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  Dicembre 2012

Articoli n° 6
Luglio 2005
 
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PRIVACY E Comunicazione interna
Il criterio di pertinenza
Nel silenzio della legge tocca all'interprete offrire una soluzione

Rosario Imperiali
Studio Legale Imperiali
rosario.imperiali@imperiali.com

 

Basta una semplice ricerca in internet, alla voce "comunicazione aziendale", per trovare una li-sta di siti dove si pubblicizzano master in "gestione delle risorse umane e comunicazione aziendale", oppure corsi su "come migliorare i rapporti in azienda". Se accettiamo di riconoscere un valore almeno indicativo all'omogeneità delle risposte del motore di ricerca, dobbiamo ammettere che la comunicazione interna è percepita ormai come una costola della gestione del personale e dell'organizzazione aziendale. Non, dunque, una propaggine del marketing e di altre forme di comunicazione pubblicitaria. Viene perciò da chiedersi se la comunicazione aziendale sia un momento ne-cessario e fisiologico del rapporto di lavoro.

La comunicazione aziendale
Sottraendoci a problemi di definizione che competono a esperti di comunicazione, proviamo a individuare alcune azioni della quotidianità lavorativa riconducibili alla comunicazione aziendale. Appar-tengono a questo ambito tutte le attività con cui un'azienda mette i propri dipendenti al corrente di valori, strategie, direttive, indirizzi; nonché le attività finalizzate a migliorare la collaborazione reciproca fra dipendenti e il lavoro di team, ma anche, nelle aziende il cui core business lo giustifichi, le attività di apertura al mondo esterno e di socializzazione.

Gli aspetti privacy
La corretta collocazione giuridica delle attività descritte determina conseguenze importanti sul fronte degli adempimenti privacy. Nel "sistema europeo" di protezione dei dati personali, un trattamento deve poggiare sul consenso della persona cui i dati si riferiscono (interessato), a meno che non si fondi su un altro fra i presupposti legittimanti indicati dalla normativa privacy, nel qual caso il consenso non serve. Uno fra questi presupposti - chiamati tecnicamente "condizioni di equipollenza" - può derivare da obblighi scaturenti da un contratto, da una norma di legge o di regolamento, o da una norma comunitaria. Chi cercasse una norma che impone esplicitamente la comunicazione aziendale, rimarrebbe deluso: né il legislatore europeo né quello italiano l’hanno dettata. Fermandoci qui, dovremmo arrivare a una conclusione estrema: l'Azienda che vuole mandare e-mail ai dipendenti, o rendere noti eventi connessi alla mission aziendale, deve avere un preventivo, specifico consenso dei dipendenti.

Importante è il fine
Se così fosse, alcuni dipendenti avrebbero il diritto di negare il loro consenso a ricevere quelle comunicazioni aziendali che non sono strettamente di servizio. La tutela privacy legittimerebbe la nascita di due comparti aziendali: i dipendenti che accettano quelle comunicazioni che contribuiscono alla nascita di una comunità aziendale e quelli che non vogliono esserne destinatari. In realtà, il codice privacy offre uno spartiacque molto netto per evitare abusi: il criterio di pertinenza. Il Titolare deve trattare i dati in modo pertinente (cioè congruo) ai fini per cui li ha raccolti. Se il datore di lavoro usasse gli indirizzi e-mail dei suoi dipendenti per fare propaganda politica a favore di un partito o di un candidato alle elezioni, violerebbe questo principio. Infatti, fra il fine della raccolta dei dati dei dipendenti (esecuzione del rapporto di lavoro) e quello della propaganda (comunicazione politica) non vi è alcun legame di pertinenza.

Le leggi che tutelano il lavoratore
In realtà, la legislazione del lavoro è frutto di una complessa stratificazione che dura da decenni. Le leggi più recenti (come la riforma Biagi) si occupano di aspetti relativi alla tipologia o alla durata del contratto. Più a ritroso, si trovano leggi su aspetti specifici (tutela della maternità, della donna, etc.) e ancora più indietro, interventi a protezione dei diritti e della dignità dei lavoratori (Statuto dei lavoratori). Ma per trovare la cornice complessiva del rapporto di lavoro subordinato risaliamo al Codice Civile, varato sessantatre anni fa. Prima di verificare cosa questo dispone, è opportuna una premessa: nel 1942 non esistevano internet e la posta elettronica, non esistevano i computer, non tutti i dipendenti avevano una postazione telefonica, e così via. Già su un piano di mero adattamento della norma alla realtà odierna, occorre essere pronti a una lettura aggiornata. In effetti, è proprio il codice civile a dettare la norma che costituisce il fondamento di quelle comunicazioni aziendali che, pur non essendo strettamente "di servizio", sono comunque pertinenti al rapporto di lavoro, vale a dire non manifestamente incompatibili con esso. Secondo l'art. 2094 del Codice Civile, è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. Di qui, la Corte di Cassazione ha desunto la definizione del potere del datore come potere direttivo, organizzativo e disciplinare. È attività d'impresa un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. L'imprenditore è il capo dell'impresa, e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Se l'impresa è un ente organizzato di cui l'imprenditore è il capo, la comunicazione interna è uno dei canali attraverso cui l'organizzazione prende corpo.

Cosa accade nel mondo pubblico
Se il diritto del lavoro non si è soffermato a dettagliare la cornice creata dal Codice Civile, forse ciò dipende dal fatto che non ve n'era bisogno. In ambiti diversi, leggi recenti hanno esplicitamente incoraggiato ciò che abbiamo definito come "comunicazione aziendale". Nel 2000, nel settore pubblico è stata varata una legge, la "150", che promuove la comunicazione istituzionale interna ed esterna da parte delle pubbliche amministrazioni. Numerose direttive del Ministro della Funzione Pub-blica hanno raccomandato l'uso delle e-mail nelle comunicazioni fra pubblici funzionari. Il Codice dell'Amministrazione digitale, approvato nel marzo 2005 e destinato a entrare in vigore il 1° gennaio 2006, ha dettato l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di utilizzare la posta elettronica per lo scambio di documenti e informazioni, verificandone la provenienza.

Un’opportunità nel rispetto delle regole
Alla domanda iniziale «La comunicazione aziendale è un momento necessario e fisiologico del rapporto di lavoro?» possiamo rispondere sì. A patto che ci si muova sul binario della pertinenza e quindi della compatibilità con lo scopo che giustifica il trattamento dei dati personali dei dipendenti. L'organizzazione compete all'imprenditore e - purché lecita - è libero strumento per raggiungere i fini imprenditoriali. Dunque, sta all'imprenditore scegliere se e quanto la comunicazione aziendale sia utile alla crescita dell'organizzazione e alla motivazione del personale, ma questa libertà di scelta deve fare i conti col rispetto del criterio di pertinenza e della dignità dei lavoratori. Per attività come l'invio di e-mail ai dipendenti, l'imprenditore è sicuramente tenuto a dare un'adeguata informativa privacy ai dipendenti. Tuttavia, non deve chiedere il loro consenso, dal momento che il presupposto legittimante del trattamento risiede in quella discrezionalità dell'esercizio della organizzazione imprenditoriale che il Codice Civile gli riconosce.

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