iL CONTENUTO DELLA RACCOMANDATA
la sola ricezione non costituisce prova
IL DECRETO LEGGE 35/2005
NUOVE REGOLE DEL LAVORO ACCESSORIO
LA “SOSTITUZIONE
EDILIZIA”
IL COMUNE DI ROMA INNOVA
IL DECRETO LEGGE 35/2005
NUOVE REGOLE DEL LAVORO ACCESSORIO
Un provvedimento che in realtà incide
poco sulla competitività
Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
Il D.L. 14 marzo 2005 n.35 recante disposizioni nell'ambito
del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale
(sinteticamente definito sulla competitività) è stato convertito
in Legge 14 maggio 2005 n.80. Il contenuto del provvedimento di conversione è stato
ampliato con deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura
civile in materia di processo di cassazione, di arbitrato nonché per
la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali,
e riguarda una pluralità di materie tutte interessanti per le imprese.
Si tratta di norme in tema di incentivi, di semplificazioni amministrative,
di investimenti, di IRAP, di cessioni dello stipendio, di previdenza,
di riforma del codice di procedura civile e, persino, in materia di terzo
settore. Un panorama dunque molto ampio e che non sembra legato specificamente
e integralmente al tema della "competitività", così come
viene sinteticamente definito. Soprattutto le innovazioni in materia
di lavoro sembrano piuttosto volte ad aggiustare la disciplina approvata
in precedenza, secondo una tradizione del nostro legislatore che negli
ultimi anni si va consolidando nel senso di legiferare senza un'adeguata
e preventiva riflessione, così da essere costretto, dopo l'esperienza
applicativa, a intervenire nuovamente. In particolare voglio soffermarmi
sulle innovazioni che hanno riguardato il D.Lgs. 276/2003. É stata
innovata la regolamentazione del lavoro accessorio. Le prestazioni di lavoro
accessorio sono quelle attività lavorative di natura meramente occasionale
rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora entrati
nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirvi. Il D.Lgs. 276/03
limita tale fattispecie ad ambiti circoscritti (piccoli lavori domestici
a carattere straordinario, compresa l'assistenza domiciliare ai bambini,
alle persone anziane o con handicap; insegnamento privato individuale;
piccoli lavori di giardinaggio nonché di pulizia e manutenzione
di edifici e monumenti; realizzazione di manifestazioni sociali, sportive,
culturali o caritatevoli; collaborazione con enti pubblici e associazioni
di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza come quelli dovuti
a calamità o
eventi naturali improvvisi). Il provvedimento sulla competitività ha
esteso tale ambito all'impresa familiare di cui all'art.230 bis del
c.c. limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi. É stato
dunque allargato l'ambito di una disciplina, peraltro, non ancora operativa
poiché ne è prevista
una fase di sperimentazione in aree geografiche da individuare con
decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il lavoro
accessorio nell'impresa familiare, commerciale, turistica o di servizi
ha anche una sua specificità. É noto, infatti, che il lavoro
accessorio nel D.Lgs. 276/03 era circoscritto da due limiti: la durata
non superiore a 30 giorni e il compenso inferiore a 5000 euro nell'arco
dell'anno solare. Il primo limite è stato abrogato, ragion per cui
allo stato e salvo ripensamenti del legislatore, il lavoro accessorio in
tutti gli ambiti previsti può anche superare i 30 giorni nel corso
dell'anno solare. É rimasto
il secondo limite, relativo al compenso che in linea generale non
può superare
5000 euro nel corso dell'anno solare con riferimento al medesimo
committente. Per le imprese familiari il limite è elevato a 10.000
euro. Altra specificità è data dal fatto che per il lavoro
accessorio nell'impresa familiare la disciplina contributiva e assicurativa
dovrà essere
quella del lavoro subordinato in luogo del meccanismo dei "buoni" previsto
per le altre ipotesi. Altre innovazioni hanno riguardato il lavoro
intermittente o "a chiamata" che era previsto, in via sperimentale,
per soggetti in situazione di disagio sociale (stato di disoccupazione
con meno di 25 anni di età ovvero per lavoratori con più di
45 anni di età espulsi
dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento).
La condizione di disagio sociale richiesta dalla precedente normativa è stata
soppressa così come il riferimento alla natura sperimentale del
lavoro intermittente, ragion per cui è ammesso per soggetti con
meno di 25 anni di età ovvero con più di 45 anni, anche pensionati.
Altra tipologia contrattuale innovata è l'apprendistato professionalizzante
sul quale mi sono già intrattenuto in un mio precedente intervento.
Il D.Lgs. 276/2003 demandava alle Regioni la regolamentazione dei
profili formativi dell'apprendistato professionalizzante. Il legislatore,
molto opportunamente, ha aggiunto all'art.49 del D.Lgs. n.276/2003
il comma 5 bis, secondo cui «fino all'applicazione della legge regionale,
prevista dal comma 5 la disciplina dell'apprendistato professionalizzante è rimessa
ai contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni
dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale». La formulazione normativa si riferisce specificamente
ai contratti collettivi nazionali di categoria sicchè solo in tale
contesto appare possibile la regolamentazione dell'apprendistato
professionalizzante anche riguardo ai profili formativi. Per tale
ragione non sarebbero idonei, ai fini di legge, accordi anche di livello
nazionale, che abbiano a oggetto esclusivo la regolamentazione di tale
tipo contrattuale. L'ultima tipologia contrattuale innovata è il
contratto di inserimento (ex Cfl). L'inno-vazione riguarda il profilo del
sotto inquadramento che, in linea generale, è consentito
nel limite di due livelli rispetto alla qualifica al cui conseguimento è preordinato
il contratto. Tale regolamentazione del sotto inquadramento non troverà applicazione
per i soggetti di cui all'art.54 comma 1° lett. e) del D.Lgs. 276/2003
(donne di qualsiasi età residenti in un area geografica in cui il
tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il
Ministero dell'Economia e delle Finanze sia inferiore almeno del 20% di
quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile sia superiore
del 10% di quello maschile). Giova rammentare che il contratto di inserimento
ha la finalità di «realizzare
mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze
professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo,
l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro» per
una serie di soggetti socialmente disagiati (ad esempio i giovani tra i
18 e i 29 anni, i disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni, i disoccupati
con più di
50 anni, ecc.), e, tra questi soggetti, vi sono anche le donne in
zone in cui il mercato del lavoro presenta le caratteristiche sopra descritte.
Per effetto dell'innovazione normativa, dunque, se la donna viene
assunta con contratto di inserimento perché rientrante in una zona
particolarmente disagiata per la manodopera femminile, non sarà possibile
un inquadramento iniziale inferiore a quello di uscita dal contratto di
inserimento, mentre ciò sarà possibile ove, pure essendo
donna, rientri in una delle altre categorie individuate dal legislatore.
Le innovazioni sin qui illustrate sembrano, dunque, avere ben poco a che
fare con la competitività dell'industria
italiana e appaiono piuttosto aggiustamenti, peraltro poco incisivi
(in tema di apprendistato professionalizzante), provvidenze per settori
ristretti di mercato (in tema di imprese familiari), aggiustamenti
di natura politica (contratto di inserimento per le donne).
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