A cura di Monica De Carluccio
PRATICHE AGRICOLE TRADIZIONALI E NON
LA CONVIVENZA TRA COLTURE È POSSIBILE?
Pareri ancora discordanti sull'utilizzo
delle piante transgeniche
Dipartimento
Insediamenti Produttivi e Interazione con l’Ambiente - ISPESL
Dipartimento Controllo e Gestione delle Merci e del loro Impatto
sull’Ambiente - Università La Sapienza di Roma
Numerosi studi testimoniano la possibilità di convivenza tra le
colture tradizionali, quelle GM e l'agricoltura biologica o eco-compatibile,
nonostante i pareri discordanti sull'introduzione delle piante transgeniche
in agricoltura. Il dibattito sulla possibile gestione delle biotecnologie
per ottenere risultati redditizi e gestire in modo costruttivo i
rischi sia tecnici sia mediali, é tuttora aperto. Nel 2003 le coltivazioni
GM mondiali hanno toccato una superficie complessiva pari a 67,7
milioni di ettari. L'estensione delle colture biotech è in costante
aumento: dal 2002 al 2003 l'incremento è stato del 15% di cui solo
poco più dell'1%
non é prodotto dai 5 Paesi leader per l'agricoltura intensiva (USA
63,2%, Argentina 20,5%, Canada 6,5%, Brasile 4,4% e Cina 4,1%). Anche
in Europa si riscontra un aumento delle colture GM. In particolare
la Romania ha incrementato del 50% la superficie coltivata a soia GM raggiungendo
nel 2003 i 70.000 ettari, la Bulgaria è costante nella semina di
poche migliaia di ettari di mais tollerante ai diserbanti, in Spagna
la produzione di mais GM è aumentata del 33% passando dai 25.000
ettari del 2002 ai 32.000 del 2003, mentre la Germania prosegue nella
coltivazione di una superficie seppur minima di mais GM. In Italia negli
ultimi dieci anni si é verificato un rilancio della coltivazione
eco-compatibile secondo la prassi dell'organic farming (esclusivo utilizzo
delle sementi naturali e tolleranza zero per le contaminazioni GM). Tra
le 960.000 aziende agricole operanti, sulla base delle indicazioni di Nomisma,
più di
55.000 applicano una conduzione eco-compatibile di cui la fetta più consistente
della produzione è legata al sud del Paese (metà é situata
in Sicilia), mentre le imprese di trasformazione dei prodotti sono
prevalentemente localizzate nel centro-nord (circa l'80%). Per la
gran parte si tratta di aziende di piccole-medie dimensioni, con un fatturato
che nel 60% dei casi non supera i 155 mila euro, mentre solo il 20%
supera 500 milioni di fatturato. Ipotizzare ciò che avverrebbe nello
scenario italiano all'indomani di una proposta su larga scala di prodotti
agro-alimentari GM, risulta particolarmente difficile perché le
indagini di mercato evidenziano fasce di compratori distinte: una forte
componente conservatrice-conformista, ma anche una discreta porzione di
acquirenti price driven, quindi decisamente rivolti a una scelta che soddisfi
la primaria esigenza di portafoglio. Secondo un’indagine Coldiretti-Ispo
del 2003, il 49% dei consumatori italiani preferisce prodotti "tradizionali",
il 18% biologici, l'8% OGM free. Il 13% del campione comprerebbe cibi con
OGM solo se costassero meno, ma ben il 53% non acquisterebbe alimenti biotech
nemmeno se costassero il 20% in meno rispetto ai tradizionali, mentre il
52% crede che i cibi con OGM siano nocivi.
A destare timori e sospetti da parte di molti consumatori e addetti
ai lavori é l'impossibilità di evitare in modo assoluto (~0,1%)
contaminazioni tra le colture e la vicinanza delle filiere di trasformazione
tradizionale/GM a meno di significativi cambiamenti nelle pratiche d'azienda.
Il D.L. n. 279 del 2004 fissa vincoli rigorosi, proprio per tutelare il
consumatore circa la possibilità di "inquinamento colturale".
Numerosi studi econometrici relativi alla coesistenza delle coltivazioni
sostengono la convenienza dei prodotti GM, altri indicano come sia pressoché impossibile,
praticando simultaneamente i tre tipi di coltivazione (biotech, tradizionale
ed eco-compatibile), discostarsi da un range di alterazione delle piantagioni
compreso tra lo 0,3 e l'1%, percentuali comunque ridottissime se non insignificanti,
soprattutto se non esiste prova di contaminazione tra le coltivazioni venute
a contatto e tra i loro prodotti. I dati attuali attestano come anche agro-economie
del vecchio continente possano essere associate a forme produttive innovative.
Scegliere il biotech non vuol dire rinnegare un'invidiabile storia alimentare,
né tanto meno mettere a repentaglio l'artigianato enogastronomico
nazionale. Un esempio è proprio la Spagna, con i suoi 32.000 ettari
di mais Bt. Un recente studio svolto in Nord America indica la possibilità di
convivenza delle colture senza rischi; laddove si siano verificati problemi è stata
provata la scarsa attenzione nella separazione post-raccolta. Lo studio
riporta come gran parte dei coltivatori di biologico non abbiano lamentato
problemi né abbiano dovuto sostenere costi aggiuntivi a causa della
vicinanza delle colture GM. Il differente grado di penetrazione delle colture
GM rilevato negli USA sembra suggerire che l'innovazione agro-biotech agisce
in modo selettivo ed è adottata dagli agricoltori in base alla capacità di
risoluzione di problemi specifici, là dove essi esistono. Un'eventuale
coesistenza nostrana delle colture richiederebbe non pochi sforzi economici
per un monitoraggio continuo delle pratiche agricole per rispondere al
timore di contaminazioni che potrebbe venire da parte dei consumatori.
Garantire i fruitori circa l'origine e l'iter del prodotto, infatti, resta
comunque un must del commercio moderno. L'opportunità OGM necessita
un'attenta "preparazione della domanda", iniziando dall'immagine
di prodotto e dall'appetibilità dello stesso. La richiesta di cibi
biotech dovrà essere valutata preventivamente, andando a quantificare
come e dove operare al fine di una diffusa informazione che regoli la richiesta
non solo in base al costo, ma anche in relazione ai benefici sociali e
ambientali. La coesistenza tra colture necessita, in primis, la convinzione
totale dei decisori, degli stakeholder di filiera, delle istituzioni locali
e degli acquirenti potenziali, dentro come fuori dei confini nazionali.
La convivenza colturale deve essere valutata guardando ai numeri con attenzione.
Se i recenti sistemi di indagine dell'UE, testimoniano come sia pressoché irrealizzabile
una simultaneità tra agricoltura convenzionale, eco-compatibile
e biotech, che limiti allo 0,1% la percentuale di alterazione accidentale
delle pratiche di campo, è anche vero che una percentuale così bassa,
una volta superata di pochi decimi, non può essere ritenuta statisticamente
capace di reali stravolgimenti. Il Protocollo sulla Biosicurezza, nella
piena consapevolezza della linea sottile che unisce Ricerca e applicazione,
ha stabilito in modo preventivo, il "principio di precauzione".
La "buona gestione dei rischi", alla quale viene fatto esplicito
riferimento, impone concetti quali proporzionalità, non discriminazione,
coerenza, esami attenti dei vantaggi e degli oneri. Non manca il richiamo
a un'attenzione dovuta allo studio delle evoluzioni scientifiche in fieri.
Le norme non mancano affinché la domanda agro-alimentare italiana
ed europea si possa dire rassicurata. I dati menzionati confermano come
anche agro-economie del vecchio continente possano essere associate a forme
produttive innovative. La convivenza delle colture è possibile e,
probabilmente grandemente conveniente, ma solo nel momento in cui l'acquirente
entrerà in possesso delle specifiche corrette su cui basare la propria
scelta di spesa si potrà parlare di successo o insuccesso dei prodotti
GM.
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