PRIVACY E Comunicazione interna
Il criterio di pertinenza
Nel silenzio della legge tocca
all'interprete offrire una soluzione
Rosario
Imperiali
Studio Legale Imperiali
rosario.imperiali@imperiali.com
Basta una semplice ricerca in internet, alla voce "comunicazione
aziendale", per trovare una li-sta di siti dove si pubblicizzano
master in "gestione delle risorse umane e comunicazione
aziendale", oppure corsi su "come migliorare i
rapporti in azienda". Se accettiamo di riconoscere un
valore almeno indicativo all'omogeneità delle risposte
del motore di ricerca, dobbiamo ammettere che la comunicazione
interna è percepita ormai come una costola della gestione
del personale e dell'organizzazione aziendale. Non, dunque,
una propaggine del marketing e di altre forme di comunicazione
pubblicitaria. Viene perciò da chiedersi se la comunicazione
aziendale sia un momento ne-cessario e fisiologico del rapporto
di lavoro.
La comunicazione aziendale
Sottraendoci a problemi di definizione che competono a esperti
di comunicazione, proviamo a individuare alcune azioni della
quotidianità lavorativa riconducibili alla comunicazione
aziendale. Appar-tengono a questo ambito tutte le attività con
cui un'azienda mette i propri dipendenti al corrente di valori,
strategie, direttive, indirizzi; nonché le attività finalizzate
a migliorare la collaborazione reciproca fra dipendenti e
il lavoro di team, ma anche, nelle aziende il cui core business
lo giustifichi, le attività di apertura al mondo esterno
e di socializzazione.
Gli aspetti privacy
La corretta collocazione giuridica delle attività descritte
determina conseguenze importanti sul fronte degli adempimenti
privacy. Nel "sistema europeo" di protezione dei
dati personali, un trattamento deve poggiare sul consenso
della persona cui i dati si riferiscono (interessato), a
meno che non si fondi su un altro fra i presupposti legittimanti
indicati dalla normativa privacy, nel qual caso il consenso
non serve. Uno fra questi presupposti - chiamati tecnicamente "condizioni
di equipollenza" - può derivare da obblighi scaturenti
da un contratto, da una norma di legge o di regolamento,
o da una norma comunitaria. Chi cercasse una norma che impone
esplicitamente la comunicazione aziendale, rimarrebbe deluso:
né il legislatore europeo né quello italiano
l’hanno dettata. Fermandoci qui, dovremmo arrivare
a una conclusione estrema: l'Azienda che vuole mandare e-mail
ai dipendenti, o rendere noti eventi connessi alla mission
aziendale, deve avere un preventivo, specifico consenso dei
dipendenti.
Importante è il fine
Se così fosse, alcuni dipendenti avrebbero il diritto
di negare il loro consenso a ricevere quelle comunicazioni
aziendali che non sono strettamente di servizio. La tutela
privacy legittimerebbe la nascita di due comparti aziendali:
i dipendenti che accettano quelle comunicazioni che contribuiscono
alla nascita di una comunità aziendale e quelli che
non vogliono esserne destinatari. In realtà, il codice
privacy offre uno spartiacque molto netto per evitare abusi:
il criterio di pertinenza. Il Titolare deve trattare i dati
in modo pertinente (cioè congruo) ai fini per cui
li ha raccolti. Se il datore di lavoro usasse gli indirizzi
e-mail dei suoi dipendenti per fare propaganda politica a
favore di un partito o di un candidato alle elezioni, violerebbe
questo principio. Infatti, fra il fine della raccolta dei
dati dei dipendenti (esecuzione del rapporto di lavoro) e
quello della propaganda (comunicazione politica) non vi è alcun
legame di pertinenza.
Le leggi che tutelano il lavoratore
In realtà, la legislazione del lavoro è frutto
di una complessa stratificazione che dura da decenni. Le
leggi più recenti (come la riforma Biagi) si occupano
di aspetti relativi alla tipologia o alla durata del contratto.
Più a ritroso, si trovano leggi su aspetti specifici
(tutela della maternità, della donna, etc.) e ancora
più indietro, interventi a protezione dei diritti
e della dignità dei lavoratori (Statuto dei lavoratori).
Ma per trovare la cornice complessiva del rapporto di lavoro
subordinato risaliamo al Codice Civile, varato sessantatre
anni fa. Prima di verificare cosa questo dispone, è opportuna
una premessa: nel 1942 non esistevano internet e la posta
elettronica, non esistevano i computer, non tutti i dipendenti
avevano una postazione telefonica, e così via. Già su
un piano di mero adattamento della norma alla realtà odierna,
occorre essere pronti a una lettura aggiornata. In effetti, è proprio
il codice civile a dettare la norma che costituisce il fondamento
di quelle comunicazioni aziendali che, pur non essendo strettamente "di
servizio", sono comunque pertinenti al rapporto di lavoro,
vale a dire non manifestamente incompatibili con esso. Secondo
l'art. 2094 del Codice Civile, è prestatore di lavoro
subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o
manuale alle dipendenze e sotto la direzione del datore di
lavoro. Di qui, la Corte di Cassazione ha desunto la definizione
del potere del datore come potere direttivo, organizzativo
e disciplinare. È attività d'impresa un'attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni
o servizi. L'imprenditore è il capo dell'impresa,
e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori.
Se l'impresa è un ente organizzato di cui l'imprenditore è il
capo, la comunicazione interna è uno dei canali attraverso
cui l'organizzazione prende corpo.
Cosa accade nel mondo pubblico
Se il diritto del lavoro non si è soffermato a dettagliare
la cornice creata dal Codice Civile, forse ciò dipende
dal fatto che non ve n'era bisogno. In ambiti diversi, leggi
recenti hanno esplicitamente incoraggiato ciò che
abbiamo definito come "comunicazione aziendale".
Nel 2000, nel settore pubblico è stata varata una
legge, la "150", che promuove la comunicazione
istituzionale interna ed esterna da parte delle pubbliche
amministrazioni. Numerose direttive del Ministro della Funzione
Pub-blica hanno raccomandato l'uso delle e-mail nelle comunicazioni
fra pubblici funzionari. Il Codice dell'Amministrazione digitale,
approvato nel marzo 2005 e destinato a entrare in vigore
il 1° gennaio 2006, ha dettato l'obbligo per le pubbliche
amministrazioni di utilizzare la posta elettronica per lo
scambio di documenti e informazioni, verificandone la provenienza.
Un’opportunità nel rispetto
delle regole
Alla domanda iniziale «La comunicazione aziendale è un
momento necessario e fisiologico del rapporto di lavoro?» possiamo
rispondere sì. A patto che ci si muova sul binario
della pertinenza e quindi della compatibilità con
lo scopo che giustifica il trattamento dei dati personali
dei dipendenti. L'organizzazione compete all'imprenditore
e - purché lecita - è libero strumento per
raggiungere i fini imprenditoriali. Dunque, sta all'imprenditore
scegliere se e quanto la comunicazione aziendale sia utile
alla crescita dell'organizzazione e alla motivazione del
personale, ma questa libertà di scelta deve fare i
conti col rispetto del criterio di pertinenza e della dignità dei
lavoratori. Per attività come l'invio di e-mail ai
dipendenti, l'imprenditore è sicuramente tenuto a
dare un'adeguata informativa privacy ai dipendenti. Tuttavia,
non deve chiedere il loro consenso, dal momento che il presupposto
legittimante del trattamento risiede in quella discrezionalità dell'esercizio
della organizzazione imprenditoriale che il Codice Civile
gli riconosce.
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