cambia il concordato preventivo
NUOVI STRUMENTI PER LE IMPRESE IN CRISI
i LAVORI ATIPICI
ruolo della contrattazione collettiva
LA LEGGE
80/2005
“DIA” E SILENZIO-ASSENSO
i LAVORI ATIPICI
ruolo della contrattazione collettiva
Incentivi anche economici per l'utilizzo
del part time
Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
In questi ultimi anni il legislatore è intervenuto, tra l'altro,
anche per modificare la regolamentazione del contratto di lavoro a termine e
di quello di lavoro part time. Si tratta di due tipologie di contratti flessibili,
diversi da quello di lavoro subordinato a tempo pieno e a tempo indeterminato,
che in tale ambito, erano già regolamentati dal nostro legislatore e quindi
facevano parte della tradizione del nostro mercato del lavoro. Una rilevanza
significativa della contrattazione collettiva era già prevista dalla previgente
regolamentazione. Si intende sottolineare che, per entrambi i contratti di lavoro,
era prevista la facoltà della contrattazione collettiva di individuare
limiti quantitativi nell'utilizzazione di tali strumenti contrattuali flessibili.
Per il contratto a tempo parziale l'art.5, d.l. 30/10/84, n.726, convertito in
legge 19/12/84, n.863, prevedeva al c. III, la possibilità per i contratti
collettivi, anche aziendali, di stabilire il numero percentuale dei lavoratori
da poter impiegare a tempo parziale rispetto a quello dei lavoratori a tempo
pieno. In tal modo il legislatore aveva inteso attribuire alla contrattazione
collettiva una competenza che le consentiva di incidere e governare il mercato
del lavoro, per gli aspetti in questione frutto probabilmente di una valutazione
negativa "storica" per non dire aperto sospetto delle OO.SS.. Si discuteva
in ordine agli effetti giuridici derivanti dalla violazione delle clausole contrattuali
che sancivano i suddetti limiti quantitativi e segnatamente per le ipotesi in
cui veniva stipulato un contratto a termine o un contratto part time con superamento
dei limiti pattuiti. É evidente che la questione assumeva una particolare
rilevanza quando i contratti erano stati stipulati nel rispetto, formale e sostanziale,
delle altre condizioni previste dalla legge. Specificamente per il contratto
a termine è stato posto il problema in ordine all'eventualità che,
ove stipulato in violazione dei limiti quantitativi, tale vizio comportasse la
nullità della clausola a oggetto il termine di durata del rapporto, con
sua trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Sul punto, diverse
sono state le opinioni rappresentate in dottrina: esse oscillavano tra la posizione
di chi riteneva che la violazione del limite quantitativo non avrebbe potuto
imporre la trasformazione in contratto a tempo indeterminato demandando alla
contrattazione collettiva l'onere di prevedere anche sanzioni per la propria
violazione, e la posizione di chi riteneva che il rispetto dei suddetti limiti
costituisse una vera e propria condizione di legittimità del contratto
a termine, non sussistendo la quale il contratto avrebbe dovuto essere considerato
come un contratto a tempo indeterminato. Il panorama normativo è lievemente
mutato fermo restando il riconoscimento della funzione della contrattazione nella
gestione e nel controllo di queste forme flessibili di utilizzazione del lavoro.
Il D.Lgs. n. 6/09/01, n.368 (v. art.10) ha confermato la facoltà della
contrattazione collettiva nell'individuazione «anche in misura non uniforme,
di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato»,
demandando tale competenza «ai contratti collettivi nazionali di lavoro
stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi» e
sancendo talune esenzioni dai suddetti limiti (per esempio l'avvio di nuove attività,
l'intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno
ecc.). In tema di contratto part time, invece, il D.Lgs. 25/02/00 n.61, ha soppresso
tale potere di limitare quantitativamente il numero di contratti a tempo parziale.
Esso ha attribuito ai «contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati
da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale» nonché ai «contratti collettivi aziendali
stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art.19 della legge
20/05/70, n. 300 e successive modificazioni ovvero dalle rappresentanze sindacali
unitarie», la possibilità di «determinare condizioni o modalità della
prestazione lavorativa del rapporto di lavoro» e la facoltà di «prevedere
per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di
attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva». Da
quanto sopra detto si evince che, in tema di part time, la contrattazione collettiva
non ha più alcuna competenza a incidere sul potere gestionale e sul potere
di scelta del datore di lavoro in ordine alla stipula della tipologia di contratto
in questione, potendo solo influire sulla regolamentazione del contenuto del
rapporto e su profili anche particolarmente significativi. Mi riferisco alle
clausole cosiddette flessibili riguardanti la collocazione oraria della prestazione
e a quelle elastiche a oggetto la quantità della prestazione dedotta in
contratto. Il legislatore ha sottratto, dunque, la funzione di limitazione quantitativa
nell'utilizzazione del part time mentre l'ha confermata per il contratto a termine,
con una scelta che sembra volta a incentivare l'utilizzo del part time, espressamente
enunciata nella rubrica dell'art.5, del D.Lgs. n.61/2000 cit. I commi III e IV
di tale articolo oltretutto statuiscono il favor per lavoratori a tempo pieno
che intendono trasformare il loro rapporto in part time in caso di nuove assunzioni
programmate con tale contratto e la possibilità di incentivi economici
all'utilizzo di tale tipologia di lavoro compatibilmente con la disciplina comunitaria
in materia di aiuti di Stato. Un'autorevole dottrina ha esplicitamente ritenuto
la invalidità di eventuali clausole contrattuali che prevedano una limitazione
alle assunzioni part time poiché il legislatore, con l'abrogazione dell'art.5,
c. III della legge 19/12/84 n.863, ha chiaramente inteso escludere i poteri di
deroga alla libertà di stipulare un contratto in precedenza previsti dalla
norma abrogata (Miscione, Contrattazione collettiva accentrata nel lavoro a tempo
parziale in Dir. Prat. Lav. 2000, fascicolo n.30). Indubbiamente l'indicazione
fornita dal legislatore è particolarmente chiara e univoca nel senso esposto
dalla citata dottrina, anche se non può negarsi qualche dubbio in ordine
a tale soluzione derivante dal rilievo che l'abrogazione di una normativa e la
sua sostituzione con una nuova disciplina, che regolamenta globalmente un istituto,
non può essere equiparata a un divieto. Anche perché la contrattazione
collettiva è espressione della libertà delle parti, che per gli
imprenditori è libertà di iniziativa economica, e dunque di esercitare
i propri poteri e in tale contesto anche libertà di accettare limiti a
questi, sempre che gli eventuali limiti non assumano una tale portata da porre
in discussione l'esistenza della stessa libertà di iniziativa economica
e di stipulare contratti. É evidente che un eventuale contratto collettivo
non potrebbe che valere per il futuro e cioè per le assunzioni successive
alla stipula delle limitazioni quantitative, così come la loro violazione
non potrebbe comportare la trasformazione del contratto part time in tempo indeterminato.
La contrattazione collettiva, infatti, dispone ai propri effetti sicchè nella
stessa contrattazione dovrebbero essere individuate le eventuali sanzioni, anche
perché, ai fini della trasformazione del contratto di lavoro da part time
a tempo pieno occorre anche la volontà del lavoratore o della lavoratrice,
della quale la contrattazione collettiva sicuramente non potrebbe disporre.
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