RELAZIONI ISTITUZIONALI
GLI INTERESSI PARTICOLARI
Verso una regolamentazione dell’attività di
lobbying
Gaia Sigismondi
Junior Consult - Centro Studi Parlamentari NOMOS
gaia.sigismondi@nomoscsp.it
Sono attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali
della Camera tre proposte di legge, di iniziativa bipartisan,
volte a disciplinare l'attività di relazione istituzionale
svolta da soggetti individuali o collettivi nei confronti delle
assemblee rappresentative o di altri organi o soggetti titolari
di pubbliche funzioni. Tali provvedimenti mirano a regolamentare
il cosiddetto lobbismo, inteso come modo dei rapporti tra portatori
di interessi privati e le istituzioni politiche, che la tradizione
della politica anglosassone ha fatto conoscere e diffuso tra
i parlamentari moderni. É stato, infatti, nell'ambito
del parlamento britannico che è avvenuto l'esordio del
lobbismo con l'accettazione della presenza di gruppi di pressione
volti a esercitare una influenza sui responsabili delle scelte
politiche, utilizzando i precari spazi del corridoio (la lobby,
appunto) antistanti alle aule parlamentari e alle commissioni.
Dobbiamo, però, agli Stati Uniti, paese in cui le relazioni
politiche sono state meno condizionate dall'ideologismo tipico
dell'Europa del XX secolo (e dunque più direttamente
esposte alle pressioni degli interessi economici e per ciò stesso
sensibili al problema del rapporto col mondo degli affari)
i primi tentativi di una organica regolazione del lobbismo.
Con il Federal Regulation of Lobbying Act del 1946 si impose,
infatti, nel Congresso americano per la prima volta l'obbligo
di registrazione, presso un apposito albo, dei nomi di chi
esercitasse l'attività di lobbying presso gli organi
governativi, obbligo che prevedeva, tra l'altro, relazioni
trimestrali sull'attività svolta. Nel 1949, poi, attraverso
l'approvazione di un codice etico, venne adottato un meccanismo
volto a garantire anche l'autonomia e l'integrità dei
funzionari governativi. L'esperienza del lobbismo americano
- non diversamente da quella dei paesi in cui il fenomeno viene
recepito e regolato dall'ordinamento giuridico - è caratterizzata
da un lungo percorso di stop and go, condizionato da due impulsi
contrapposti: da una parte quello di una politica che mal tollera
imbrigliamenti e, dall'altra, quello di una pubblica opinione
che impone l'esigenza di trasparenza e correttezza nei rapporti
tra mondo dell'economia e istituzioni. Così il dibattito
sull'efficacia delle misure previste dalla legge del 1946,
che pure ha promosso una riforma, ovvero il Lobbying Disclosure
Act del 1995, capace di precisare la portata di alcuni adempimenti
cui sono tenuti i professionisti della "lobby", non è tuttavia
riuscito ad aprire la porta a una più severa normativa.
D'altro canto, il fenomeno della globalizzazione delle strutture
economiche e finanziarie, che ha consentito un accesso dell'economia
nelle istituzioni meno "difese" dalle sovrastrutture
politiche di un tempo, ha posto con urgenza il tema di una
adeguata comprensione e organizzazione giuridica del fenomeno.
Nel lobbismo, infatti, trovano, spazio variegati interessi,
che vanno dalle attività imprenditoriali, commerciali
ed economiche in senso stretto, a quelle di categorie professionali,
ai gruppi di pressione e ai movimenti organizzati per fini
specifici, come i consumatori o le associazioni di volontariato.
Dunque si potrebbe affermare che il lobbismo rappresenta oggi
una "necessaria" forma di partecipazione dei cittadini
all'iter legislativo. Tuttavia, a fronte della sempre crescente
importanza del fenomeno nelle società contemporanee,
si continua a registrare uno stupefacente deficit regolamentativo
nelle legislazioni dei parlamenti nazionali europei. Da un
recente approfondimento comparativo svolto dal parlamento europeo
circa l'esistenza, nell'ambito dei parlamenti nazionali, di
strumenti (regolamenti, leggi o statuti) di regolazione del
lobbismo, risulta infatti che, a parte la Gran Bretagna e,
per qualche marginale riferimento, la Danimarca e la Germania
(qualche traccia, in verità si rileva anche nella Repubblica
francese, con riferimento, in particolare, alle associazioni
professionali), non vi è negli altri paesi dell'Unione
Europea, alcun accenno a norme regolative del fenomeno. In
Italia, in particolare, tale attività non è ancora
disciplinata, anche se il nostro ordinamento non può certo
dirsi disinteressato all'argomento. Il dibattito politico su
questa materia, ha avuto, in verità, un andamento singolare
nel nostro Paese, dove si è verificata una maggiore
attenzione e sensibilità da parte del mondo politico
piuttosto che da parte della pubblica opinione. Bisogna dare
atto, infatti, alla classe politica, o almeno a una parte di
essa, di avere avvertito la necessità di giungere a
una soddisfacente disciplina dei nuovi rapporti tra mondo dell'economia
e istituzioni che, alla chiusura di un lungo ciclo storico,
fin dai primi anni '80 si annunciavano delicati e complessi
con tutto il dirompente carico di novità che la nuova
stagione politica, sempre meno protetta dalle antiche certezze
dell'ideologismo passato, andava allestendo. Risalgono alla
IX legislatura le prime quattro proposte di legge volte a regolamentare
l'attività professionale dell'esercente di relazioni
pubbliche, proposte che da allora sono state sempre presenti,
con una variegazione di voci e di toni, ma non con soddisfacente
esito in termini di iter legislativo, nelle legislature successive
sino alla XIII. Solo in quest’ultima, poi, si è verificato
un significativo avanzamento del dibattito in Commis-sione,
sia alla Camera sia al Senato, giungendo alla definizione di
due testi unificati, che rappresentano un traguardo importante
anche da un punto di vista culturale: il fenomeno del lobbismo
viene valutato per la prima volta fuori di ogni prospettiva
etica e giudicato necessario oggetto di disciplina per il valore
in sè della rappresentabilità degli interessi
leciti. Nonostante, dunque, la mancanza di un'espressa normativa
in materia, si è via via accresciuto negli anni l'interesse
verso tale problema poiché il corretto funzionamento
del rapporto tra le istituzioni e i soggetti portatori degli
interessi di diverse categorie e componenti sociali contribuisce
a realizzare, nelle istituzioni, un confronto aperto e informato,
garantendo così l'individuazione delle soluzioni più adeguate
a rispondere alle esigenze della società. Le proposte
di legge attualmente all'esame della Commissione Affari costituzionali
della Ca-mera, dunque, nel tentativo di regolamentare il settore,
individuano con formulazione pressoché identica, i principi
generali ai quali devono uniformarsi le attività di
relazione istituzionale; recano un'elencazione di funzioni
che non costituiscono attività di relazione istituzionale
e pongono in capo a chiunque svolga professionalmente tale
attività l'obbligo di iscrizione in registri pubblici. É dunque
evidente come una società complessa, come quella contemporanea,
non possa ignorare che la valutazione delle singole scelte
politiche non può e non deve prescindere da un'attenta
analisi dei legittimi interessi parziali coinvolti, di cui
sono portatori di volta in volta specifiche categorie professionali,
soggetti imprenditoriali e sociali il cui apporto informativo
costituisce, dunque, una risorsa e una forma di partecipazione
democratica che non vanno represse, nè tanto meno nascoste,
bensì riconosciute e regolamentate.
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