SRL O SPA?
AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA
ISPEZIONI
IN MATERIA DI LAVORO
LA DIFFIDA ACCERTATIVA MA ALLORA
SERVE VINCERE AL T.A.R.?
UN PICCOLO AIUTO ALLE IMPRESE
MA ALLORA SERVE VINCERE AL T.A.R.?
UN PICCOLO AIUTO ALLE IMPRESE
Il Consiglio di Stato agevola l’azione
per danni
Luigi
D’Angiolella
Avvocato Amministrativista
studiodangiolella@tin.it
Quante volte, anche in questa rubrica, si è segnalato come il sistema
giudiziario italiano, spesso sulla base di bizantinismi, rallenta i processi
economici e premia chi vuole perdere tempo? Ogni impresa sa che, se ha un credito,
avrà problemi a vederlo soddisfatto presto, mentre se deve pagare… tempo
ne troverà. Se questo è vero per le vertenze innanzi ai Tribunali
ordinari, lo è ancora di più per le cause amministrative, ove c'è una
tendenza a salvaguardare le ragioni dell'Ammini-strazione pubblica, spesso debitrice
nei confronti dei privati. Si arriva, talvolta, al paradosso che v'è difficoltà a
conferire il giusto valore alle sentenze dei T.A.R., specie quando esse arrivano
a "cose fatte". Quante volte, nell'ambito degli appalti pubblici, si
vince il ricorso quando la gara è già stata affidata e i lavori
conclusi. Con un bel "marameo" che viene rivolto all'impresa ricorrente
e vittoriosa! In questo caso ottenere il sacrosanto diritto al risarcimento dei
danni è arduo, perché bisogna, normalmente, iniziare tutto daccapo,
avviando un autonomo giudizio. Questa volta, però, diamo conto di un segnale
di inversione di tendenza. L'importante precedente giurisprudenziale che questo
mese va segnalato ai lettori proviene dal Consiglio di Stato. I Giudici di Palazzo
Spada, con la sentenza della V sezione, 7 aprile 2004 n. 1980, hanno affermato
il principio - nient'affatto pacifico in precedenza - che nel caso di sentenza
passata in giudicato che dichiara illegittima una procedura di gara, da cui discende
o la rinnovazione della procedura oppure il risarcimento del danno, il ricorrente
non deve avviare un nuovo autonomo giudizio, potendo avanzare la domanda per
danni direttamente in sede di ottemperanza. Accade, cioè, che l'azione
per danni conseguente a una procedura di gara annullata dal T.A.R. su ricorso
di un'impresa (per esempio, esclusa o pretermessa illegittimamente) può attivarsi
innanzi allo stesso Giudice Amministrativo in sede di esecuzione della sentenza,
che in tempi brevi può anche disporre la nomina di un Commissario ad acta.
La pronuncia ha avuto una certa risonanza perché, almeno a una prima lettura,
essa sembra porsi in contrasto rispetto all'indirizzo giurisprudenziale, sinora
prevalente, volto a precludere al giudice dell'ottemperanza la cognizione della
domanda risarcitoria. E infatti, essa, nel ritenere ammissibile la domanda risarcitoria
proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, sembra mettere in discussione
l'indirizzo interpretativo (Cons. St., IV, 1.2.2001, n. 396), sinora prevalente
sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui il risarcimento del danno
non può essere chiesto direttamente in sede di esecuzione al giudicato
di annullamento, soprattutto laddove il giudizio di ottemperanza sia destinato
a svolgersi davanti al Consiglio di Stato, atteso che in questo caso la domanda
risarcitoria verrebbe sottratta alla regola del doppio grado di giudizio. Questa
tradizionale tesi, che nega il risarcimento del danno in sede di esecuzione,
afferma che il giudizio di ottemperanza non è in grado di accogliere pretese
risarcitorie perché si tratta essenzialmente di un giudizio a basso contenuto
cognitivo, consistente, cioè, nell'interpretazione dello iussum contenuto
nella pronuncia da eseguire e nella verifica della sussistenza dell'inadempimento
dell'amministrazione. Al contrario, ove si ammettesse che il giudice dell'ottemperanza
possa decidere sia dell'an che del quantum della pretesa risarcitoria, si andrebbe
a «stravolgere immotivatamente il ruolo del giudizio esecutivo rispetto
a quello cognitivo». Sorvolando su pedanti tecnicismi, e per essere chiari,
se prima era prevalente l'idea che dopo la causa al Tribunale Amministrativo
l'impresa vittoriosa dovesse avviare un'altra causa e dimostrare il danno subito
con nuovo giudizio di cognizione e nuova istruttoria, l'indirizzo in esame accelera
le fasi per vedere risolta la questione. In verità, un primo accenno della
tesi proposta oggi dal Consiglio di Stato era venuto già dai Giudici del
Tribunale Amministrativo Regionale di Napoli, che ancora una volta hanno visto
lontano, dimostrando di essere una punta avanzata del sistema. Ci si riferisce
alla sentenza del T.A.R. Campania-Napoli, 4 agosto 2001, n. 4485, che ricollega
la soluzione da dare alla questione processuale in esame al più ampio
tema riguardante i rapporti tra tutela risarcitoria ed effetto conformativo del
giudicato di annullamento. In questa pronuncia il Tribunale campano ha giudicato
la domanda di risarcimento, proposta con il giudizio di ottemperanza cumulativamente
a quella di esecuzione del giudicato di annullamento, ammissibile in rito e l'ha
accolta nel merito, prendendo espressamente le distanze dall'orientamento recepito
dal Consiglio di Stato con la sopra menzionata sentenza n. 396 del 2001. Secondo
il T.A.R. di Napoli, il giudizio amministrativo ha una sua originalità perché,
a differenza di ciò che accade nel rito processuale civile, dove il giudizio
di esecuzione, salvi gli incidenti di cognizione, effettivamente presenta una
natura oggettivamente diversa e incompatibile rispetto a quello di cognizione,
nel giudizio amministrativo l'ottemperanza contiene sempre una fase di cognizione,
che «è destinata sicuramente ad ampliarsi dopo l'attribuzione in
via generale al giudice amministrativo, sia in sede di giurisdizione esclusiva
che di giurisdizione generale di legittimità, della cognizione di tutte
le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso
la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali».
Le tesi propugnate dal T.A.R. Campania ora, quindi, trovano un'importante conferma
e si muovono sulla scia di una maggiore efficienza del sistema giudiziario. Ora,
l'effetto pratico di tale decisione è evidente. Secondo la posizione tradizionale,
le imprese (poche, in verità), che ottengono ragione dal T.A.R., sono
costrette ad un'ulteriore causa per ottenere il ristoro dei danni subiti, spesso
innanzi a diversi Giudici, che non di rado hanno rimesso in discussione quello
che sembrava certo. In forza dei principi richiamati e dei precedenti appena
commentati, ora è possibile tentare di abbreviare ed andare davanti allo
stesso Giudice in sede d'ottemperanza, con un duplice vantaggio. Il primo sono
i tempi, visto che il giudizio d'esecuzione innanzi al Giudice Amministrativo è generalmente
breve, e, comunque, molto più breve rispetto al giudizio di cognizione
normale, e questo è ovviamente decisivo. Il secondo, indubitabile, vantaggio,
sta nella circostanza che la vicenda nasce e muore con lo stesso Giudice, che
certo sarà spinto a concretizzare, in fondo, il "suo" decisum.
Ogni tanto, i Giudici Amministrativi riscoprono l'altissimo valore, anche sociale,
di dare effettività e veloce attuazione alla sentenza e, in fondo, si
rendono conto di quanto conti, nel mondo moderno, velocizzare i processi. Un
segnale, dunque, molto positivo, che dev'essere accolto con soddisfazione dalle
imprese, abituate, purtroppo, a vittorie senza bottino o, peggio ancora, a vittorie
annunciate e spesso eluse. C'è da augurarsi, però, che il precedente
richiamato non sia un'eccezione e che esso trovi conferma in prosieguo. Le spinte
conservatrici dei Giudici Amministrativi sono, infatti, assai pericolose e tenteranno,
come è triste tradizione italiana, di salvaguardare l'Amministrazione
anche a costo di riaffermare tesi obsolete e fuori dalle dinamiche moderne.
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