IL RIASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
AL LAVORO PER RAPPORTI SINDACALI CERTI
PUNTARE SULL'INNOVAZIONE
DIGITALE
CONFINDUSTRIA PRESENTA IL PIANO 2005
IL RIASSETTO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
AL LAVORO PER RAPPORTI SINDACALI CERTI
L'interesse prioritario è come
sempre la crescita economica e sociale del Paese
Alberto
Bombassei
Vice Presidente Confindustria per le Relazioni Industriali e gli
Affari Sociali
Confindustria ha messo sul tavolo le sue proposte per nuove relazioni
industriali idonee a rispondere alle esigenze di crescita del reddito
e dell'occupazione.
Serve una svolta. Per uscire dalla fase difficile in cui ci troviamo
passaggio obbligato è un corposo recupero di competitività delle
imprese.
La produzione industriale è ferma, mentre costi e prezzi sono
più elevati in Italia rispetto ai concorrenti. Negli ultimi dieci
anni, il clup nell'industria in senso stretto è cresciuto del
23% in Italia, mentre quasi non è aumentato in Germania (1,4%)
ed è diminuito (-9%) in Francia. Vi è quindi un problema
di produttività. Ma la competitività si gioca anche sulla
crescita relativa del costo nominale del lavoro: negli ultimi 10 anni
le retribuzioni nominali per addetto sono cresciute in totale del 37,2%
in Italia, contro il 26,3% in Germania e il 29% in Francia. Tutto questo
si ripercuote sulla quota delle nostre esportazioni sui mercati internazionali
che, misurata a prezzi costanti, si è ridotta da 4,6% nel 1995
a 3,1% nel 2004.
Dal 2000 a oggi le retribuzioni reali sono cresciute poco in Italia
(1,6% circa), ma non molto meno che in Francia o in Germania (2,4%).
Eppure dal 2000 a oggi la produttività del lavoro nell'industria
in senso stretto è cresciuta del 10% in Germania e del 12% in
Francia, mentre è diminuita dell'1,4% in Italia. Se la produttività non
cresce o addirittura diminuisce, aumentano i costi unitari del lavoro
anche se le retribuzioni reali aumentano poco o nulla. Pur senza guadagni
medi di produttività abbiamo quindi aumentato in media le retribuzioni
reali e abbiamo perso margini di competitività. É chiaro
che questo è il sentiero del declino, che dobbiamo abbandonare
al più presto. Il processo di ristrutturazione pesa soprattutto
sui settori esposti alla concorrenza internazionale, che non possono
sfuggire all'urto della concorrenza e della globalizzazione e che devono
necessariamente affrontare una trasformazione in profondità del
modello di specializzazione produttiva per fargli fare un salto di qualità e
adeguarlo al nuovo contesto della competizione e dei mercati.
Questi processi, segnatamente quelli di ristrutturazione dell'occupazione
e di internazionalizzazione, nell'opinione comune sono spesso visti
come un impoverimento netto del capitale produttivo del Paese, con una
irrimediabile perdita di posti di lavoro e di mezzi di creazione di
reddito.
In realtà le imprese che si internazionalizzano hanno in media
una migliore performance di quelle strettamente nazionali e mediamente
si registra un guadagno netto di occupazione e di reddito nella stessa
impresa e/o nell'economia.
La Finanziaria 2006, approvata dal Governo e ancora all'esame del
Parlamento, esprime la consapevolezza di dover intervenire. Considerati
i limiti di finanza pubblica non si poteva forse fare di più di
ciò che è contenuto nella legge. L'alleggerimento del
cuneo contributivo va nella direzione giusta. E poi va riconosciuto
che la Finanziaria non è un provvedimento elettorale. Almeno
nella volontà del Governo. Ma la necessità di ristrutturazione
dell'economia e di fronteggiare l'internazionalizzazione richiede un
impegno comune più ampio di quello finora messo in campo. In
questo quadro, il problema attuale delle relazioni industriali va considerato
come co-essenziale al sostegno dell'auspicata trasformazione. Trasformazione
che riguarda l'internazionalizzazione, la specializzazione, i prodotti,
i processi produttivi e l'organizzazione del lavoro delle imprese; e
quindi le competenze, la qualificazione, la formazione delle risorse
umane e, di conseguenza, il loro migliore impiego in termini di rapporto
di lavoro instaurato, coinvolgimento nel processo produttivo, forme
di retribuzione e tempi di attività. Devono essere operate precise
scelte a favore della ricerca, dell'innovazione, della formazione, della
crescita dimensionale delle imprese, del loro inserimento nei mercati
internazionali, della riduzione del cuneo fiscale e contributivo. Alle
relazioni industriali compete, anche attraverso la revisione e la modernizzazione
delle regole, il compito di far sì che le imprese possano rispondere
con tempestività alle mutevoli esigenze dei mercati attraverso
una migliore organizzazione del lavoro. Nonché quello di sviluppare
i modi per favorire il conseguimento di retribuzioni più elevate
in quanto collegate a livelli di maggiore efficienza nella prestazione
e alla redditività dell'impresa. Obiettivo comune delle parti
sociali deve essere, quindi, l'impegno a perseguire condizioni di competitività e
di produttività tali da consentire il rafforzamento del sistema
produttivo, con particolare attenzione per quello strutturalmente più esposto
alla concorrenza internazionale; lo sviluppo dei fattori generatori
di occupazione e il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro
di tutti coloro che collaborano con l'impresa. Circa il cuneo contributivo,
qualcosa è previsto nella Finanziaria. Restano comunque a carico
delle imprese oneri impropri, che spetterebbero alla fiscalità generale.
Ciò che Confindustria chiede nei rapporti sindacali è la
definizione di un sistema regolato e che dia certezze. Non intendiamo
modificare l'articolazione dei contratti su due livelli, ma chiediamo
rispetto dei patti, idonee procedure di conciliazione e arbitrato,
aggiornamento dei criteri di rappresentanza sui luoghi di lavoro, l'ampliamento
delle clausole di tregua sindacale.
Riteniamo soprattutto che, per far fronte alla competizione internazionale,
la contrattazione collettiva debba essere strumento di flessibilizzazione
dell'organizzazione produttiva. Cosa che oggi purtroppo non é.
Le imprese dovrebbero poter fare affidamento su una maggiore quantità di
ore effettive di prestazione, con possibilità di modularne la
distribuzione in funzione delle esigenze produttive e del mercato. In
un contesto di acuta competizione e di elevata variabilità dei
mercati, occorre valorizzare il livello aziendale quale sede per l'adeguamento
delle retribuzioni alle condizioni economiche generali dell'impresa.
A questo scopo è necessaria la reale variabilità dei premi
di secondo livello e una crescita del loro peso percentuale nella struttura
della retribuzione individuale. Resta fermo che la professionalità specifica,
la rarità di determinati mestieri, il merito, devono continuare
a trovare adeguato riconoscimento economico secondo specifici criteri
adottati dall'impresa per la valorizzazione individuale delle prestazioni.
La contrattazione dovrebbe anche consentire la valorizzazione di diverse
tipologie contrattuali, sempre per tenere conto delle mutevoli esigenze
di mercati interni e internazionali. Abbiamo anche confermato nella
nostra proposta l'esigenza di procedere a una razionalizzazione del
numero dei contratti collettivi nazionali di categoria stipulati nell'ambito
del sistema Confindustria (attualmente 70 che disciplinano il rapporto
di lavoro di circa 4 milioni e mezzo di lavoratori subordinati). Le
imprese italiane ritengono che nel definire un nuovo "patto costituzionale" fra
le parti sociali sia necessario definire con maggiore precisione
la specializzazione delle diverse sedi negoziali.
Secondo il documento presentato ai sindacati, al contratto collettivo
nazionale di settore continua ad essere affidato il compito di definire
la dinamica dei trattamenti economici minimi per ciascun livello
di inquadramento professionale. Con l'ulteriore specificazione che l'obiettivo
mirato alla salvaguardia del potere d'acquisto delle retribuzioni
non rappresenta un automatismo. Ma dovrebbe invece costituire un obiettivo
da valutare unitamente alle tendenze generali dell'economia e del
mercato del lavoro, al raffronto competitivo e agli andamenti specifici
del settore, ivi compreso quello delle retribuzioni di fatto. Il contratto
nazionale di settore, quindi, determina gli aumenti dei minimi tabellari
in coerenza con i tassi di inflazione programmata da applicare sulle
voci retributive determinate nel contratto stesso. Ne consegue anche
la necessità di ridefinire le tempistiche della contrattazione
al fine di evitare la sovrapposizione dei cicli negoziali. La contrattazione
di secondo livello con contenuti economici, aziendale o alternativamente
territoriale, laddove già prevista, dovrebbe conseguire un'effettiva
variabilità dei premi in funzione dei risultati ottenuti nella
realizzazione di obiettivi concordati fra le parti. La contrattazione
di secondo livello, inoltre, si esercita tra i soggetti, nelle sedi,
nei tempi e per le materie stabiliti dalla contrattazione nazionale.
Siamo fiduciosi che intorno a queste proposte possa svilupparsi un
dibattito fruttuoso di risultati a breve termine. Restiamo comunque
certi di aver indicato soluzioni nell'interesse prioritario della crescita
economica e sociale del Paese, preoccupati della crisi produttiva e
finanziaria in cui siamo purtroppo impantanati.
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