: fare del Mediterraneo una delle aree di maggiore crescita per le nostre esportazioni.
Abbiamo parlato di aggregazione d'impresa, di visone unitaria di filiera, di tutela e promozione del Made in Italy. Ma il successo dell'industria alimentare si fonda sul rapporto di fiducia con il consumatore.
Certamente. Il presupposto su cui si basa la credibilità e la forza dell'industria alimentare è proprio il rapporto di fiducia con il consumatore. Si tratta di un punto decisivo per le tutte le imprese agroalimentari, che hanno fatto della sicurezza e della qualità i cardini essenziali della loro azione. Basti pensare che oltre il 2% del fatturato industriale viene impegnato solo per le attività di controllo della sicurezza alimentare e degli standards di qualità dei prodotti. Ma la qualità deve essere comunicata e l'etichettatura rappresenta, senza dubbio, uno strumento essenziale per garantire la più completa e corretta informazione. Va, tuttavia, abbandonata una volta per tutte l'idea che essa debba prevedere obbligatoriamente per tutti i prodotti alimentari anche l'indicazione dell'origine delle materie prime utilizzate. Essa è determinante per quei prodotti, già ampiamente tutelati, che fanno del legame al territorio e alle sue materie prime elemento distintivo della propria identità. Accanto a questi ci sono però anche altri prodotti, con un peso molto rilevante, che si sono affermati nel mondo grazie alla straordinaria sintesi della cultura e delle tradizioni del nostro Paese con la forza del loro marchio, che in alcuni casi trasformano materie prime inesistenti nel nostro Paese o insufficienti per quantità o qualità.

Quali sono i punti chiave da considerare a garanzia della sicurezza degli alimenti?
La sicurezza dei prodotti è un pre-requisito dell'attività delle imprese alimentari. E proprio per questa ragione le aziende effettuano significativi investimenti in ricerca, tecnologia e controlli di materie prime e prodotto finito, applicando una legislazione tra le più stringenti in Europa e favorendo i controlli delle pubbliche autorità con piena responsabilità e correttezza. Nell'ambito dell'attività di autocontrollo della nostra industria alimentare sono effettuate ogni anno oltre un miliardo di analisi interne, con una spesa per attività di controllo "qualità e sicurezza" di ben 1.650 milioni di euro: una somma pari all'1,6% del fatturato totale del settore. Senza dimenticare le 720.000 visite ispettive pubbliche, con costi stimati in 302 milioni di euro (0,3% del fatturato) e le attività di verifica permanenti da parte di veterinari pubblici, istituti zooprofilattici, guardia di finanza, dogane, repressioni frodi, ASL, ecc.. Ovviamente, per garantire la sicurezza degli alimenti, è necessario considerare l'intera catena della produzione alimentare, a partire da quella primaria, responsabilizzando tutti i soggetti coinvolti nella filiera. A questo proposito l'industria italiana è all'avanguardia, visto che da anni applica il principio della rintracciabilità, diventato obbligatorio per tutti dal primo gennaio 2005. A partire da tale data, infatti, gli operatori del food and drink devono disporre di sistemi e procedure per individuare sia la fonte di approvvigionamento delle materie prime, sia le imprese alle quali hanno fornito i loro prodotti. Tutte queste informazioni devono essere messe a disposizione delle autorità competenti che le richiedano in caso di necessità. Per individuare i contenuti essenziali delle procedure aziendali che devono essere attuate ai sensi della nuova normativa europea, Federali-mentare ha realizzato le "Linee guida per la rintracciabilità dei prodotti alimentari" (cui sono peraltro seguite anche quelle sulla tracciabilità ed etichettatura degli organismi geneticamente modificati, quelle per la gestione delle non-conformità e quella sugli allergeni) a conferma dell'impegno per una informazione sempre più trasparente a tutela del consumatore.

Accanto alla sicurezza, l'industria alimentare basa il suo successo soprattutto sull'elevata qualità dei propri prodotti. Cosa si intende per qualità?
Impegno e vanto di tutta l'industria alimentare in Italia, la qualità dei nostri prodotti è il frutto di criteri di selezione delle materie prime, ricette tradizionali e originali, metodi di lavorazione e controllo sempre più innovativi, sistemi di confezionamento e di distribuzione. Gli elevati standard qualitativi vengono continuamente innalzati dall'importante attività di ricerca di base e innovazione sui prodotti e sui processi. Inoltre, alla qualità si possono ricollegare le strategie commerciali di promozione dei Marchi volti a identificare le aziende con la bontà e l'eccellenza delle produzioni. Nume-rose sono, infatti, le famiglie e le persone che hanno messo il proprio nome come garanzia per i consumatori. La marca, quindi, è diventata sempre più sinonimo di prodotto di qualità. Non solo per gli italiani che spesso scelgono un alimento proprio in base alla marca. Ma anche per i nostri ospiti, finendo per arricchire ulteriormente la nostra positiva immagine e il prestigio all'estero.

Quali sono i nuovi trend dell'industria alimentare?
L'industria alimentare è co-stantemente impegnata a ri-spondere alle esigenze dei consumatori allargando la propria offerta e fornendo prodotti adatti alle più diverse necessità nutrizionali, come anche alle differenti occasioni di consumo. Da una recente indagine di Federalimentare, che ha analizzato per la prima volta i diversi segmenti della sua produzione, è emerso che nel 2004 accanto ai prodotti "tradizionali" (che coprono il 65% della produzione totale del settore) si stanno affermando i prodotti "innovativi" e il cosiddetto "tradizionale evoluto" (25% della produzione). Si tratta di prodotti ad alto valore aggiunto che si stanno evolvendo verso nuove proposte, di confezionamento, di servizio, di caratterizzazione. Alcu-ne nostre aziende sono impegnate anche nella valorizzazione del biologico (circa l'1% del fatturato) e soprattutto in quella dei prodotti tipici, che rappresentano una fetta importante della nostra produzione (9%) e coprono ben il 20% delle nostre esportazioni.

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