espansionismo della proprietÀ pubblica
interviene il presidente di confindustria
IL COMPARTO TESSILE
IN CIFRE
LA CONCORRENZA TRUCCATA NON È PiÙ DI MODA
La strada per Kyoto passa dal riciclo
La fotografia di Unire sul mondo dei rifiuti
espansionismo della proprietÀ pubblica
interviene il presidente di confindustria
Sintesi della relazione di Luca
di Montezemolo all’Assemblea di Federvarie a Milano il 7 novembre
2005
A cura della Redazione CostoZero Magazine
Fare impresa è avvincente. Ma la possibilità di
fare impresa è messa a dura prova perché sempre più il
settore pubblico sta allargando la sua sfera di interferenza con
l'economia. Infatti, dopo una breve stagione di privatizzazioni e
liberalizzazioni fatte sotto l'urgenza del risanamento dei conti pubblici,
lo Stato è tornato
a occupare spazi che aveva deciso di restituire all'iniziativa privata.
Eppure, l'apertura dei mercati è condizione indispensabile per
sprigionare la voglia di agire, di investire e di creare nuovi prodotti
e quindi per stimolare lo sviluppo. Il ritorno del pubblico nell'economia è un
dato oggettivo. È superfluo ricordare come questo fenomeno si è manifestato
negli ultimi anni. Perfino per i gruppi di cui è stata privatizzata
la maggioranza sono stati studiati gli strumenti per garantire comunque
alla limitata presenza pubblica il diritto di determinare le decisioni
più importanti. Ma il singolare, antistorico e sicuramente non
utile ritorno della mano pubblica riecheggia solo in parte la stagione,
che sembrava avviata verso la conclusione, delle partecipazioni statali.
Stiamo assistendo al consolidamento e in qualche caso all'espansionismo
della proprietà pubblica a livello locale: un vero e proprio
sistema ramificato di partecipazioni locali per le quali già si
parla di tante piccole Iri diffuse in tutta Italia, all'ombra di
tutti i colori politici. Uno studioso del valore di Sabino Cassese,
appena nominato giudice costituzionale, ha intuito con largo anticipo
l'involuzione in corso parlando di "neosocialismo municipale".
Mentre sembra acquisita l'esigenza di meno Stato, nella realtà si
va nella direzione opposta. E chi gode di protezioni ha i profitti
assicurati. Invece di dismettere partecipazioni azionarie, gli enti
locali ne acquistano altre. Invece di procurare un beneficio alle casse
pubbliche con le privatizzazioni, impegnano risorse consistenti per
operazioni discutibili. E qualcuno arriva a sostenere che comprare azioni è un
buon investimento per gli enti locali. Non so, ma certo non è un
buon affare per la collettività pubblicizzare aziende locali
restringendo la concorrenza e i margini di attività dell'imprenditoria
privata. Regioni presenti nei consigli di amministrazione di grandi
banche, Province che acquistano a debito la maggioranza di autostrade,
Consigli comunali che votano mozioni per impedire la privatizzazione
di aeroporti, Comuni pronti a comprare alla prima occasione utile
pacchetti di aziende: attraverso gli Enti locali la presenza dello Stato
in economia non solo è notevole,
ma continua incredibilmente a crescere. Nei servizi pubblici locali
il predominio appare senza limiti. In particolare nella distribuzione
di energia i Comuni detengono il controllo di tutte le società locali:
la continuità della gestione pubblica è garantita anche
nei casi di alternanza alla guida delle amministrazioni. E quando
si fanno fusioni tra aziende municipalizzate si studiano complicati
e barocchi statuti per conservare a ogni amministrazione locale il
controllo della propria rete e della fetta della propria azienda municipalizzata.
Accanto alla robusta presenza diretta dello Stato in economia, è pertanto
eccezionalmente consolidata quella degli enti locali: la proprietà pubblica
locale ha un raggio d'azione molto ampio.
continua da pag. 1 |
Non andiamo oltre e fermiamoci qui. Con questo numero lasciamo
la direzione di Costozero Magazine al Presidente di Confindustria
Salerno Andrea Prete che, con i suoi editoriali e non solo, attrarrà ulteriore
attenzione sulle problematiche dell'impresa. Lo stesso ci ha richiesto
di continuare a dare un nostro contributo attraverso una rubrica
all'ultima pagina, che si muoverà tra l'istituzionale e il "fuori
le righe". Passeremo, inoltre, il testimone di amministratore
unico di Assindustria Salerno Service al collega e amico Antonello
Sada, attuale tesoriere dell'Associazione. Desideriamo ringraziare
quanti hanno determinato il successo del nostro House Organ: tutti
coloro che vi hanno lavorato e scritto, gli inserzionisti e i lettori.
Auguri per un felice anno nuovo e arrivederci a sabato 4 febbraio
2006. |
I monopoli locali e l'interferenza
politica nell'attività economica ostacolano il libero andamento
del mercato e pertanto la crescita del paese. Le istanze di autonomia
hanno dunque portato un risultato paradossale: invece di stimolare
la voglia di fare a livello locale, hanno rafforzato le posizioni
pubbliche dominanti esistenti, confermato i vecchi monopoli e alimentato
la propensione ad allargarli. Invece di mirare ad arginare il potere
centrale, le discussioni e i progetti relativi al federalismo hanno
rinvigorito il potere locale e quindi la proprietà pubblica locale.
Così dalle
spinte federaliste si è passati alle grandi manovre per negare
il libero mercato: da nessuna parte arriva la notizia della rinuncia
a un monopolio. Anzi. E pensare che la principale motivazione del
federalismo era la riduzione del settore pubblico nella vita quotidiana
di ognuno di noi. Va detto a gran voce: questa speranza è stata
tradita, anche e soprattutto da quella forza politica che aveva fatto
del federalismo la sua bandiera. Invece di uno Stato invadente, oggi
ci sono venti regioni invadenti, cento e passa province invadenti, oltre
ottomila comuni che pretendono di gestire aziende e di fare i finanzieri.
La logica, purtroppo, resta sempre quella dell'utilizzazione politica
delle leve dell'economia. Invece di operare per promuovere la concorrenza
e favorire lo sviluppo, si guarda al tornaconto immediato della propria
parte politica. Ma chiediamo: è meglio
un territorio che vivacchia con i monopoli pubblici di oggi o un
territorio che aspira a crescere con energie fresche e competizione
aperta? Le amministrazioni locali preferiscono le sicurezze delle
attuali posizioni dominanti e i miopi vantaggi di determinare scelte
aziendali. Che Italia stiamo costruendo? I monopoli sono il contrario
del mercato. Ma sono il facile terreno di esercizio per l'interferenza
politica. È un
tema delicato, fondamentale. L'interferenza politica caratterizza
questa stagione segnata da vicende finanziarie con rapporti anomali.
Dalle municipalizzate alle banche c'è troppa voglia di piegare
a fini di parte l'attività economica. È amaro dirlo dopo
il riproporsi la scorsa estate del rischio di un troppo stretto rapporto
tra politica e affari. Ma è un ragionamento necessario in un
Paese come il nostro dove, accanto alle imprese pubbliche, troviamo
forme di imprese che restano per molti aspetti valide nella nostra
economia ma autoreferenziali, come le cooperative, che peraltro godono
di vantaggi fiscali e amministrativi, spesso infiltrate dalla politica
e con una governance inadeguata, come i recenti casi stanno a dimostrare. È un
problema etico: l'interventismo in campi impropri snatura il ruolo
della politica. Frena la voglia dell'imprenditoria di competere. Impedendo
la competizione, nega opportunità per
la creazione di posti di lavoro e per la crescita. Provoca concorrenza
sleale: il sostegno alle imprese "amiche" va a danno di tutte
le altre. Non è etico che un'azienda pubblica faccia lavorare
chi è gradito politicamente. Non è etico far decollare
società formalmente a capitale pubblico-privato, come accade
a Palermo, ma in realtà concepite essenzialmente per effettuare
assunzioni a carico della collettività. Non è etico togliere
ossigeno alle imprese private facendo concorrenza con quelle pubbliche
o perpetuando i monopoli. Non è etico assegnare senza gara appalti
e forniture, come troppo spesso succede a livello locale. Non è etica
qualunque turbativa extra mercato per le operazioni finanziarie.
Politica e affari devono restare sempre distinti, a Roma come in
periferia. La corretta concorrenza è un valore importante. È un'esigenza
ineludibile. Le imprese pagano costi troppo elevati per la mancanza
di concorrenza: per i servizi professionali che comportano oneri
enormi come per l'energia i cui prezzi sono da primato in Europa.
Costi troppo elevati riducono la possibilità di crescere. L'Italia
può tornare
a un buon tasso di sviluppo solo con un elevato grado di competizione.
E liberando risorse in un momento in cui, invece, si verifica un'esagerata
espansione dei costi della politica. È necessaria una riflessione
sulle privatizzazioni e sulle liberalizzazioni. Come mai da un forte
favore dell'opinione pubblica a favore di questi processi, oggi si
assiste quasi supinamente al ritorno del dominio pubblico, alle interferenze
palesi tra politica ed affari, all'indifferenza verso conflitti di
interesse eclatanti? Appare in parte tradita l'aspettativa dei consumatori
di poter beneficiare di prezzi più bassi e di servizi di migliore
qualità. Se si fa eccezione delle telecomunicazioni, settore
in cui fra l'altro la tecnologia sta abbattendo i costi ovunque,
dobbiamo avere il coraggio di ammettere che i consumatori hanno avuto
pochi benefici. Che si tratti di energia, che continua a costare
elevata per gli italiani, che si parli di autostrade, di servizi aeroportuali,
di banche, di trasporti, ecc., i vantaggi non appaiono evidenti.
Segno che le privatizzazioni non sono state accompagnate da concreti
disegni di liberalizzazione e che le molte authority costruite allo
scopo non hanno funzionato come avrebbero dovuto. È anche da
qui che dobbiamo ripartire, per evitare che le delusioni delle privatizzazioni
facciano tornare la febbre a favore dello Stato, con il risultato di
far precipitare nuovamente il nostro paese ai margini dello sviluppo.
In questi anni le promesse di liberismo si sono tradotte nella grande,
inaccettabile, rivincita della presenza pubblica in economia. Le liberalizzazioni
sono state trascurate a livello centrale e ignorate a livello locale.
Troppe protezioni ci sono ancora: dai servizi alle professioni. Com'è pensabile,
per esempio, immaginare di vivere in Europa ipotizzando regole regionali
per le professioni? Si avvicinano le elezioni con un bilancio più che
deludente per l'eccessiva e addirittura crescente presenza pubblica
in economia. Ma si avvicinano anche con un grosso timore per quello
che accadrà: c'è davvero la voglia di modernizzare il
mercato come servirebbe? C'è davvero l'intenzione di favorire
la competizione? Non sembrerebbe. Le vicende di questi giorni non
rappresentano la strada giusta. Se questo è il buongiorno, è difficile
coltivare la speranza nel cambiamento. Sia il centrodestra che il
centrosinistra continuano a dare cattivi esempi. A tutte le forze
politiche indistintamente, all'attuale maggioranza come all'attuale
opposizione, la Confindustria chiede un impegno serio per chiudere la
stagione dei monopoli e aprire sempre più il mercato. Sarebbe
un bene per l'impresa e per tutti i lavoratori. Sarebbe un bene per
i conti pubblici. E per la politica che si concentrerebbe sui suoi compiti
più alti.
La ricerca del consenso avrà a cuore il futuro o i privilegi?
Il vero perno dell'ulteriore modernizzazione del paese è il superamento
del mercato riservato a pochi, esclusivo e chiuso». |