ATTRARRE INVESTIMENTI AL SUD
UN DOCUMENTO PER IL MEZZOGIORNO
Intelligenza Artificiale
Tra mito e realtÀ
ATTRARRE INVESTIMENTI AL SUD
UN DOCUMENTO PER IL MEZZOGIORNO
Riflessioni e considerazioni sull’elaborato sottoscritto da Confindustria e sindacati
Roberto Salerno
Presidente Piccola Industria - Confindustria Benevento
p.industria@unionebn.it
Progetto Mezzogiorno è il titolo di un documento sottoscritto da Confindustria, dai sindacati e dalle maggiori organizzazioni imprenditoriali Acli, Cia, Coldiretti, Confcommercio, Lega Coop. e altre. Si tratta di un elaborato che si aggiunge a tutti gli altri che negli anni hanno interessato le aree meridionali del nostro Paese. Come in casi analoghi, esso è carico di suggerimenti e obiettivi, tesi a garantire la promozione di iniziative economiche, a contrastare il lavoro nero, a individuare le proposte condivisibili fra mondo imprenditoriale e sindacale. Il suddetto documento si è reso necessario in considerazione del fatto che, nonostante la crescita degli ultimi anni, le regioni meridionali non hanno effettivamente valorizzato le risorse del territorio nè prodotto quello slancio di attività necessarie per eliminare il gap che divide l'Italia in aree sviluppate e zone poco competitive.
Il “Progetto Mezzogiorno” evidenzia alcune criticità:
- lo scarso utilizzo delle produzioni tipiche (in particolare verso l'export);
- la fuga del capitale umano;
- la scarsa valorizzazione del bacino del Mediterraneo;
- l'eccessiva burocratizzazione delle procedure che rende sempre più difficile l'utilizzo e la valorizzazione delle aree per lo sviluppo industriale e quelle di alta qualità turistica.
Vengono individuate, inoltre, le condizioni determinanti per attrarre investimenti e per consolidare il preesistente, oltre che per valorizzare specificità culturali, ambientali e produttive. Queste si possono riassumere in:
- fiscalità di vantaggio per le aree meridionali;
- nuovo rapporto tra banche e imprese;
- sviluppo della ricerca e dell'innovazione;
- individuazione e applicazione di interventi a garanzia della sicurezza;
- riforma degli incentivi;
- adeguamento della dotazione infrastrutturale.
Relativamente all'aspetto della sicurezza, però, lo Stato ha già fallito. Infatti, non si intravede, neppure lontanamente, la speranza di riuscire a porre un freno al fenomeno della crescente criminalità. Anche il rapporto con le banche non lascia scorgere nulla di positivo. Queste ultime da anni hanno liberamente operato solo per i propri interessi, senza tenere minimamente conto delle reali esigenze aziendali. Nonostante queste premesse, si possono porre alcune condizioni sugli altri interventi previsti nel documento. La maggior parte degli imprenditori considerano l'innovazione tecnologica una condizione di sviluppo sia all'interno dell'azienda, sia all'esterno della stessa. Essi sono consapevoli che la ricerca è la vera opzione per mantenere la leadership sui mercati internazionali. Ma possono affrontare innovazione e ricerca con le proprie strutture? Nelle aree del Mezzogiorno soltanto poche realtà riescono a investire in ricerca e innovazione. Si tratta per lo più delle aziende nate per produrre tecnologie, o quelle di dimensioni tali da aver sempre rivolto alla ricerca una parte importante delle proprie risorse. È, quindi, necessario verificare in quale modo fare partecipare a ricerca e innovazione le imprese di esigua dimensione o di modesta capacità economica. In particolar modo, si fa riferimento alle aziende delle aree interne del meridione o quelle in surplus demografico di alcune aree costiere, nate fuori dagli assi infrastrutturali, oppure dove l'energia elettrica è insufficiente, non dotate di reti idriche, di metano, e che non possono contare su manodopera formata, su aree industriali urbanizzate (PIP urbanisticamente individuati da P.R.G. e logisticamente mai nati). Sono queste le realtà imprenditoriali del Mezzogiorno che rappresentano lo sviluppo mancato. Se tale è la conclusione e questa la riforma degli incentivi, sarebbe certamente più opportuno preoccuparsi della dotazione infrastrutturale. Infatti, la maggior parte del territorio del sud Italia si presenta oggi nella medesima situazione in cui versavano trent'anni fa le aree del nord. Ne deriva che la richiesta di aiuti per gli investimenti innovativi rivolti alla ricerca, alle nuove tecnologie e alla formazione di alta professionalità dovrebbe essere aggiuntiva rispetto ad altri interventi di vitale importanza per le imprese. Basti pensare alle infrastrutture primarie per l'accessibilità, la logistica, i trasporti (terra, ferroviari, portuali) alle reti (idriche, elettriche, energetiche, tecnologiche). Tutto questo purtroppo nel documento non è previsto. Le piccole imprese sono quelle su cui ricade il maggior disagio. Esse non possono protestare contro i finanziamenti per la ricerca - in quanto ne comprendono il grande valore al fine di poter essere competitive a livello nazionale e internazionale - ma, a causa delle condizioni presenti, non hanno la possibilità di usufruirne, permanendo nella situazione di subire “oltre il danno la beffa”. Ad attenuare le difficoltà di consolidamento, a sollecitare impegni per il rinnovamento aziendale, ad ampliare la rete di collegamenti con nuove industrie, ha provveduto negli ultimi anni la legge 488/92. Quest'intervento normativo, in Campania, a fronte di investimenti per 12.000 milioni di euro ha determinato un incremento occupazionale di 106.000 addetti. La legge ha funzionato nei meccanismi di istruttoria, in quelli di controllo e in quelli di erogazione, oltre che, ovviamente, nella risposta da parte del mondo imprenditoriale. Inoltre se lo Stato avesse fatto convergere fondi in misura adeguata, la nuova occupazione avrebbe potuto superare i 200.000 addetti. Certamente non sono mancate le solite astuzie e le iniziative troppo ripetitive rispetto alle richieste del mercato, senza dimenticare i tentativi di “taroccare” i parametri per entrare in graduatoria. Su queste anomalie, la legge va certamente revisionata, ma non è ancora tempo di eliminare o di ridurre il finanziamento in conto capitale. Trasformare la 488 in un intervento per erogare “prestiti” (anche se agevolati) non può essere la strada da perseguire per dare il giusto impulso al Mezzogiorno.
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