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  Dicembre 2012

Articoli n° 6
Luglio 2005
 
LOBBYING - Home Page
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RELAZIONI ISTITUZIONALI
GLI INTERESSI PARTICOLARI
Verso una regolamentazione dell’attività di lobbying

Gaia Sigismondi
Junior Consult - Centro Studi Parlamentari NOMOS
gaia.sigismondi@nomoscsp.it

Sono attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali della Camera tre proposte di legge, di iniziativa bipartisan, volte a disciplinare l'attività di relazione istituzionale svolta da soggetti individuali o collettivi nei confronti delle assemblee rappresentative o di altri organi o soggetti titolari di pubbliche funzioni. Tali provvedimenti mirano a regolamentare il cosiddetto lobbismo, inteso come modo dei rapporti tra portatori di interessi privati e le istituzioni politiche, che la tradizione della politica anglosassone ha fatto conoscere e diffuso tra i parlamentari moderni. É stato, infatti, nell'ambito del parlamento britannico che è avvenuto l'esordio del lobbismo con l'accettazione della presenza di gruppi di pressione volti a esercitare una influenza sui responsabili delle scelte politiche, utilizzando i precari spazi del corridoio (la lobby, appunto) antistanti alle aule parlamentari e alle commissioni. Dobbiamo, però, agli Stati Uniti, paese in cui le relazioni politiche sono state meno condizionate dall'ideologismo tipico dell'Europa del XX secolo (e dunque più direttamente esposte alle pressioni degli interessi economici e per ciò stesso sensibili al problema del rapporto col mondo degli affari) i primi tentativi di una organica regolazione del lobbismo. Con il Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 si impose, infatti, nel Congresso americano per la prima volta l'obbligo di registrazione, presso un apposito albo, dei nomi di chi esercitasse l'attività di lobbying presso gli organi governativi, obbligo che prevedeva, tra l'altro, relazioni trimestrali sull'attività svolta. Nel 1949, poi, attraverso l'approvazione di un codice etico, venne adottato un meccanismo volto a garantire anche l'autonomia e l'integrità dei funzionari governativi. L'esperienza del lobbismo americano - non diversamente da quella dei paesi in cui il fenomeno viene recepito e regolato dall'ordinamento giuridico - è caratterizzata da un lungo percorso di stop and go, condizionato da due impulsi contrapposti: da una parte quello di una politica che mal tollera imbrigliamenti e, dall'altra, quello di una pubblica opinione che impone l'esigenza di trasparenza e correttezza nei rapporti tra mondo dell'economia e istituzioni. Così il dibattito sull'efficacia delle misure previste dalla legge del 1946, che pure ha promosso una riforma, ovvero il Lobbying Disclosure Act del 1995, capace di precisare la portata di alcuni adempimenti cui sono tenuti i professionisti della "lobby", non è tuttavia riuscito ad aprire la porta a una più severa normativa. D'altro canto, il fenomeno della globalizzazione delle strutture economiche e finanziarie, che ha consentito un accesso dell'economia nelle istituzioni meno "difese" dalle sovrastrutture politiche di un tempo, ha posto con urgenza il tema di una adeguata comprensione e organizzazione giuridica del fenomeno. Nel lobbismo, infatti, trovano, spazio variegati interessi, che vanno dalle attività imprenditoriali, commerciali ed economiche in senso stretto, a quelle di categorie professionali, ai gruppi di pressione e ai movimenti organizzati per fini specifici, come i consumatori o le associazioni di volontariato. Dunque si potrebbe affermare che il lobbismo rappresenta oggi una "necessaria" forma di partecipazione dei cittadini all'iter legislativo. Tuttavia, a fronte della sempre crescente importanza del fenomeno nelle società contemporanee, si continua a registrare uno stupefacente deficit regolamentativo nelle legislazioni dei parlamenti nazionali europei. Da un recente approfondimento comparativo svolto dal parlamento europeo circa l'esistenza, nell'ambito dei parlamenti nazionali, di strumenti (regolamenti, leggi o statuti) di regolazione del lobbismo, risulta infatti che, a parte la Gran Bretagna e, per qualche marginale riferimento, la Danimarca e la Germania (qualche traccia, in verità si rileva anche nella Repubblica francese, con riferimento, in particolare, alle associazioni professionali), non vi è negli altri paesi dell'Unione Europea, alcun accenno a norme regolative del fenomeno. In Italia, in particolare, tale attività non è ancora disciplinata, anche se il nostro ordinamento non può certo dirsi disinteressato all'argomento. Il dibattito politico su questa materia, ha avuto, in verità, un andamento singolare nel nostro Paese, dove si è verificata una maggiore attenzione e sensibilità da parte del mondo politico piuttosto che da parte della pubblica opinione. Bisogna dare atto, infatti, alla classe politica, o almeno a una parte di essa, di avere avvertito la necessità di giungere a una soddisfacente disciplina dei nuovi rapporti tra mondo dell'economia e istituzioni che, alla chiusura di un lungo ciclo storico, fin dai primi anni '80 si annunciavano delicati e complessi con tutto il dirompente carico di novità che la nuova stagione politica, sempre meno protetta dalle antiche certezze dell'ideologismo passato, andava allestendo. Risalgono alla IX legislatura le prime quattro proposte di legge volte a regolamentare l'attività professionale dell'esercente di relazioni pubbliche, proposte che da allora sono state sempre presenti, con una variegazione di voci e di toni, ma non con soddisfacente esito in termini di iter legislativo, nelle legislature successive sino alla XIII. Solo in quest’ultima, poi, si è verificato un significativo avanzamento del dibattito in Commis-sione, sia alla Camera sia al Senato, giungendo alla definizione di due testi unificati, che rappresentano un traguardo importante anche da un punto di vista culturale: il fenomeno del lobbismo viene valutato per la prima volta fuori di ogni prospettiva etica e giudicato necessario oggetto di disciplina per il valore in sè della rappresentabilità degli interessi leciti. Nonostante, dunque, la mancanza di un'espressa normativa in materia, si è via via accresciuto negli anni l'interesse verso tale problema poiché il corretto funzionamento del rapporto tra le istituzioni e i soggetti portatori degli interessi di diverse categorie e componenti sociali contribuisce a realizzare, nelle istituzioni, un confronto aperto e informato, garantendo così l'individuazione delle soluzioni più adeguate a rispondere alle esigenze della società. Le proposte di legge attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali della Ca-mera, dunque, nel tentativo di regolamentare il settore, individuano con formulazione pressoché identica, i principi generali ai quali devono uniformarsi le attività di relazione istituzionale; recano un'elencazione di funzioni che non costituiscono attività di relazione istituzionale e pongono in capo a chiunque svolga professionalmente tale attività l'obbligo di iscrizione in registri pubblici. É dunque evidente come una società complessa, come quella contemporanea, non possa ignorare che la valutazione delle singole scelte politiche non può e non deve prescindere da un'attenta analisi dei legittimi interessi parziali coinvolti, di cui sono portatori di volta in volta specifiche categorie professionali, soggetti imprenditoriali e sociali il cui apporto informativo costituisce, dunque, una risorsa e una forma di partecipazione democratica che non vanno represse, nè tanto meno nascoste, bensì riconosciute e regolamentate.

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