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  Dicembre 2012

Articoli n° 6
Luglio 2005
 
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IL DECRETO LEGGE 35/2005
NUOVE REGOLE DEL LAVORO ACCESSORIO

LA “SOSTITUZIONE EDILIZIA”
IL COMUNE DI ROMA INNOVA

IL DECRETO LEGGE 35/2005
NUOVE REGOLE DEL LAVORO ACCESSORIO
Un provvedimento che in realtà incide poco sulla competitività

Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno

avvocato.ioelelorenzo@tin.it

Il D.L. 14 marzo 2005 n.35 recante disposizioni nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale (sinteticamente definito sulla competitività) è stato convertito in Legge 14 maggio 2005 n.80. Il contenuto del provvedimento di conversione è stato ampliato con deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione, di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, e riguarda una pluralità di materie tutte interessanti per le imprese. Si tratta di norme in tema di incentivi, di semplificazioni amministrative, di investimenti, di IRAP, di cessioni dello stipendio, di previdenza, di riforma del codice di procedura civile e, persino, in materia di terzo settore. Un panorama dunque molto ampio e che non sembra legato specificamente e integralmente al tema della "competitività", così come viene sinteticamente definito. Soprattutto le innovazioni in materia di lavoro sembrano piuttosto volte ad aggiustare la disciplina approvata in precedenza, secondo una tradizione del nostro legislatore che negli ultimi anni si va consolidando nel senso di legiferare senza un'adeguata e preventiva riflessione, così da essere costretto, dopo l'esperienza applicativa, a intervenire nuovamente. In particolare voglio soffermarmi sulle innovazioni che hanno riguardato il D.Lgs. 276/2003. É stata innovata la regolamentazione del lavoro accessorio. Le prestazioni di lavoro accessorio sono quelle attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirvi. Il D.Lgs. 276/03 limita tale fattispecie ad ambiti circoscritti (piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini, alle persone anziane o con handicap; insegnamento privato individuale; piccoli lavori di giardinaggio nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi). Il provvedimento sulla competitività ha esteso tale ambito all'impresa familiare di cui all'art.230 bis del c.c. limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi. É stato dunque allargato l'ambito di una disciplina, peraltro, non ancora operativa poiché ne è prevista una fase di sperimentazione in aree geografiche da individuare con decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il lavoro accessorio nell'impresa familiare, commerciale, turistica o di servizi ha anche una sua specificità. É noto, infatti, che il lavoro accessorio nel D.Lgs. 276/03 era circoscritto da due limiti: la durata non superiore a 30 giorni e il compenso inferiore a 5000 euro nell'arco dell'anno solare. Il primo limite è stato abrogato, ragion per cui allo stato e salvo ripensamenti del legislatore, il lavoro accessorio in tutti gli ambiti previsti può anche superare i 30 giorni nel corso dell'anno solare. É rimasto il secondo limite, relativo al compenso che in linea generale non può superare 5000 euro nel corso dell'anno solare con riferimento al medesimo committente. Per le imprese familiari il limite è elevato a 10.000 euro. Altra specificità è data dal fatto che per il lavoro accessorio nell'impresa familiare la disciplina contributiva e assicurativa dovrà essere quella del lavoro subordinato in luogo del meccanismo dei "buoni" previsto per le altre ipotesi. Altre innovazioni hanno riguardato il lavoro intermittente o "a chiamata" che era previsto, in via sperimentale, per soggetti in situazione di disagio sociale (stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero per lavoratori con più di 45 anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento). La condizione di disagio sociale richiesta dalla precedente normativa è stata soppressa così come il riferimento alla natura sperimentale del lavoro intermittente, ragion per cui è ammesso per soggetti con meno di 25 anni di età ovvero con più di 45 anni, anche pensionati. Altra tipologia contrattuale innovata è l'apprendistato professionalizzante sul quale mi sono già intrattenuto in un mio precedente intervento. Il D.Lgs. 276/2003 demandava alle Regioni la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante. Il legislatore, molto opportunamente, ha aggiunto all'art.49 del D.Lgs. n.276/2003 il comma 5 bis, secondo cui «fino all'applicazione della legge regionale, prevista dal comma 5 la disciplina dell'apprendistato professionalizzante è rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». La formulazione normativa si riferisce specificamente ai contratti collettivi nazionali di categoria sicchè solo in tale contesto appare possibile la regolamentazione dell'apprendistato professionalizzante anche riguardo ai profili formativi. Per tale ragione non sarebbero idonei, ai fini di legge, accordi anche di livello nazionale, che abbiano a oggetto esclusivo la regolamentazione di tale tipo contrattuale. L'ultima tipologia contrattuale innovata è il contratto di inserimento (ex Cfl). L'inno-vazione riguarda il profilo del sotto inquadramento che, in linea generale, è consentito nel limite di due livelli rispetto alla qualifica al cui conseguimento è preordinato il contratto. Tale regolamentazione del sotto inquadramento non troverà applicazione per i soggetti di cui all'art.54 comma 1° lett. e) del D.Lgs. 276/2003 (donne di qualsiasi età residenti in un area geografica in cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze sia inferiore almeno del 20% di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile sia superiore del 10% di quello maschile). Giova rammentare che il contratto di inserimento ha la finalità di «realizzare mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro» per una serie di soggetti socialmente disagiati (ad esempio i giovani tra i 18 e i 29 anni, i disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni, i disoccupati con più di 50 anni, ecc.), e, tra questi soggetti, vi sono anche le donne in zone in cui il mercato del lavoro presenta le caratteristiche sopra descritte. Per effetto dell'innovazione normativa, dunque, se la donna viene assunta con contratto di inserimento perché rientrante in una zona particolarmente disagiata per la manodopera femminile, non sarà possibile un inquadramento iniziale inferiore a quello di uscita dal contratto di inserimento, mentre ciò sarà possibile ove, pure essendo donna, rientri in una delle altre categorie individuate dal legislatore. Le innovazioni sin qui illustrate sembrano, dunque, avere ben poco a che fare con la competitività dell'industria italiana e appaiono piuttosto aggiustamenti, peraltro poco incisivi (in tema di apprendistato professionalizzante), provvidenze per settori ristretti di mercato (in tema di imprese familiari), aggiustamenti di natura politica (contratto di inserimento per le donne).

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