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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
novembre 2005
 


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Unione di avellino

Relazione del presidente Silvio Sarno

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IL RIASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
AL LAVORO PER RAPPORTI SINDACALI CERTI

PUNTARE SULL'INNOVAZIONE DIGITALE
CONFINDUSTRIA PRESENTA IL PIANO 2005

IL RIASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
AL LAVORO PER RAPPORTI SINDACALI CERTI
L'interesse prioritario è come sempre la crescita economica e sociale del Paese

Alberto Bombassei
Vice Presidente Confindustria per le Relazioni Industriali e gli Affari Sociali

Confindustria ha messo sul tavolo le sue proposte per nuove relazioni industriali idonee a rispondere alle esigenze di crescita del reddito e dell'occupazione.
Serve una svolta. Per uscire dalla fase difficile in cui ci troviamo passaggio obbligato è un corposo recupero di competitività delle imprese.
La produzione industriale è ferma, mentre costi e prezzi sono più elevati in Italia rispetto ai concorrenti. Negli ultimi dieci anni, il clup nell'industria in senso stretto è cresciuto del 23% in Italia, mentre quasi non è aumentato in Germania (1,4%) ed è diminuito (-9%) in Francia. Vi è quindi un problema di produttività. Ma la competitività si gioca anche sulla crescita relativa del costo nominale del lavoro: negli ultimi 10 anni le retribuzioni nominali per addetto sono cresciute in totale del 37,2% in Italia, contro il 26,3% in Germania e il 29% in Francia. Tutto questo si ripercuote sulla quota delle nostre esportazioni sui mercati internazionali che, misurata a prezzi costanti, si è ridotta da 4,6% nel 1995 a 3,1% nel 2004.
Dal 2000 a oggi le retribuzioni reali sono cresciute poco in Italia (1,6% circa), ma non molto meno che in Francia o in Germania (2,4%).
Eppure dal 2000 a oggi la produttività del lavoro nell'industria in senso stretto è cresciuta del 10% in Germania e del 12% in Francia, mentre è diminuita dell'1,4% in Italia. Se la produttività non cresce o addirittura diminuisce, aumentano i costi unitari del lavoro anche se le retribuzioni reali aumentano poco o nulla. Pur senza guadagni medi di produttività abbiamo quindi aumentato in media le retribuzioni reali e abbiamo perso margini di competitività. É chiaro che questo è il sentiero del declino, che dobbiamo abbandonare al più presto. Il processo di ristrutturazione pesa soprattutto sui settori esposti alla concorrenza internazionale, che non possono sfuggire all'urto della concorrenza e della globalizzazione e che devono necessariamente affrontare una trasformazione in profondità del modello di specializzazione produttiva per fargli fare un salto di qualità e adeguarlo al nuovo contesto della competizione e dei mercati.
Questi processi, segnatamente quelli di ristrutturazione dell'occupazione e di internazionalizzazione, nell'opinione comune sono spesso visti come un impoverimento netto del capitale produttivo del Paese, con una irrimediabile perdita di posti di lavoro e di mezzi di creazione di reddito.
In realtà le imprese che si internazionalizzano hanno in media una migliore performance di quelle strettamente nazionali e mediamente si registra un guadagno netto di occupazione e di reddito nella stessa impresa e/o nell'economia.
La Finanziaria 2006, approvata dal Governo e ancora all'esame del Parlamento, esprime la consapevolezza di dover intervenire. Considerati i limiti di finanza pubblica non si poteva forse fare di più di ciò che è contenuto nella legge. L'alleggerimento del cuneo contributivo va nella direzione giusta. E poi va riconosciuto che la Finanziaria non è un provvedimento elettorale. Almeno nella volontà del Governo. Ma la necessità di ristrutturazione dell'economia e di fronteggiare l'internazionalizzazione richiede un impegno comune più ampio di quello finora messo in campo. In questo quadro, il problema attuale delle relazioni industriali va considerato come co-essenziale al sostegno dell'auspicata trasformazione. Trasformazione che riguarda l'internazionalizzazione, la specializzazione, i prodotti, i processi produttivi e l'organizzazione del lavoro delle imprese; e quindi le competenze, la qualificazione, la formazione delle risorse umane e, di conseguenza, il loro migliore impiego in termini di rapporto di lavoro instaurato, coinvolgimento nel processo produttivo, forme di retribuzione e tempi di attività. Devono essere operate precise scelte a favore della ricerca, dell'innovazione, della formazione, della crescita dimensionale delle imprese, del loro inserimento nei mercati internazionali, della riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Alle relazioni industriali compete, anche attraverso la revisione e la modernizzazione delle regole, il compito di far sì che le imprese possano rispondere con tempestività alle mutevoli esigenze dei mercati attraverso una migliore organizzazione del lavoro. Nonché quello di sviluppare i modi per favorire il conseguimento di retribuzioni più elevate in quanto collegate a livelli di maggiore efficienza nella prestazione e alla redditività dell'impresa. Obiettivo comune delle parti sociali deve essere, quindi, l'impegno a perseguire condizioni di competitività e di produttività tali da consentire il rafforzamento del sistema produttivo, con particolare attenzione per quello strutturalmente più esposto alla concorrenza internazionale; lo sviluppo dei fattori generatori di occupazione e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tutti coloro che collaborano con l'impresa. Circa il cuneo contributivo, qualcosa è previsto nella Finanziaria. Restano comunque a carico delle imprese oneri impropri, che spetterebbero alla fiscalità generale.
Ciò che Confindustria chiede nei rapporti sindacali è la definizione di un sistema regolato e che dia certezze. Non intendiamo modificare l'articolazione dei contratti su due livelli, ma chiediamo rispetto dei patti, idonee procedure di conciliazione e arbitrato, aggiornamento dei criteri di rappresentanza sui luoghi di lavoro, l'ampliamento delle clausole di tregua sindacale.
Riteniamo soprattutto che, per far fronte alla competizione internazionale, la contrattazione collettiva debba essere strumento di flessibilizzazione dell'organizzazione produttiva. Cosa che oggi purtroppo non é. Le imprese dovrebbero poter fare affidamento su una maggiore quantità di ore effettive di prestazione, con possibilità di modularne la distribuzione in funzione delle esigenze produttive e del mercato. In un contesto di acuta competizione e di elevata variabilità dei mercati, occorre valorizzare il livello aziendale quale sede per l'adeguamento delle retribuzioni alle condizioni economiche generali dell'impresa. A questo scopo è necessaria la reale variabilità dei premi di secondo livello e una crescita del loro peso percentuale nella struttura della retribuzione individuale. Resta fermo che la professionalità specifica, la rarità di determinati mestieri, il merito, devono continuare a trovare adeguato riconoscimento economico secondo specifici criteri adottati dall'impresa per la valorizzazione individuale delle prestazioni. La contrattazione dovrebbe anche consentire la valorizzazione di diverse tipologie contrattuali, sempre per tenere conto delle mutevoli esigenze di mercati interni e internazionali. Abbiamo anche confermato nella nostra proposta l'esigenza di procedere a una razionalizzazione del numero dei contratti collettivi nazionali di categoria stipulati nell'ambito del sistema Confindustria (attualmente 70 che disciplinano il rapporto di lavoro di circa 4 milioni e mezzo di lavoratori subordinati). Le imprese italiane ritengono che nel definire un nuovo "patto costituzionale" fra le parti sociali sia necessario definire con maggiore precisione la specializzazione delle diverse sedi negoziali.
Secondo il documento presentato ai sindacati, al contratto collettivo nazionale di settore continua ad essere affidato il compito di definire la dinamica dei trattamenti economici minimi per ciascun livello di inquadramento professionale. Con l'ulteriore specificazione che l'obiettivo mirato alla salvaguardia del potere d'acquisto delle retribuzioni non rappresenta un automatismo. Ma dovrebbe invece costituire un obiettivo da valutare unitamente alle tendenze generali dell'economia e del mercato del lavoro, al raffronto competitivo e agli andamenti specifici del settore, ivi compreso quello delle retribuzioni di fatto. Il contratto nazionale di settore, quindi, determina gli aumenti dei minimi tabellari in coerenza con i tassi di inflazione programmata da applicare sulle voci retributive determinate nel contratto stesso. Ne consegue anche la necessità di ridefinire le tempistiche della contrattazione al fine di evitare la sovrapposizione dei cicli negoziali. La contrattazione di secondo livello con contenuti economici, aziendale o alternativamente territoriale, laddove già prevista, dovrebbe conseguire un'effettiva variabilità dei premi in funzione dei risultati ottenuti nella realizzazione di obiettivi concordati fra le parti. La contrattazione di secondo livello, inoltre, si esercita tra i soggetti, nelle sedi, nei tempi e per le materie stabiliti dalla contrattazione nazionale.
Siamo fiduciosi che intorno a queste proposte possa svilupparsi un dibattito fruttuoso di risultati a breve termine. Restiamo comunque certi di aver indicato soluzioni nell'interesse prioritario della crescita economica e sociale del Paese, preoccupati della crisi produttiva e finanziaria in cui siamo purtroppo impantanati.

 

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