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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
dicembre 2005
 

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i LAVORI ATIPICI
ruolo della contrattazione collettiva

LA LEGGE 80/2005
“DIA” E SILENZIO-ASSENSO

i LAVORI ATIPICI
ruolo della contrattazione collettiva
Incentivi anche economici per l'utilizzo del part time

Lorenzo Ioele
Docente Diritto Sicurezza Sociale - Università degli Studi di Salerno

avvocato.ioelelorenzo@tin.it

In questi ultimi anni il legislatore è intervenuto, tra l'altro, anche per modificare la regolamentazione del contratto di lavoro a termine e di quello di lavoro part time. Si tratta di due tipologie di contratti flessibili, diversi da quello di lavoro subordinato a tempo pieno e a tempo indeterminato, che in tale ambito, erano già regolamentati dal nostro legislatore e quindi facevano parte della tradizione del nostro mercato del lavoro. Una rilevanza significativa della contrattazione collettiva era già prevista dalla previgente regolamentazione. Si intende sottolineare che, per entrambi i contratti di lavoro, era prevista la facoltà della contrattazione collettiva di individuare limiti quantitativi nell'utilizzazione di tali strumenti contrattuali flessibili. Per il contratto a tempo parziale l'art.5, d.l. 30/10/84, n.726, convertito in legge 19/12/84, n.863, prevedeva al c. III, la possibilità per i contratti collettivi, anche aziendali, di stabilire il numero percentuale dei lavoratori da poter impiegare a tempo parziale rispetto a quello dei lavoratori a tempo pieno. In tal modo il legislatore aveva inteso attribuire alla contrattazione collettiva una competenza che le consentiva di incidere e governare il mercato del lavoro, per gli aspetti in questione frutto probabilmente di una valutazione negativa "storica" per non dire aperto sospetto delle OO.SS.. Si discuteva in ordine agli effetti giuridici derivanti dalla violazione delle clausole contrattuali che sancivano i suddetti limiti quantitativi e segnatamente per le ipotesi in cui veniva stipulato un contratto a termine o un contratto part time con superamento dei limiti pattuiti. É evidente che la questione assumeva una particolare rilevanza quando i contratti erano stati stipulati nel rispetto, formale e sostanziale, delle altre condizioni previste dalla legge. Specificamente per il contratto a termine è stato posto il problema in ordine all'eventualità che, ove stipulato in violazione dei limiti quantitativi, tale vizio comportasse la nullità della clausola a oggetto il termine di durata del rapporto, con sua trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Sul punto, diverse sono state le opinioni rappresentate in dottrina: esse oscillavano tra la posizione di chi riteneva che la violazione del limite quantitativo non avrebbe potuto imporre la trasformazione in contratto a tempo indeterminato demandando alla contrattazione collettiva l'onere di prevedere anche sanzioni per la propria violazione, e la posizione di chi riteneva che il rispetto dei suddetti limiti costituisse una vera e propria condizione di legittimità del contratto a termine, non sussistendo la quale il contratto avrebbe dovuto essere considerato come un contratto a tempo indeterminato. Il panorama normativo è lievemente mutato fermo restando il riconoscimento della funzione della contrattazione nella gestione e nel controllo di queste forme flessibili di utilizzazione del lavoro. Il D.Lgs. n. 6/09/01, n.368 (v. art.10) ha confermato la facoltà della contrattazione collettiva nell'individuazione «anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell'istituto del contratto a tempo determinato», demandando tale competenza «ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi» e sancendo talune esenzioni dai suddetti limiti (per esempio l'avvio di nuove attività, l'intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno ecc.). In tema di contratto part time, invece, il D.Lgs. 25/02/00 n.61, ha soppresso tale potere di limitare quantitativamente il numero di contratti a tempo parziale. Esso ha attribuito ai «contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» nonché ai «contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art.19 della legge 20/05/70, n. 300 e successive modificazioni ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie», la possibilità di «determinare condizioni o modalità della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro» e la facoltà di «prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva». Da quanto sopra detto si evince che, in tema di part time, la contrattazione collettiva non ha più alcuna competenza a incidere sul potere gestionale e sul potere di scelta del datore di lavoro in ordine alla stipula della tipologia di contratto in questione, potendo solo influire sulla regolamentazione del contenuto del rapporto e su profili anche particolarmente significativi. Mi riferisco alle clausole cosiddette flessibili riguardanti la collocazione oraria della prestazione e a quelle elastiche a oggetto la quantità della prestazione dedotta in contratto. Il legislatore ha sottratto, dunque, la funzione di limitazione quantitativa nell'utilizzazione del part time mentre l'ha confermata per il contratto a termine, con una scelta che sembra volta a incentivare l'utilizzo del part time, espressamente enunciata nella rubrica dell'art.5, del D.Lgs. n.61/2000 cit. I commi III e IV di tale articolo oltretutto statuiscono il favor per lavoratori a tempo pieno che intendono trasformare il loro rapporto in part time in caso di nuove assunzioni programmate con tale contratto e la possibilità di incentivi economici all'utilizzo di tale tipologia di lavoro compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato. Un'autorevole dottrina ha esplicitamente ritenuto la invalidità di eventuali clausole contrattuali che prevedano una limitazione alle assunzioni part time poiché il legislatore, con l'abrogazione dell'art.5, c. III della legge 19/12/84 n.863, ha chiaramente inteso escludere i poteri di deroga alla libertà di stipulare un contratto in precedenza previsti dalla norma abrogata (Miscione, Contrattazione collettiva accentrata nel lavoro a tempo parziale in Dir. Prat. Lav. 2000, fascicolo n.30). Indubbiamente l'indicazione fornita dal legislatore è particolarmente chiara e univoca nel senso esposto dalla citata dottrina, anche se non può negarsi qualche dubbio in ordine a tale soluzione derivante dal rilievo che l'abrogazione di una normativa e la sua sostituzione con una nuova disciplina, che regolamenta globalmente un istituto, non può essere equiparata a un divieto. Anche perché la contrattazione collettiva è espressione della libertà delle parti, che per gli imprenditori è libertà di iniziativa economica, e dunque di esercitare i propri poteri e in tale contesto anche libertà di accettare limiti a questi, sempre che gli eventuali limiti non assumano una tale portata da porre in discussione l'esistenza della stessa libertà di iniziativa economica e di stipulare contratti. É evidente che un eventuale contratto collettivo non potrebbe che valere per il futuro e cioè per le assunzioni successive alla stipula delle limitazioni quantitative, così come la loro violazione non potrebbe comportare la trasformazione del contratto part time in tempo indeterminato. La contrattazione collettiva, infatti, dispone ai propri effetti sicchè nella stessa contrattazione dovrebbero essere individuate le eventuali sanzioni, anche perché, ai fini della trasformazione del contratto di lavoro da part time a tempo pieno occorre anche la volontà del lavoratore o della lavoratrice, della quale la contrattazione collettiva sicuramente non potrebbe disporre.

Questionario di gradimento Costozero 2000/2005
Libro di Antonio Paravia


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