espansionismo della proprietÀ pubblica
interviene il presidente di confindustria
IL COMPARTO TESSILE
IN CIFRE
LA CONCORRENZA TRUCCATA NON È PiÙ DI MODA
La strada
per Kyoto passa dal riciclo
La fotografia di Unire sul mondo dei rifiuti
IL COMPARTO TESSILE IN CIFRE
LA CONCORRENZA TRUCCATA NON È PiÙ DI MODA
La Federazione chiede trasparenza
e armonizzazione del commercio in un mercato "free and fair"
di Raffaella Venerando & Gaia Sigismondi
Il recente avvio operativo di Federazione SMI-ATI Imprese Tessili
e Moda Italiane, aderente a Confindustria, che opera in nome e
per conto di circa 2.000 aziende associate ed è significativamente
rappresentativa di un settore di 570.000 addetti e circa 68.000
aziende, dà un importante contributo alla difesa di un componente
fondamentale del tessuto economico e manifatturiero italiano. I
dipendenti delle aziende associate sono circa un quinto del totale
del settore.
La Federazione ha come Presidente Paolo Zegna, che ha guidato nell'ultimo
anno Sistema Moda Italia, e può contare sulla collaborazione
di tre Vicepresidenti: Michele Tronconi, (Vicepresidente Vicario),
Michele Norsa e Rino Bonomi. Alla Direzione Generale è stato
chiamato Gianfranco Di Natale, proveniente da Unipro, l'Associazione
delle industrie cosmetiche e da precedenti incarichi per Associazioni
legate al tessile.
In passato Gianfranco Di Natale aveva ricoperto il ruolo di Vice
Direttore Generale dell'Associazione Italiana della Maglieria, che
aveva lasciato per assumere la Direzione dell'Unione Industriale di
Verbania. Il nuovo Direttore Generale ha come vice Mauro Chezzi, già Direttore
generale di ATI. «L'avvio operativo di SMI-ATI Federazione Imprese
Tessili e Moda Italiane - ha dichiarato il Presidente Paolo Zegna
- è un altro importante segnale della volontà degli
operatori del settore, grandi e piccoli, di impegnarsi per costruire,
a tutti i livelli, le dimensioni necessarie per affrontare con successo
le sfide di un mercato sempre più globale. Sono certo che questa
fusione ci darà maggior autorevolezza nell'interlocuzione con
le autorità istituzionali nazionali e internazionali, e darà più forza
alla nostra volontà di affermare un mercato globale dove vigano
parità di condizioni, a garanzia di una concorrenza "free
and fair". Una rappresentanza unitaria delle aziende del settore
tessile e manifatturiero permetterà di tutelare al meglio quel
patrimonio di cultura e know-how che esprime ai massimi livelli in
tutto il mondo la creatività, il gusto e l'eccellenza del Made
in Italy. Abbiamo piena consapevolezza che una delle difficoltà del
nostro settore consiste nella sua eccessiva frammentazione e sentiamo
la responsabilità di concorrere ad aiutare il nostro sistema,
qualsiasi siano le dimensioni delle singole aziende, nel suo continuo
miglioramento sul fronte dell'innovazione di prodotto, della qualità,
del servizio ai clienti, della capacità di penetrare e fare
migliore promozione nei mercati di sbocco».
L'attività della Federazione si articola in diverse aree: centro
studi, politica industriale, economia e impresa, promozioni e rapporti
di filiera, rapporti internazionali, relazioni industriali e, infine,
tecnologia e ambiente.
Lo sforzo e il rinnovato impegno degli imprenditori del settore
si scontra, però, con ripetuti giudizi negativi sulle prospettive
da parte di autorevoli opinion leader che, anche dalle colonne de
Il Sole 24 Ore, ripetono che il voler mantenere in vita il settore è soltanto
un inutile e miope accanimento terapeutico. Si tratta di un giudizio
catastrofico - che tende a estendersi a tutti i diversi comparti del
Made in Italy - che la Federazione SMI-ATI ritiene strategicamente
errato, per la responsabilità che sente di avere non solo nei
confronti dei propri associati, ma anche di tutti gli addetti e le
imprese del settore, perché ritiene che anche nell'economia
globale il comparto può continuare a dare un grande contributo
allo sviluppo e al futuro del Paese. È vero che dal 2001 il
calo complessivo del fatturato è superiore al 10%, ma nel 2004
il settore ha fatturato circa 42 miliardi di euro, poco meno del 5%
del Pil italiano, il 60% circa dei quali sui mercati internazionali.
Come già nel manifesto sottoscritto nell'autunno 2004, tra
le Associazioni di imprese e i sindacati di settore, non si chiede
il ripristino di barriere tariffarie: unanime è, infatti, la
consapevolezza che la sfida dello sviluppo si affronta con la competitività e
non con la protezione. E anche con politiche virtuose che, ad esempio,
portino a ridurre l'alto costo dell'energia. La continuazione dell'impegno
e dell'investimento sul cambiamento sono la strategia per continuare
a essere forti, nei nostri territori e nelle nostre comunità,
sapendo che il mercato globale impone che si prenda atto del valore
della qualità totale. É opinione della Federazione che
la competizione debba avvenire all'interno di una cornice dove tutti
sono chiamati a misurarsi con le stesse regole. Il mercato, per essere
tale, deve essere "free" ma anche "fair". Per
questo, si chiede alle autorità competenti: la necessaria trasparenza
- come nel caso della marcatura d'origine obbligatoria, che è questione,
anche, di chiarezza nel rapporto con i consumatori; l’armonizzazione
del commercio con l’eliminazione di barriere non tariffarie
e riduzione reciproca dei dazi.
Serve fiducia, servono scelte per continuare ad affrontare le difficili
sfide che ci attendono sul fronte dell'innovazione di prodotto, della
qualità, del servizio ai clienti, della capacità di
penetrare e fare migliore promozione nei diversi e nuovi mercati di
sbocco. Nel settore si respira un cambiamento di clima. É vero
che i dati ISTAT relativi al fatturato dell'industria Tessile-abbigliamento
italiana evidenziano, per il periodo gennaio-aprile 2005, cedimenti
superiori all'11% e che dal 2001 il calo complessivo del fatturato è risultato
superiore al 10%.
Tuttavia quelli, raccolti presso un campione di 230 imprese associate
di fascia media e alta, relativi al secondo trimestre 2005, che emergono
dalla periodica indagine campionaria svolta dall'Area Studi della
Federazione SMI-ATI, misurano invece performance produttive e commerciali
leggermente migliori rispetto all'insieme dell'industria italiana
dell'abbigliamento, maglieria e calzetteria. Sul fronte delle vendite
il secondo trimestre di quest'anno è stato archiviato con risultati
(+1%) leggermente migliori rispetto alle attese, grazie soprattutto
all'andamento positivo del previsto del fatturato estero (che è aumentato
del 2,7% su base annua). Nel 2005, inoltre, secondo l'Osservatorio
di Altagamma, le imprese italiane del lusso, dove l'abbigliamento
ha un peso significativo, hanno accresciuto i loro ricavi del +10%,
con un incremento quindi più elevato rispetto all'andamento
della domanda mondiale dei prodotti di fascia alta, che é stimato
al +7%. Nonostante le difficoltà, le imprese italiane, tuttavia,
non stanno ripiegandosi su se stesse e, come è stato detto
in un recente convegno, hanno ripreso a utilizzare il fazzoletto per
asciugarsi il sudore e non più per tamponare le lacrime. Stanno,
infatti, reagendo spostando il mix di offerta verso le fasce di mercato
a maggior valore aggiunto (in termini di stile, materiali, contenuto
di servizio). L'abbandono dei segmenti a minor valore aggiunto si è già tradotto
in un nuovo incremento della quota di fatturato realizzata sui mercati
esteri.
I risultati preliminari di un'indagine sugli investimenti condotta
dalla nuova Federazione SMI-ATI Imprese Tessili e Moda Italiane presso
un campione di un centinaio di aziende tessili di fascia media e alta,
confermano, ad esempio, gli sforzi posti in essere negli ultimi tempi
dalle imprese italiane per consolidare la propria leadership nelle
fasce di mercato a maggior valore aggiunto. Nel 2004, infatti, le
imprese analizzate hanno investito il 3,9% del proprio fatturato,
privilegiando il rinnovo degli impianti (circa il 47% della spesa
totale), l'innovazione tecnologica di processo (23% del totale) e
la diversificazione della gamma produttiva (8%). Il 9% degli investimenti
totali ha invece riguardato le attività di ricerca, di base
o applicata, ad esempio, la realizzazione dei campionari.
Risorse non marginali sono inoltre state destinate a progetti di
integrazione verticale, soprattutto a valle della filiera con la costituzione
e/o l'ampliamento della rete commerciale e distributiva. In definitiva,
nonostante un quadro di domanda non certo brillante, dal lato delle
imprese emergono segnali più incoraggianti: le imprese della
tessitura Made in Italy continuano infatti a credere e a investire
nel proprio futuro e continuano a farlo, in massima parte, nel nostro
Paese; allo stesso modo le aziende della confezione, pur in un contesto
di crescente internazionalizzazione della loro attività produttiva,
non vogliono rinunciare ai superiori contenuti di qualità e
di servizio garantiti dalle aziende tessili italiane. Questa nuova
fase passa per lo sviluppo e l'innovazione dei distretti e delle filiere.
In particolare nei distretti storici, dove le piccole imprese devono
essere aiutate, da Istituzioni e rappresentanze locali e nazionali,
a raggrupparsi in centri produttivi organizzati nei quali ciascuno
conserva la sua autonomia, ma dove molte attività (ricerca
e trasferimento tecnologico, internazionalizzazione, qualificazione
delle risorse umane) formino massa critica.
Un importante segnale del diffondersi di questo nuovo clima collaborativo è venuto
anche dalla decisione degli imprenditori tessili di Prato di far confluire
Pratoexpo in Milano Unica, la fiera unitaria del tessile promossa
da Ideabiella, IdeaComo, Moda In e Shirt Avenue, che dalla scorsa
primavera ha preso il via a Milano. La prima edizione di "Milano
Unica", ha realizzato un obiettivo che neppure le più rosee
aspettative avrebbero messo in conto. Gli espositori sono stati 609,
tra cui 130 imprese internazionali, mentre, sul fronte dei clienti,
le presenze rilevate sono state superiori a 27.500 e hanno superato
del 37% le 20.000 inizialmente previste. Le aziende-clienti presenti,
tutte di alto livello, sono state oltre 15.000 di cui oltre il 30%
estere, un dato mai raggiunto sommando le presenze delle quattro fiere
promotrici. "Milano Unica" si è rivelata uno strumento
molto importante per trasmettere messaggi chiari e forti ai mercati,
per ribadire, a livello internazionale, la posizione di leadership
del tessuto italiano in innovazione, creatività, qualità e
servizio. Ha dimostrato che con la buona volontà è possibile
fare massa critica, valorizzando, al contempo, le peculiarità e
le specificità di ogni manifestazione associata, in altri termini,
di poter valorizzare le diverse eccellenze anche ingrandendosi nelle
dimensioni.
Questo rinnovato impegno imprenditoriale si sta rivelando il migliore
antidoto contro gli effetti della scadenza dell'accordo ATC che, dall'inizio
2005, ha visto entrare in vigore il processo di liberalizzazione delle
importazioni comunitarie. In questo nuovo contesto, i mercati UE (a
venticinque paesi) dove le imprese italiane destinano il 54% delle
proprie esportazioni, sono stati "invasi" da prodotti cinesi,
offerti a prezzi che, in alcuni casi, sembrano privi di una qualsiasi
ragionevolezza economica.
Nei primi tre mesi del 2005, le importazioni UE dalla Cina sono
aumentate complessivamente del 37,3%. Tuttavia, se ci si concentra
solo sui prodotti recentemente liberalizzati (che hanno rappresentato
poco meno del 30% delle importazioni totali dalla Cina), l'incremento
risulta intorno al 70%. Le intese raggiunte a giugno e a settembre
2005, tra il Commissario UE al Commercio estero, Peter Mandelson,
e il Ministro cinese, Bo Xilai, sulle quote di importazione per i
prodotti cinesi hanno imposto all'industria tessile europea importanti
sacrifici.
L'auspicio è che questi vengano riconosciuti e portino, a parziale
compensazione, all'adozione dell'obbligatorietà della etichettatura
di origine, attualmente molto contrastata dai Paesi del Nord Europa.
In presenza di maggiore trasparenza sui prodotti, molte delle attuali
controversie troverebbero una naturale e inconfutabile soluzione,
la cui decisione sarebbe lasciata alla libera ma anche "documentata" scelta
del consumatore finale.
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