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  Dicembre 2012

Articoli n° 9
novembre 2005
 


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Unione di avellino

Relazione del presidente Silvio Sarno

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A cura di Monica De Carluccio

PRATICHE AGRICOLE TRADIZIONALI E NON
LA CONVIVENZA TRA COLTURE È POSSIBILE?
Pareri ancora discordanti sull'utilizzo delle piante transgeniche

Dipartimento Insediamenti Produttivi e Interazione con l’Ambiente - ISPESL
Dipartimento Controllo e Gestione delle Merci e del loro Impatto sull’Ambiente - Università La Sapienza di Roma


Numerosi studi testimoniano la possibilità di convivenza tra le colture tradizionali, quelle GM e l'agricoltura biologica o eco-compatibile, nonostante i pareri discordanti sull'introduzione delle piante transgeniche in agricoltura. Il dibattito sulla possibile gestione delle biotecnologie per ottenere risultati redditizi e gestire in modo costruttivo i rischi sia tecnici sia mediali, é tuttora aperto. Nel 2003 le coltivazioni GM mondiali hanno toccato una superficie complessiva pari a 67,7 milioni di ettari. L'estensione delle colture biotech è in costante aumento: dal 2002 al 2003 l'incremento è stato del 15% di cui solo poco più dell'1% non é prodotto dai 5 Paesi leader per l'agricoltura intensiva (USA 63,2%, Argentina 20,5%, Canada 6,5%, Brasile 4,4% e Cina 4,1%). Anche in Europa si riscontra un aumento delle colture GM. In particolare la Romania ha incrementato del 50% la superficie coltivata a soia GM raggiungendo nel 2003 i 70.000 ettari, la Bulgaria è costante nella semina di poche migliaia di ettari di mais tollerante ai diserbanti, in Spagna la produzione di mais GM è aumentata del 33% passando dai 25.000 ettari del 2002 ai 32.000 del 2003, mentre la Germania prosegue nella coltivazione di una superficie seppur minima di mais GM. In Italia negli ultimi dieci anni si é verificato un rilancio della coltivazione eco-compatibile secondo la prassi dell'organic farming (esclusivo utilizzo delle sementi naturali e tolleranza zero per le contaminazioni GM). Tra le 960.000 aziende agricole operanti, sulla base delle indicazioni di Nomisma, più di 55.000 applicano una conduzione eco-compatibile di cui la fetta più consistente della produzione è legata al sud del Paese (metà é situata in Sicilia), mentre le imprese di trasformazione dei prodotti sono prevalentemente localizzate nel centro-nord (circa l'80%). Per la gran parte si tratta di aziende di piccole-medie dimensioni, con un fatturato che nel 60% dei casi non supera i 155 mila euro, mentre solo il 20% supera 500 milioni di fatturato. Ipotizzare ciò che avverrebbe nello scenario italiano all'indomani di una proposta su larga scala di prodotti agro-alimentari GM, risulta particolarmente difficile perché le indagini di mercato evidenziano fasce di compratori distinte: una forte componente conservatrice-conformista, ma anche una discreta porzione di acquirenti price driven, quindi decisamente rivolti a una scelta che soddisfi la primaria esigenza di portafoglio. Secondo un’indagine Coldiretti-Ispo del 2003, il 49% dei consumatori italiani preferisce prodotti "tradizionali", il 18% biologici, l'8% OGM free. Il 13% del campione comprerebbe cibi con OGM solo se costassero meno, ma ben il 53% non acquisterebbe alimenti biotech nemmeno se costassero il 20% in meno rispetto ai tradizionali, mentre il 52% crede che i cibi con OGM siano nocivi.
A destare timori e sospetti da parte di molti consumatori e addetti ai lavori é l'impossibilità di evitare in modo assoluto (~0,1%) contaminazioni tra le colture e la vicinanza delle filiere di trasformazione tradizionale/GM a meno di significativi cambiamenti nelle pratiche d'azienda. Il D.L. n. 279 del 2004 fissa vincoli rigorosi, proprio per tutelare il consumatore circa la possibilità di "inquinamento colturale". Numerosi studi econometrici relativi alla coesistenza delle coltivazioni sostengono la convenienza dei prodotti GM, altri indicano come sia pressoché impossibile, praticando simultaneamente i tre tipi di coltivazione (biotech, tradizionale ed eco-compatibile), discostarsi da un range di alterazione delle piantagioni compreso tra lo 0,3 e l'1%, percentuali comunque ridottissime se non insignificanti, soprattutto se non esiste prova di contaminazione tra le coltivazioni venute a contatto e tra i loro prodotti. I dati attuali attestano come anche agro-economie del vecchio continente possano essere associate a forme produttive innovative. Scegliere il biotech non vuol dire rinnegare un'invidiabile storia alimentare, né tanto meno mettere a repentaglio l'artigianato enogastronomico nazionale. Un esempio è proprio la Spagna, con i suoi 32.000 ettari di mais Bt. Un recente studio svolto in Nord America indica la possibilità di convivenza delle colture senza rischi; laddove si siano verificati problemi è stata provata la scarsa attenzione nella separazione post-raccolta. Lo studio riporta come gran parte dei coltivatori di biologico non abbiano lamentato problemi né abbiano dovuto sostenere costi aggiuntivi a causa della vicinanza delle colture GM. Il differente grado di penetrazione delle colture GM rilevato negli USA sembra suggerire che l'innovazione agro-biotech agisce in modo selettivo ed è adottata dagli agricoltori in base alla capacità di risoluzione di problemi specifici, là dove essi esistono. Un'eventuale coesistenza nostrana delle colture richiederebbe non pochi sforzi economici per un monitoraggio continuo delle pratiche agricole per rispondere al timore di contaminazioni che potrebbe venire da parte dei consumatori. Garantire i fruitori circa l'origine e l'iter del prodotto, infatti, resta comunque un must del commercio moderno. L'opportunità OGM necessita un'attenta "preparazione della domanda", iniziando dall'immagine di prodotto e dall'appetibilità dello stesso. La richiesta di cibi biotech dovrà essere valutata preventivamente, andando a quantificare come e dove operare al fine di una diffusa informazione che regoli la richiesta non solo in base al costo, ma anche in relazione ai benefici sociali e ambientali. La coesistenza tra colture necessita, in primis, la convinzione totale dei decisori, degli stakeholder di filiera, delle istituzioni locali e degli acquirenti potenziali, dentro come fuori dei confini nazionali. La convivenza colturale deve essere valutata guardando ai numeri con attenzione. Se i recenti sistemi di indagine dell'UE, testimoniano come sia pressoché irrealizzabile una simultaneità tra agricoltura convenzionale, eco-compatibile e biotech, che limiti allo 0,1% la percentuale di alterazione accidentale delle pratiche di campo, è anche vero che una percentuale così bassa, una volta superata di pochi decimi, non può essere ritenuta statisticamente capace di reali stravolgimenti. Il Protocollo sulla Biosicurezza, nella piena consapevolezza della linea sottile che unisce Ricerca e applicazione, ha stabilito in modo preventivo, il "principio di precauzione". La "buona gestione dei rischi", alla quale viene fatto esplicito riferimento, impone concetti quali proporzionalità, non discriminazione, coerenza, esami attenti dei vantaggi e degli oneri. Non manca il richiamo a un'attenzione dovuta allo studio delle evoluzioni scientifiche in fieri. Le norme non mancano affinché la domanda agro-alimentare italiana ed europea si possa dire rassicurata. I dati menzionati confermano come anche agro-economie del vecchio continente possano essere associate a forme produttive innovative. La convivenza delle colture è possibile e, probabilmente grandemente conveniente, ma solo nel momento in cui l'acquirente entrerà in possesso delle specifiche corrette su cui basare la propria scelta di spesa si potrà parlare di successo o insuccesso dei prodotti GM.

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