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  Dicembre 2012

Articoli n° 4
maggio 2006
 

diritto e impresa - Home Page
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Un nuovo reato:
l’infedeltÀ patrimoniale

Lo scarso rendimento
del lavoratore

Il nuovo Codice
degli Appalti “europeo”

Gli interventi
di ristrutturazione edilizia

Un nuovo reato:
l’infedeltÀ patrimoniale

Gennaro STELLATO

Una norma per regolare le ipotesi
di abuso nella gestione di patrimoni altrui

Il reato sussiste quando si cagiona a sè o ad altri un vantaggio ingiusto perchè a danno della società

Con la riforma del diritto societario è stata introdotta, con la nuova formulazione dell'art. 2634 del codice civile, una ipotesi tendente a regolare situazioni di cosiddetta "infedeltà patrimoniale" caratterizzate dall'esercizio del potere di amministrare il patrimonio di altri in contrasto con l'interesse del titolare per esigenze proprie. Il nuovo art. 2634 testualmente recita: «Gli amministratori, i Direttori Generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa». Questa nuova fattispecie si presenta largamente innovativa rispetto alla vecchia formulazione dell'art. 2631 che puniva l'ipotesi di conflitto di interessi. Si mira in sostanza a tutelare il patrimonio sociale, inteso in senso ampio, dagli abusi degli amministratori piuttosto che, come precisa la relazione alla legge di riforma, a «salvaguardare il solo dovere di fedeltà degli amministratori». Ovviamente i soggetti attivi del reato possono essere solo amministratori, direttori generali e liquidatori escludendo, pertanto, la figura dei sindaci quali organi di controllo anche se questi ultimi possono comunque essere chiamati a rispondere a titolo di concorso. L'ipotesi di reato esaminata ha un presupposto (sussistenza di un conflitto di interessi), una condotta precisa (compimento di atti di disposizione di beni della società) ed un evento (un conseguente danno di natura patrimoniale per la società). Al fine di delimitare e precisare il concetto di "conflitto di interesse" occorre precisare che, in verità, i casi arrivati in particolare all'esame della Suprema Corte sono veramente pochissimi e il principio predominante sancito dalla Corte è che «si ha conflitto di interessi ogniqualvolta si faccia valere un interesse collidente con quello della società come nel caso in cui l'amministratore si ponga in una situazione antagonistica rispetto all'ente quale controparte contrattuale». Il problema è poi individuare sul campo le ipotesi reali attraverso cui si possa manifestare il reato e, soprattutto, quale sia la condotta che porta alla contestazione del reato. Al riguardo va detto che la formulazione dell'articolo, per evidente scelta del legislatore, mira a punire tutte quelle situazioni in cui si siano posti in essere atti di disposizione di beni sociali con il conseguente depauperamento del patrimonio sociale.
Tale impostazione comporta conseguenzialmente che, dall'ipotesi prevista dall'art. 2634 c.c. resta esclusa tutta una serie di comportamenti ed esattamente da quelli meramente omissivi a quelli che ricadono nel cosiddetto "abuso di posizione" o a quelli che, comunque, non abbiano importanza patrimoniale. L'evento del reato è costituito quindi dal "danno della società" che va inquadrato come una situazione nella quale si configura una incompatibilità con l'interesse economico della società o nell'assunzione di un rischio di impresa che ab origine sia macchiata da un reale conflitto di interessi. Per quanto attiene, poi, all'elemento psicologico del reato va precisato che lo stesso è individuabile nel fine di cagionare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio o, almeno, di essere consapevole e, di conseguenza, accettare la possibilità di causare un danno alla società con il proprio comportamento. Delineata, quindi, la nuova fattispecie di reato va detto, in verità, che l'impostazione del legislatore sembra molto riduttiva rispetto alle situazioni in cui potrebbe essere possibile configurare l'ipotesi di infedeltà patrimoniale. E anche le prime pronunce giurisprudenziali sembrano confermare tale orientamento. Particolare attenzione va poi prestata all'ultimo comma dell'articolo 2634 c.c. che prevede la procedibilità a querela della persona offesa che, va ricordato, va individuata nella società a mezzo di delibera assembleare con esclusione quindi del singolo socio cui, peraltro, spettano altri mezzi a tutela dei propri interessi. Si tratta di un aspetto delicato in quanto prefigura ipotesi inquietanti nei rapporti interni fra amministratori e detentori della maggioranza del capitale sociale. In tale ottica è stata anche ipotizzato che tale strumento possa poi diventare un vero e proprio elemento di ricatto o di pressione nei confronti dell'amministratore che, agendo in conflitto di interessi, abbia causato un danno alla stessa. Si vedrà poi nei casi concreti se tale situazione si verificherà o meno. Indubbiamente l'ipotesi di reato disciplinata dall'art. 2634 c.c. va a colmare una lacuna del nostro ordinamento anche se, sul piano pratico, ne appare difficile una applicazione precisa proprio per la delimitazione della casistica voluta dal Legislatore e anche per la notoria tendenza a lavare i "panni sporchi in famiglia" senza far apparire all'esterno situazioni che comunque possono nuocere alla società sotto il profilo dell'immagine. Vedremo l'impatto della norma soprattutto nell'ambito di rapporti con altre tipologie di reato quali l'appropriazione indebita e la bancarotta fraudolenta. Alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sarà possibile verificarne la portata soprattutto come elemento deterrente. Al riguardo va comunque ricordato che le vertenze arrivate sino in Cassazione relativamente all'ipotesi di conflitto di interessi sono veramente poche e, quindi, si potrebbero avere interpretazioni della norma estensive rispetto a quella che sembra essere l'ipotesi riduttiva impostata dal Legislatore. In ogni caso la procedibilità a querela dovrebbe limitare l'applicazione della norma ai soli casi veramente gravi che comportano realmente un danno patrimoniale alla società.

*Avvocato - studiostellato@tiscalinet.it

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