IL “VICOLO DELLA NEVE” DI SALERNO
LA vera CUCINA SALERNITANA ABITA QUI
La memoria gastronomica della città rivive
nello storico ristorante di Matteo Bonavita
Ferdinando
Cappuccio
Cultore di enogastronomia
ferdinando.cappuccio@banca.mps.it
«…Straniero,
se passi a Salerno
in una notte d'inverno
di luna a mezzo febbraio,
se vedi il bianco fornaio
che batte le mani sul tondo
di quella faccia cresciuta,
ascolta venire dal fondo
degli anni la voce perduta.
L'odore di menta t'invita,
la tavola bianca, la stanza
confusa dell'abbondanza…
...in quell'odore di forno
per qualche sera la vita
si scalda con le sue mani
a quegli accordi lontani
del tempo che fu…»
versi tratti da “Il Vicolo della neve” di Alfonso Gatto |
Il nostro grande poeta Alfonso Gatto, in maniera sublime,
nella poesia che apre l’articolo, ha indicato a quanti visitano la nostra
città uno
dei modi per entrare nella sua anima: recarsi al Vicolo della Neve
e, dopo aver osservato attentamente l'insieme del vicolo, cercando
intelligentemente memorie del “tempo che fu”, unirsi agli avventori
ed entrare nel locale lì situato per gustare la vera cucina salernitana.
La trattoria è la più antica della città (qualcuno
ritiene che già nel trecento esistesse colà un punto di ristoro)
e ha il merito di una cucina sempre uguale che permette, di generazione
in generazione, di poter gustare prelibatezze semplici, ma ormai
desuete. Non si può prenotare, ma si deve fare allegramente la
fila, mentre i camerieri con abitudine e sagacia riescono a ordinarla
perfettamente. Non esistono corsie preferenziali perché tutti
i clienti per Matteo Bonavita, patron del Vicolo della Neve, sono uguali
e vanno soddisfatti sin dall'accoglienza. Mentre sarete in attesa vi
capiterà naturalmente
di socializzare con gli altri immergendovi in quell'atmosfera di
aggregazione che è la sintesi del Vicolo della Neve.
Una volta
seduti, il tovagliato non sarà di gran classe, ma pulito; non
troverete giusti bicchieri da vino, ma, in compenso, sarete immediatamente
pervasi da una gioiosa e calda atmosfera e incomincerete, così,
il vostro viaggio culinario che vi porterà a gustare cibo e "memorie".
Aspettando di essere serviti sarà bello pensare che quel che mangiate,
proprio lì dove siete seduti, è stato gustato da tanti
altri, illustri sconosciuti o persone importanti (Vittorio Emanuele Orlando,
Giovanni Amendola, Alfonso Gatto, Adolfo Cilento, Oriol Bohigas e altri),
e vi renderete conto dell'importanza di valorizzare e conservare un locale
come questo. Vi domanderete allora (se non lo sapete già) il perché del
nome e scoprirete che esso è frutto della vendita che si effettuava
un secolo fa, quando non esistevano i frigoriferi, della neve per
uso domestico. Scoprirete poi il bel dipinto, rappresentante l'inferno
di Clemente Tafuri, al cui riguardo, qualche salernitano più anziano
vi potrà raccontare
che è soltanto una piccola parte della preziosa opera che abbelliva
i muri qualche anno fa.
Dopo aver nutrito con grande copiosità la
mente, incomincerete il vostro percorso gastronomico, consigliati
da Matteo che dagli anni '50 ha rilevato il locale e ha raccolto
le tradizioni culinarie di Sciacquariello e Peppiniello. Potete optare
per la pizza salernitana (morbida e sottile all'interno con un alto e
soffice cornicione), così diversa
dal sapore dei pizza-food imperanti, o vi potrete far tentare dal
calzone, prelibatezza preferita da Enrico Caruso, con la scarola
o con mozzarella, uova (è uno dei pochi locali dove è ancora
inserito questo ingrediente!) e salame. Oppure incomincerete con il polpo
verace bollito, di grande tenerezza, servito semplicemente con olio e
limone, in maniera da lasciare inalterato il sapore del mare. Arriverà successivamente
la pasta e fagioli, cotta nel pomeriggio in maniera che si possa "azzeccare" e
poi ripassata in forno al momento del servizio. Intelligentemente
chiedetevi del perché dell'utilizzo della pasta mischiata, o meglio
degli spezzoni; capirete che oltre la gran capacità di amalgama
di quel tipo di pasta con i legumi, essa era caratteristica dell'economia
di un tempo che vietava il consumo non oculato (oh la gran Italia
del dopoguerra!). Seguirà poi
il baccalà, alto e morbido con le patate, le polpette di carne
dalla trama stretta, la ricca ciambotta, piatto povero ma gustosissimo
di ortaggi e patate, la parmigiana di melanzane con la salsa odorosa
di basilico e la mozzarella filante. E poi ancora il peperone imbottito,
ricco di sapore, con un impasto di pane, olive, capperi, e le salsicce
di maiale preparate a "punta di coltello", e cotte al forno
con i broccoli. E poi un consiglio: al di fuori dei soliti grandi piatti
chiedete la carne alla pizzaiola, un piatto antico purtroppo divenuto
inusuale sulle nostre tavole. Nato dal bisogno di salvare la carne comprata
da qualche giorno e non utilizzata (all'epoca non c'erano i frigoriferi), "stordendola",
essa rappresenta, assieme alla braciola e alle polpette con il
ragù,
l'unica vera nostra tradizione nella cultura delle carni. Il perfetto
sughetto con pomodoro e abbondante origano, la bistecca con l'osso di
gran sapore, la cottura al forno a legna, rendono questo piatto memorabile.
Per finire poi si potranno gustare i dolci di Mario Pantaleone, altra
gloria cittadina nel campo della pasticceria, che ben si sposano con
la filosofia del locale di Matteo. I vini proposti, com'è giusto,
sono in massima parte campani, con buoni aglianici ricaricati nel prezzo
molto onestamente, così come è onestissimo
il conto finale. Recatevi al Vicolo Della Neve con "stranieri" intelligenti,
con gli amici e soprattutto con i figli, cercando di far capire
loro che attraverso la cucina si può conoscere un popolo e la
sua storia.
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