POSTE ITALIANE SPA
IL BILANCIO 2004
BANCA DELLA CAMPANIA-GIFFONI
FILM FESTIVAL
PARTNERSHIP TRIENNALE
FIRMA DIGITALE
IL SISTEMA DI SICUREZZA “IDENTRUS”
POSTE ITALIANE SPA
IL BILANCIO 2004
L'era del monopolio sta per chiudersi
definitivamente
Sàntolo
Cannavale
Esperto di mercati finanziari
s.cannavale@virgilio.it
Nel 2004 Poste Italiane SpA hanno conseguito un utile netto
di 236 milioni di euro, a fronte di 9.044 milioni di ricavi.
Nel 2003, grazie al contributo decisivo di 59 milioni di plusvalenza
per la vendita della partecipazione nel corriere Bartolini,
l'utile netto si era attestato a 90 milioni su 8.173 milioni
di fatturato. Nel 2002 i medesimi dati risultavano pari, rispettivamente,
a 22 e a 7.798 milioni di euro. Il risultato reddituale 2004
ha sorpreso un po' tutti e va ascritto per intero alla gestione
ordinaria. La relazione semestrale chiusa al 30 giugno 2004
e pubblicata ai primi di ottobre evidenziava un utile modesto:
25,3 milioni di euro. Un comunicato del CdA avvertiva che per
il secondo semestre era ragionevole attendersi un rallentamento
del tasso di sviluppo rispetto al ritmo dei mesi precedenti.
Tra giugno e dicembre 2004 le Poste avrebbero invece realizzato
211 milioni di utili. Il positivo risultato è stato
letto da molti anche in funzione di una possibile privatizzazione
dell'azienda postale. Vittorio Malagutti su L'Espresso n. 9
del 10/3/2005 ha parlato di «...utile record per addobbare
una vetrina luccicante destinata ai potenziali investitori...».
Dal suo articolo sono tratti alcuni dei dati qui riportati,
visto che il sito internet di Poste Italiane ferma le sue evidenze
di gestione al 2003. I ricavi di Poste Italiane provengono
essenzialmente da due rami di attività: corrispondenza
e comunicazioni elettroniche, e cioè i tradizionali
servizi postali e da BancoPosta. Negli ultimi 4 anni i ricavi
da servizi postali sono stati stazionari: 4.333 miliardi nel
2001 e 4.380 miliardi nel 2004, mentre quelli derivanti dai
servizi finanziari di BancoPosta hanno evidenziato una forte
crescita: da 2.671 miliardi nel 2001 a 3.762 miliardi nel 2004.
Il bilancio 2004 ha beneficiato del compenso netto versato
dal Ministero dell'Economia alle Poste pari a 1,3 miliardi
di euro (1,1 miliardi nel 2003) per la gestione del suo conto
corrente di tesoreria. I relativi depositi nel giro di 12 mesi
sono aumentati da 26 a 31 miliardi di euro di giacenza media,
su cui è stata applicata una commissione del 4,35%,
come da convenzione. Il cliente più importante di Poste
Italiane resta la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che vale
oltre 2 miliardi di ricavi, incassati come compenso per la
gestione del risparmio postale raccolto mediante libretti e
buoni fruttiferi e messo a disposizione della stessa CDP. Le
Poste vengono compensate dallo Stato per il servizio universale
svolto attraverso i 14.000 sportelli postali dislocati sull'intero
territorio nazionale. Per tale finalità, nel 2003, lo
Stato ha erogato alle Poste 415 milioni di euro. Il bilancio
2004 ha registrato altresì 200 milioni di maggiori ricavi
rivenienti da aumento delle tariffe postali. In definitiva,
le Poste ricevono dallo Stato 3 miliardi di euro sui 9 di giro
di affari complessivo. Malagutti rileva: «…Da
una parte le Poste si aprono al mercato, lanciando prodotti
nuovi e più competitivi in campo finanziario e nel tradizionale
settore della corrispondenza. D'altra parte però si
rafforza il vecchio rapporto di dipendenza dall'amministrazione
pubblica, che si trova a indossare due cappelli: quello del
cliente e quello di azionista. Con un evidente conflitto di
interessi che rischia di penalizzare il conto economico delle
Poste. Tesoro e CDP, infatti, possono sfruttare la loro posizione
di forza per garantirsi condizioni contrattuali di favore nei
confronti dell'azienda postale. É un rapporto che funziona
nei due sensi. Lo Stato apre i cordoni della borsa garantendo
ricavi, ma riesce anche a risparmiare sui propri debiti…».
In vista di una eventuale quotazione in borsa, non appare privatizzabile
il solo Bancoposta, che è legato a doppio filo alla
Cassa Depositi e Prestiti. L'azienda pubblica sta cercando
di migliorare la propria efficienza e i margini di redditività.
I dipendenti attualmente in servizio sono 155.000, con riduzione
di 35.000 unità negli ultimi sette anni. A breve termine
le Poste non potranno più sfruttare nessuna nicchia
di mercato protetta. L'era del monopolio postale sta per chiudersi
definitivamente. Nel 2003 è entrata in vigore la direttiva
europea che liberalizza il settore delle raccomandate. La piena
liberalizzazione del mercato, con tappa intermedia nel 2006, è prevista
a partire dal 2009. Poste Italiane stanno cercando di recuperare
seguendo l'esempio della tedesca Deutsche Post e dell'olandese
TPG, entrambe privatizzate e quotate in borsa. Sono due giganti
che realizzano la parte importante del proprio fatturato grazie
ai consolidati servizi postali a valore aggiunto, come le consegne
espresso e la logistica (gestione e trasporto pacchi). A tale
scopo possiedono due delle maggiori imprese internazionali
del settore: DHL fa capo a Deutsche Post e TPG controlla TNT.
Deutsche Post, in particolare, realizza all'estero 20 dei 43,1
miliardi di euro di fatturato. Poste Italiane, dopo l'arrivo
del nuovo presidente Vittorio Mincato proveniente dall'ENI,
dovrà decidere su una delicata questione posta dalla
Banca d'Italia: la separazione radicale tra la posta e la banca.
Fino a oggi è stato visto con favore lo sviluppo di
BancoPosta, tenuto conto del suo importante contributo nel
portare in attivo il bilancio di Poste Italiane che nel 1998
perdeva 1,3 miliardi di euro. Nei conti di Poste Italiane l'attività bancaria è oggetto
di una contabilità separata ma non pubblica. Lo scopo è di
evitare che la rete dei 14 mila sportelli, che riceve il contributo
dallo Stato per il servizio universale, consenta di erogare
prestazioni bancarie a condizioni di favore rispetto alle normali
aziende di credito. La semplice separazione contabile non è ritenuta
sufficiente e la Banca d'Italia sollecita Poste a una distinzione,
attribuendo a BancoPosta un patrimonio autonomo anche sotto
il profilo giuridico. Sono due le soluzioni suggerite: a) conferimento
a una nuova società del ramo d'azienda BancoPosta; b)
istituzione e disciplina di un patrimonio separato e autonomo
come da codice civile. La situazione è analizzata da
Massimo Mucchetti su Cor-rierEconomia del 30 maggio 2005: «…La
questione è tanto più delicata oggi che il governo
Berlusconi annuncia la privatizzazione della società e
alcuni gruppi privati, in particolare Medio-lanum dove il premier
condivide il controllo con Ennio Doris, hanno già stretto
accordi operativi con il BancoPosta per la vendita dei loro
prodotti finanziari e sono pronti a cogliere la palla al balzo…».
In base a tale accordo del 2004 i clienti Mediolanum hanno
accesso ai 14 mila sportelli postali, dove possono versare
e prelevare denaro contante e in assegni. In vista della privatizzazione
il presidente di Deutsche Post, Klaus Zumwinkel, si è detto
interessato a rilevare un quarto del capitale di Poste Italiane
proponendosi come partner strategico. BancoPosta, con una raccolta
di 110 miliardi di euro destinata in larghissima parte alla
CDP, potrebbe ricevere la prevista autorizzazione a operare
come banca. In tal caso la valutazione di Poste Italiane, fissata
a 7,1 miliardi in occasione della cessione del 35% del suo
capitale alla CDP, aumenterebbe del 30-40%. In sede di privatizzazione
consentirebbe un maggior incasso da parte del Ministero dell'Economia.
La richiesta di separazione patrimoniale avanzata dalla Banca
d'Italia, sostiene Mucchetti, «...avvicina la concessione
del-la licenza, ma prima costringe Poste Italiane a mettere
in tavola le carte e, di fatto, riapre il confronto con le
banche che arricciano il naso quando agli sportelli postali
offre servizi bancari un personale inquadrato con il contratto
dei postelegrafonici e non con quello più oneroso dei
bancari, o quando osservano il tasso d'interesse sopra la media
di mercato che viene applicato al conto di tesoreria del Ministero
dell'Economia, o ancora quando si riserva a Poste la raccolta
per la Cassa depositi e prestiti. Ma sciogliere l'intreccio
tra servizi diversi erogati negli stessi uffici non è solo
complicato sul piano organizzativo e sindacale, è anche
ricco di difficoltà da un punto di vista economico e
industriale. Poste Italiane perde 700 milioni di euro per il
servizio universale. A medio termine, riducendo di 20-30 mila
addetti l'organico attraverso la chiusura o l'accorpamento
di 2 mila sportelli minori e l'attribuzione di altre funzioni
a ditte esterne, questa perdita potrà essere ridotta».
Con la quotazione in borsa di Poste Italiane, e a maggior ragione
se in ipotesi venisse privatizzato il BancoPosta, il ministero
dell'Economia dovrebbe "ricontrattare" e ridurre
il 4,35% che oggi paga sul suo conto di tesoreria con giacenza
media di 31 miliardi di euro. Questo comporterebbe per le Poste
un minor introito di circa 600 milioni di euro che bisognerebbe
recuperare in altro modo.
|